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Transazione novativa e conservativa, differenze e conseguenze giuridiche

Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.6255 del 02/03/2023

La distinzione tra transazione novativa e quella conservativa risiede nella natura del nuovo rapporto giuridico che viene creato ed incide sulla possibilità di far valere eventuali vizi del negozio.

Lo ha ricordato la Cassazione, l’ordinanza n. 6255 del 2 marzo 2023, stabilendo nella specie la nullità di un contratto di gestione patrimoniale titoli sottoscritto da due soggetti con un istituto di credito.

La transazione novativa si verifica quando le parti raggiungono un accordo che disciplina interamente un nuovo rapporto negoziale, sostituendo il precedente con uno nuovo e autonomo. Un elemento essenziale di tale contratto è l'"animus novandi", ovvero l'intento di sostituire il rapporto preesistente con uno nuovo. Questo può anche essere implicito e presuppone una situazione di oggettiva incompatibilità tra il rapporto preesistente e quello originato dall'accordo transattivo.

La transazione conservativa, invece, si verifica quando le parti stipulano un accordo che apporta modifiche solamente quantitative a un rapporto già esistente. In questo caso, le parti regolano il preesistente rapporto mediante reciproche concessioni, consistenti in una riduzione bilaterale e congrua delle opposte pretese, al fine di realizzare un regolamento di interessi sulla base di un "quid medium" tra le prospettazioni iniziali.

L'importanza della distinzione tra transazione novativa e conservativa rileva ai fini dell'applicazione dell'art. 1972 del codice civile

La transazione novativa che interviene su un titolo nullo è sanzionata con la nullità soltanto se relativa a un contratto illecito (per illiceità della causa o del motivo comune a entrambe le parti) ed è invece annullabile negli altri casi. Tuttavia, il vizio del negozio può essere fatto valere soltanto dalla parte che ha ignorato la causa di invalidità.

D'altro canto, la transazione conservativa, riguardante l'esecuzione o gli effetti di un negozio nullo, è sempre affetta da nullità, anche se le parti ne hanno trattato. Questo perché essa regola il rapporto congiuntamente al titolo contrattuale invalido e non in sostituzione di questo. In altre parole, la transazione conservativa non crea un nuovo rapporto giuridico autonomo, ma si limita a modificare il rapporto preesistente, mantenendo la sua natura e i suoi effetti giuridici.

Transazione novativa, transazione conservativa, distinzione, applicazione dell'art. 1972 c.c., conseguenze

La distinzione tra transazione "novativa" e "conservativa" assume rilievo dirimente ai fini dell'applicazione dell'art. 1972 c.c.: la transazione novativa che interviene su un titolo nullo è sanzionata con la nullità (comma 1) soltanto se relativa a un contratto illecito (per illiceità della causa o del motivo comune a entrambe le parti) ed è invece annullabile negli altri casi, ma il vizio del negozio può essere fatto valere soltanto dalla parte che ha ignorato la causa di invalidità (comma 2); la transazione conservativa, riguardante l'esecuzione o gli effetti di un negozio nullo, è sempre affetta da nullità, ancorché le parti ne abbiano trattato, perché essa regola il rapporto congiuntamente al titolo contrattuale invalido e non in sostituzione di questo.

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Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.6255 del 02/03/2023

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Bari - sulla domanda proposta da F.E. e P.R., diretta ad accertare e dichiarare la nullità, per difetto della forma scritta, del contratto di gestione patrimoniale titoli sottoscritto con la (Omissis) (ora Insigergilissen Bankiers N. V.), con conseguente condanna dell'istituto di credito al pagamento della somma di Euro 94.065,82, oltre all'ulteriore somma di Euro 30.000,00 per la perdita sui titoli Lehman Brothers; in subordine, accertare il grave inadempimento contrattuale dell'intermediario con conseguente risoluzione del contratto di gestione e condanna al pagamento delle stesse somme - ha condannato (Omissis) al pagamento della somma di Euro 94.065,82, oltre accessori di legge.

