Comunicazione sindacale con l'email aziendale? No alla sanzione disciplinare

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.7799 del 17/03/2023

È legittima la sanzione disciplinare nei confronti del lavorare per l'uso della mail aziendale a scopo sindacale?

Affronta la questione la Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 7799 depositata il 17 marzo 2023.

Nel caso di specie, un lavoratore, componente della RSU, aveva ricevuto la sanzione disciplinare dell'ammonizione scritta a seguito dell'uso della mail aziendale per una comunicazione sindacale durante l'orario di lavoro.

Il giudice di appello, confermando la sentenza del Tribunale di Catania, aveva sottolineato che il datore di lavoro non aveva dimostrato la sussistenza di uno specifico pregiudizio causato dall'invio della mail sindacale all'attività aziendale. 

La Corte di Cassazione ha confermato tale decisione, ritenendo i due motivi di ricorso presentati dall'azienda inammissibili.

Il primo motivo, riguardante la violazione della legge n. 300 del 1970, art. 25, è stato giudicato inammissibile in quanto non si confronta esattamente con la "ratio decidendi" della sentenza impugnata. La Corte ha rilevato che l'evoluzione delle modalità di comunicazione deve far ritenere comprese nella nozione di "spazi" deputati alle comunicazioni sindacali lo strumento della posta elettronica.

Il secondo motivo, riguardante la violazione della legge n. 300 del 1970, art. 26, è stato giudicato inammissibile poiché non coglie il nucleo essenziale della decisione, fondata sul difetto di allegazione e prova della sussistenza del pregiudizio causato dall'invio della mail sindacale all'attività aziendale.

La Corte ha stabilito che la distribuzione di comunicati di contenuto sindacale nei luoghi di lavoro, incluso l'invio di messaggi con posta elettronica aziendale, è consentita soltanto se effettuata senza pregiudizio per il normale svolgimento dell'attività aziendale, alla luce delle concrete modalità organizzative dell'impresa e del tipo di lavoro cui sono addetti i destinatari delle comunicazioni.

Non essendo stata dimostrata la sussistenza di un pregiudizio all'attività lavorativa, la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato dalla società datrice.

Comunicati di contenuto sindacale, distribuzione nei luoghi di lavoro, limiti previsti dalla art. 26, comma 1, Legge n. 300 del 1970, pregiudizio

La distribuzione di comunicati di contenuto sindacale nei luoghi di lavoro, in quanto assimilabile all'attività di proselitismo, incontra i limiti previsti dalla l. n. 300 del 1970, art. 26, comma 1, e pertanto si deve ritenere consentita soltanto se effettuata senza pregiudizio per il normale svolgimento dell'attività aziendale, alla luce delle concrete modalità organizzative dell'impresa e del tipo di lavoro cui sono addetti i destinatari delle comunicazioni.

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Cassazione civile sez. lav., 17/03/2023, (ud. 21/02/2023, dep. 17/03/2023), n.7799

Rilevato che:

con la sentenza impugnata è stata confermata la pronunzia del Tribunale di Catania con la quale era stata rigettata la domanda della "St Microelectronics s.r.l." volta alla declaratoria di accertamento della legittimità della sanzione disciplinare dell'ammonizione scritta irrogata a M.M. - componente della RSU per la FIOM-CGIL - per avere quest'ultimo effettuato una comunicazione di natura sindacale utilizzando la mail aziendale durante il normale orario di lavoro;

a supporto della decisione il giudice del gravame ha evidenziato che "l'odierno appellante, nel caso di specie, non ha né allegato né in alcun modo dimostrato la sussistenza di uno specifico pregiudizio che l'invio della e-mail a contenuto sindacale abbia determinato all'attività di quest'ultima, nell'episodio contestato al rappresentante sindacale";

per la cassazione della decisione ha proposto ricorso la "St Microelectronics s.r.l.", affidato a due motivi, illustrati con memoria; M.M. è rimasto intimato.

Considerato che:

con il primo motivo la ricorrente - denunciando violazione della L. n. 300 del 1970, art. 25, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 - si duole che il giudice di appello, concentrando la motivazione sul solo art. 26 st. lav., non abbia considerato che la scelta dello spazio destinato alla affissione è rimessa al solo datore di lavoro, sicché l'attività sindacale deve essere esercitata anche "nel rispetto della legittima scelta aziendale in ordine allo "spazio" destinato alle comunicazioni aziendali";

con il secondo motivo - denunciando violazione della L. n. 300 del 1970, art. 26, 2727 c.c., 2729 c.c. e 2697 c.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 - lamenta che il predetto giudice, da un lato, non abbia considerato che la rete aziendale di posta elettronica, essendo uno spazio appositamente creato dalla società e destinato esclusivamente allo svolgimento dell'attività lavorativa, non può avere un impiego diverso da quello di natura strettamente lavorativa, e, dall'altro, che la società aveva fornito elementi presuntivi (quali la messa a disposizione delle RSU di apposite bacheche per l'affissione di comunicati, di un apposito account di posta elettronica fruibile dalla personale postazione di lavoro ed utilizzabile per le comunicazioni con l'azienda su questioni di rilievo sindacale, di un locale dotato di computer con accesso ad "internet") atti a dimostrare il pregiudizio al normale svolgimento dell'attività aziendale, non potendo non evidenziarsi che "una cosa è la distribuzione (certamente non giornaliera) di volantini, sempre confinabile in limitati spazi temporali, altra è la possibilità, insita nel moderno sistema di comunicazioni, di inviare istantaneamente e senza limiti temporali, durante il normale orario di lavoro e a ogni singola postazione di lavoro, mail aventi contenuto sindacale a circa 3000 indirizzi di posta elettronica e per più volte al giorno. (...) Il diverso utilizzo (...) determinerebbe, evidentemente, un enorme pregiudizio per l'azienda la quale, peraltro, non potrebbe più intervenire per eliminare eventuali abusi (quanti messaggi, in quali ore?) in mancanza di regole precise alle quali attenersi".

Ritenuto che:

il primo motivo è inammissibile, poiché - premesso il principio che "l'evoluzione delle modalità di comunicazione che negli ultimi decenni si è andata sempre più affermando anche nelle comunità aziendali deve far ritenere comprese nella nozione di "spazi" deputati alle comunicazioni sindacali lo strumento della posta elettronica" (così, da ultimo, Cass. 5/12/2022, n. 35644, avente ad oggetto controversia analoga a quella in esame, intercorrente tra le stesse parti) - lo stesso non si confronta esattamente con la "ratio decidendi" della sentenza impugnata, la quale, una volta ricondotto l'invio della e-mail all'attività di proselitismo (la quale, del resto, non deve essere svolta in via esclusiva mediante comunicati su appositi spazi), ha ravvisato l'insussistenza del pregiudizio alle normali attività aziendali quale fattore decisivo ai fini di escludere la responsabilità disciplinare del lavoratore, a prescindere dal fatto che, nella specie, la e-mail fosse stata inviata dall'ordinario account aziendale e non da quello messo a disposizione per le comunicazioni con l'azienda;

il secondo motivo è del pari inammissibile, già sol perché - fermo il principio secondo cui "La distribuzione di comunicati di contenuto sindacale nei luoghi di lavoro (nella specie, mediante invio di messaggi con posta elettronica aziendale, cd. "volantinaggio elettronico"), in quanto assimilabile all'attività di proselitismo, incontra i limiti previsti dalla l. n. 300 del 1970, art. 26, comma 1, e pertanto si deve ritenere consentita soltanto se effettuata senza pregiudizio per il normale svolgimento dell'attività aziendale, alla luce delle concrete modalità organizzative dell'impresa e del tipo di lavoro cui sono addetti i destinatari delle comunicazioni" (così Cass. 5/12/2022, n. 35643) - lo stesso non coglie, ancora, il nucleo essenziale della decisione, fondata sul difetto di allegazione e prova della sussistenza dello specifico pregiudizio "che l'invio della e-mail a contenuto sindacale abbia determinato" all'attività della società, "nell'episodio contestato al rappresentante sindacale";

il motivo in questione si risolve, infatti, in una censura incentrata sulla mancata valutazione, ad opera del giudice del gravame, non di un pregiudizio - come visto escluso con accertamento di fatto incensurabile in sede di legittimità - per il normale svolgimento dell'attività aziendale e legato alla condotta nello specifico sanzionata, bensì di un danno meramente ipotetico - costituente, peraltro, questione attinente al merito, del pari sottratta al sindacato di questa Corte - connesso all'abuso della posta aziendale nell'ambito di un giudizio prognostico fondato su una valutazione probabilistica, integrante, tuttavia, diverso tema di indagine, estraneo a quello affrontato nella sentenza impugnata;

nulla per le spese, essendo M.M. rimasto intimato;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13, se dovuto.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso; nulla sulle spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 21 febbraio 2023.

Depositato in Cancelleria il 17 marzo 2023.

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