Il giudice di primo grado, nel dichiarare la nullità del contratto di gestione patrimoniale per difetto della forma scritta, ha disatteso l'eccezione della banca secondo cui, a saldo e stralcio di qualsivoglia pretesa relativa al conto, quest'ultima aveva, in via transattiva, versato agli investitori la somma di Euro 25.000,00. Sul punto, il Tribunale di Bari aveva osservato che la presunta transazione non riguardava il contratto come tale, ma la sua esecuzione, senza novazione del titolo sottostante.

La Corte di Appello di Bari, con sentenza n. 1620-2017 del 18.10.2017, ha accolto l'appello proposto dall'istituto di credito, rigettando le domande degli investitori.

Il giudice di secondo grado ha osservato che l'art. 1972 c.c. non distingue tra transazione novativa e transazione non novativa, ma tra transazione relativa ad un contratto illecito e transazione relativa a contratto nullo, affermando la nullità della prima: atteso che, nel caso di specie, la transazione intervenuta tra le parti non attiene ad un contrato illecito, non essendo il difetto della forma scritta del contratto di gestione patrimoniale riconducibile alla violazione di norme imperative, ordine pubblico o buon costume, né ricorre un'ipotesi di illiceità della causa o del motivo comune ad entrambe le parti, ne consegue la validità ed efficacia del contratto di transazione intervenuto tra le parti nel settembre 2010. In particolare, tale transazione ha rappresentato il supporto giustificativo dello spostamento patrimoniale della somma di Euro 30.000,00 disposto dalla banca per la composizione della controversia con gli attori, in cambio della rinuncia di questi ultimi a far valere ogni pretesa inerente il conto in oggetto.

Avverso la predetta sentenza hanno proposto ricorso principale per cassazione F.E. e P.R., affidandolo a quattro motivi.

La Insigergilissen Bankiers N. V. ha resistito in giudizio con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato la memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo è stata dedotta la violazione dell'art. 360 comma 10 n. 4 c.p.c. in relazione agli artt. 342 e 112 c.p.c. e 1965 e 1966 cod. civ..

Lamentano i ricorrenti che la Corte d'Appello avrebbe errato nell'ammettere il motivo d'appello con cui la società intermediaria aveva censurato la decisione del giudice di primo nella parte in cui era stato affermato che la transazione non riguardava il contratto come tale, ma la sua esecuzione, riconoscendone natura non novativa. Il motivo in oggetto era, infatti, inammissibile, ex art. 342 c.p.c., per difetto di specificità. In particolare, la società appellante non aveva contestato la natura "non novativa" della transazione, né l'interpretazione data dal Tribunale dell'art. 1972 comma 2 c.c..

La Corte d'Appello era, inoltre, incorsa nel vizio di ultrapetizione, pronunciandosi su un motivo di gravame mai articolato dalla Banca, ovvero sull'irrilevanza della natura novativa o meno della transazione ai fini dell'applicazione dell'art. 1972 c.c..

4. Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza e specificità.

Questa Corte ha già da tempo statuito (vedi Cass. n. 86 del 10/01/2012) che il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione - che trova la propria ragion d'essere nella necessità di consentire al giudice di legittimità di valutare la fondatezza del motivo senza dover procedere all'esame dei fascicoli di ufficio o di parte - vale anche in relazione ai motivi di appello rispetto ai quali si denuncino "errores in procedendo" da parte del giudice di merito; ne consegue che, ove il ricorrente denunci la violazione e falsa applicazione dell'art. 342 c.p.c. conseguente alla mancata declaratoria di nullità dell'atto di appello per genericità dei motivi, lo stesso deve riportare nel ricorso, nel loro impianto specifico, i predetti motivi formulati dalla controparte, seppur non necessariamente trascritti nel loro testo integrale, essendo, all'uopo, sufficienti meri stralci di essi nei passaggi essenziali, comunque idonei ad evidenziare la manchevolezza denunciata.

Infatti, anche alla luce della recente pronuncia della Corte EDU Succi e altri c. Italia del 28 ottobre 2021, il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, ai sensi dell'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) quale corollario del requisito di specificità dei motivi, non deve essere interpretato in modo eccessivamente formalistico, così da incidere sulla sostanza stessa del diritto in contesa, e non può pertanto tradursi in un ineluttabile onere di integrale trascrizione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, e può, pertanto, ritenersi rispettato ove nel ricorso sia stato puntualmente indicato il contenuto degli atti richiamati all'interno delle censure, e specificamente segnalata la loro presenza negli atti del giudizio di merito (Cass. Sez. U., 18/03/2022, n. 8950).

Nel caso di specie, i ricorrenti non hanno adempiuto, neppure in minima parte, a tale onere di allegazione, non contenendo il ricorso riferimento alcuno all'atto di appello (di cui è stata lamentata l'inammissibilità per genericità), essendo stato dato per scontato che questa Corte, quale giudice del fatto per le questioni processuali, potesse comunque accedere direttamente all'esame degli atti processuali, indipendentemente dall'ammissibilità del motivo, a norma dell'art. 366 n. 6 c.p.c.(vedi anche Cass. n. 6014-2018).

3. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione dell'art. 360 comma 1 nn. 3 e 4 c.p.c. in relazione agli artt. 1965,1966,1967,1972,2697 c.c.e 132 c.p.c. nonché la mancanza di motivazione.

Lamentano, in primo luogo, i ricorrenti che la Corte d'appello ha dato per scontato il perfezionamento della transazione senza verificare che il fatto fosse provato per iscritto. Non è stato motivato né perché si è ritenuta la transazione perfezionata nei termini invocati dalla società intermediaria né perché la transazione era opponibile anche ad P..

Peraltro, i documenti 8 e 9 del fascicolo della banca di primo grado non sono comunque idonei a fornire la prova positiva in ordine all'esistenza e all'efficacia del contratto di transazione.

Inoltre, i ricorrenti censurano che la Corte d'Appello, nell'individuare l'ambito di operatività dell'art. 1972 c.c., non ha considerato la rilevanza, a tal fine, della natura novativa o meno della transazione, applicandosi tale norma solo in caso di transazione novativa. Ne consegue che, in caso di transazione non novativa, come nel caso di specie, continuando il titolo originario a costituire la fonte del rapporto, la declaratoria di nullità del medesimo determina l'automatica invalidità del negozio transattivo.

Infine, la Corte d'Appello non aveva considerato che la transazione non aveva avuto ad oggetto il contratto di gestione patrimoniale, ma i costi commissionali.

4. Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione dell'art. 360 comma 1 n. 4 in relazione agli artt. 345,112 c.p.c. e 1965, 1966, 1304 e 1373 c.c..

Lamentano i ricorrenti che la Corte d'Appello, nell'estendere gli effetti della transazione alla cointestataria del rapporto P.R., ha accolto una domanda formulata per la prima volta in appello, in violazione dell'art. 345 c.p.c..

5. Il secondo ed il terzo motivo devono essere esaminati unitariamente, avendo ad oggetto questioni strettamente connesse.

Il secondo motivo è fondato nei termini che seguono.

Vanno, in primo luogo, dichiarate inammissibili le censure svolte dai ricorrenti nel terzo motivo e nella prima parte del secondo motivo in cui gli stessi pongono in discussione sia che un atto di transazione (a prescindere dalla natura novativa o conservativa) sia stato mai perfezionato, sia che la eventuale transazione fosse comunque opponibile a P.R..

Si tratta di questioni di cui non vi è traccia nella sentenza impugnata, la quale, dando per pacifica l'avvenuta stipulazione di un negozio di transazione, ha esaminato soltanto il punto relativo alla eventuale rilevanza della distinzione tra transazione novativa o non novativa (concludendo in senso negativo).

Orbene, è principio consolidato di questa Corte che dovendo i motivi del ricorso per cassazione investire, a pena di inammissibilità, questioni che siano già comprese nel thema decidendum del precedente grado del giudizio, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d'ufficio (Cass., 17/01/2018, n. 907; Cass., 13/06/2018, n. 15430;.Cass., 09/07/2013, n. 17041), ne consegue che, ove nel ricorso per cassazione siano prospettate questioni non esaminate dal giudice di merito, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l'avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di specificità del motivo, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, nonché il luogo e modo di deduzione, onde consentire alla Suprema Corte di controllare "ex actis" la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione.

Nel caso di specie, non solo i ricorrenti non hanno adempiuto a tale onere di allegazione, limitandosi a dedurre genericamente di aver contestato l'intervenuto perfezionamento della transazione in sede di udienza di discussione in Tribunale (senza neppure precisare le modalità di formulazione di tale censura), ma, anzi, dal tenore dello stesso ricorso per cassazione emergono elementi contrari a tale ricostruzione.

In particolare, alle pagg. 7 e 8 del ricorso per cassazione, nell'indicare le difese dagli stessi svolti nella comparsa di costituzione in appello, hanno dedotto "quanto alla presunta definizione transattiva intercorsa" di aver evidenziato l'assenza, nell'atto di appello della banca, di censure riguardo le motivazioni del giudice di primo grado che avevano escluso la natura novativa del documento, essendosi l'istituto di credito limitato ad attribuire apoditticamente alla transazione effetti novativi senza confutare le argomentazioni del primo giudice.

Gli odierni ricorrenti, già appellati, hanno, altresì allegato di aver affermato, in sede di costituzione, che "in realtà, come correttamente affermato dal Tribunale l'accordo intercorso tra le parti non atteneva al contratto o alla sua esistenza ma solo i suoi costi commissionali spiegando effetti complementari del contratto non certo novativi".

Anche nella nota 1 in calce alla pag. 10 del ricorso per cassazione, i ricorrenti hanno riportato quanto dagli stessi già scritto alla pag. 10 della comparsa di costituzione in appello (in cui non vi è traccia delle questioni attinenti al perfezionamento della transazione e alla sua opponibilità alla cointestataria): "...la Banca non censura le motivazioni che hanno indotto il Tribunale a ritenere non novativa la transazione e non contesta che..la transazione opposta dalla società contenuta non riguarda il contratto, ma la sua esecuzione (di disciplina il rimborso e le riduzioni di commissioni) ma si limita a sostenere che la transazione spiega effetti novativi non fornendo alcun argomento a confutazione delle affermazioni del Giudicante (peraltro conformi alla Cassazione) rendendo tale censura assolutamente inammissibile per la sua genericità".

Deve quindi concludersi per l'inammissibilità di tali censure per novità o quantomeno per difetto di autosufficienza.

Ad avviso di questo Collegio sono, invece, fondate le censure dei ricorrenti svolte nella seconda parte del secondo motivo, in cui lamentano che la Corte d'Appello, nell'individuare l'ambito di operatività dell'art. 1972 c.c., non ha erroneamente considerato la rilevanza, a tal fine, della natura novativa o meno della transazione, affermando, anzi, espressamente, l'irrilevanza della distinzione tra transazione novativa e non novativa.

Premesso che sulla declaratoria di nullità del contratto di gestione patrimoniale da parte del Tribunale di Bari si è comunque formato il giudicato interno, atteso che la Corte d'Appello ha rigettato la domanda degli investitori sul rilievo che il difetto della forma scritta di tale contratto aveva determinato la mera nullità e non l'illiceità del medesimo, così non incidendo sulla validità della transazione intervenuta, deve, a questo punto, preliminarmente, evidenziarsi la differenza tra la transazione "novativa" e quella "conservativa".

Si ha transazione novativa allorquando l'accordo raggiunto dalle parti disciplini per intero il nuovo rapporto negoziale, configurandosi come un contratto estintivo e costitutivo di obbligazioni, caratterizzato dalla volontà di far sorgere un diverso rapporto obbligatorio in sostituzione di quello precedente, con nuove ed autonome situazioni giuridiche. Di tale contratto elemento essenziale e', oltre ai soggetti e alla causa, il cd. "animus novandi", che può anche risultare in modo implicito, visto che "l'efficacia novativa della transazione presuppone una situazione di oggettiva incompatibilità tra il rapporto preesistente e quello originato dall'accordo transattivo, in virtù della quale le obbligazioni reciprocamente assunte dalle parti debbano rìtenersi sostanzialmente diverse da quelle preesistenti, con la conseguenza che, al di fuori dell'ipotesi in cui sussista un'espressa manifestazione di volontà in tal senso, il suo accertamento richiede una verifica in ordine all'intento delle parti di addivenire, nella composizione del rapporto litigioso, alla costituzione di un nuovo rapporto, fonte di nuove ed autonome situazioni, destinate a sostituirsi a quelle preesistenti" (vedi Cass. n. 7963-2020; anche, in motivazione, Cass. n. 23604-2016).

Per contro, la transazione è "conservativa" quando le parti danno vita ad un "accordo con il quale le parti si limitano ad apportare modifiche solo quantitative ad una situazione già in atto e a regolare il preesistente rapporto mediante reciproche concessioni, consistenti (anche) in una bilaterale e congrua riduzione delle opposte pretese in modo da realizzare un regolamento di interessi sulla base di un "quid medium" tra le prospettazioni iniziali" (Cass. n. 13717-2006).

Ciò premesso, questa Corte, nella sopra citata sentenza n. 7963-2020 (vedi anche Cass. n. 15841-2014), ha enunciato il principio di diritto secondo cui "La distinzione tra transazione "novativa" e "conservativa" assume rilievo dirimente ai fini dell'applicazione dell'art. 1972 c.c.: la transazione novativa che interviene su un titolo nullo è sanzionata con la nullità (comma 1) soltanto se relativa a un contratto illecito (per illiceità della causa o del motivo comune a entrambe le parti) ed è invece annullabile negli altri casi, ma il vizio del negozio può essere fatto valere soltanto dalla parte che ha ignorato la causa di invalidità (comma 2); la transazione conservativa, riguardante l'esecuzione o gli effetti di un negozio nullo, è sempre affetta da nullità, ancorché le parti ne abbiano trattato, perché essa regola il rapporto congiuntamente al titolo contrattuale invalido e non in sostituzione di questo".

Pertanto, a differenza di quanto affermato dalla Corte d'Appello, la distinzione tra transazione novativa e non novativa era, invece, assai rilevante ai fini dell'applicazione dell'art. 1972 c.c.. Infatti, ove la transazione posta in essere tra le parti avesse avuto natura non novativa - come aveva ritenuto il giudice di primo grado - anche la mera declaratoria di nullità del contratto di gestione patrimoniale, indipendentemente dalla sua illiceità, inciderebbe sulla validità della transazione tra le parti.

La Corte d'Appello ha, in conclusione, erroneamente ritenuto irrilevante affrontare la questione della natura novativa o meno della transazione, addivenendo ad un'affermazione in contrasto con il consolidato orientamento di questa Corte, così non effettuando un accertamento di fatto (in ordine, appunto, alla natura novativa o conservativa della transazione) dirimente ai fini di valutare la validità della transazione conclusa dalle parti.

6. Il quarto motivo - con cui è stata dedotta la violazione dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. in relazione agli artt. 115 c.p.c., 1304, 1350, 1965, 1967, 2697 c.c., d.lgs n. 58-1998, 23 con riferimento alla opponibilità alla P.R. della transazione del settembre 2010 - è assorbito per effetto della declaratoria di inammissibilità del terzo motivo.

7. La sentenza impugnata deve essere quindi cassata con rinvio alla Corte di Bari, in diversa composizione, per nuovo esame e per statuire sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il secondo motivo nei termini di cui in motivazione, inammissibili il primo ed il terzo, assorbiti il quarto motivo.

Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d'Appello di Bari, in diversa composizione, per nuovo esame e per statuire sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 7 giugno 2022.

Depositato in Cancelleria il 2 marzo 2023

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