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Atti tributari, in quali casi sono impugnabili?

Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.1335 del 12/01/2024

In quali casi è impugnabile un atto tributario?

Questa è la domanda alla quale ha risposto la Sezione tributaria della Cassazione con la sentenza n.1335 del 12 gennaio 2024.

L'impugnabilità di un atto tributario non si basa sulla sua denominazione formale ma sulla pretesa fiscale che sottende.

La Cassazione chiarisce che "in tema di contenzioso tributario, l'elencazione degli atti impugnabili contenuta nell'art. 19 del D.L.vo 31 dicembre 1992 n. 546 ha natura tassativa, ma non preclude la facoltà di impugnare anche altri atti, ove con gli stessi l'amministrazione finanziaria porti a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria".

La soluzione adottata dalla corte è che si può impugnare atti non esplicitamente elencati nell'art. 19 del D.lgs. n. 546/1992 se manifestano una pretesa fiscale. La sentenza sottolinea l'importanza dell'interpretazione estensiva delle disposizioni, in rispetto delle norme costituzionali di tutela del contribuente e di buon andamento dell'amministrazione, nonché dell'allargamento della giurisdizione tributaria operato con la Legge 28 dicembre 2001 n. 448.

Il contribuente ha la facoltà, e non l'onere, d'impugnazione di atti diversi da quelli specificati nell'art. 19, senza che la mancata impugnazione comporti conseguenze sfavorevoli per contestare la pretesa tributaria in futuro. Questo significa che la non impugnabilità di una pretesa non è definitiva e può essere reiterata in atti tipici previsti dalla norma.

Nel caso di specie, la Suprema Corte ha respinto il ricorso dell'Ufficio che metteva in discussione l'impugnabilità della comunicazione di inammissibilità dell'istanza di voluntary disclosure, confermando che tale atto è impugnabile poiché presupposto dell'esistenza di un debito tributario. La procedura di Collaborazione volontaria, introdotta con la legge n. 186/2014, permette al contribuente di dichiarare volontariamente attività finanziarie e patrimoniali non indicate nelle dichiarazioni dei redditi, presupponendo quindi un debito tributario.

La sentenza stabilisce che il rigetto della domanda di collaborazione volontaria è assimilabile al rigetto di una domanda di definizione agevolata di rapporti tributari, anch'essa impugnabile secondo l'art. 19 del d.lgs. n. 546/92.

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Cassazione civile, sez. trib., ordinanza 12/01/2024 (ud. 29/11/2023) n. 1335

FATTI DI CAUSA


1. Il contribuente presentava istanza di accesso alla procedura di collaborazione volontaria in data 30 novembre 2015, seguita da una successiva integrazione del 30 dicembre 2015. Intervenivano plurimi contatti tra l'Ufficio e il professionista officiato sino al 12.ottobre 2016 allorquando l'Amministrazione chiedeva l'invio di documentazione comprovante il rientro effettivo delle consistenze estere. Essendo la richiesta rimasta inevasa, con comunicazione del 19 dicembre 2016 l'Ufficio comunicava l'inammissibilità dell'istanza per mancato rispetto del Provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle Entrate n. 116808/2016, laddove prevedeva l'invio della predetta documentazione entro 30 giorni dalla data di presentazione della prima o in un'unica istanza, con conseguente perdita dei benefici fiscali.

2. I giudizi di merito esitavano in favore del contribuente sia in primo sia in secondo grado. Segnatamente, la CTR respingeva l'eccezione di inammissibilità svolta nell'appello erariale, ritenendo il provvedimento impugnabile alla luce della elencazione non tassativa di cui all'art. 19 d.lgs. n. 546/1992. Nel merito riteneva che il contribuente avesse adempiuto a quanto di sua spettanza.

3. Ricorre per la cassazione della sentenza l'Amministrazione finanziaria che si affida a due motivi di censura, cui resiste il contribuente con tempestivo controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso la parte ricorrente denunzia l'errata interpretazione e applicazione dell'art. 19 d.lgs. n. 546/1992, lamentando che l'atto endoprocedimentale non è impugnabile in parametro all'art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c.

1.1 In sostanza afferma che il ricorso originario del contribuente avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile stante la natura endoprocedimentale del provvedimento impugnato, trattandosi di una mera comunicazione informativa non contenente alcuna pretesa tributaria. Soggiunge che, in ogni caso, il provvedimento non era suscettibile di impugnazione non essendo incluso nell'elenco tassativo di cui all'art. 19 d.lgs. n. 546/1992.

2. Il motivo è infondato e va pertanto disatteso.

2.1 Anche recentemente questa Corte ha ribadito il principio per cui "in tema di contenzioso tributario, l'elencazione degli atti impugnabili contenuta nell'art. 19 del D.L.vo 31 dicembre 1992 n. 546 ha natura tassativa, ma non preclude la facoltà di impugnare anche altri atti, ove con gli stessi l'amministrazione finanziaria porti a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, esplicitandone le ragioni fattuali e giuridiche, siccome è possibile un'interpretazione estensiva delle disposizioni in materia in ossequio alle norme costituzionali di tutela del contribuente (artt. 24 e 53 Cost.) e di buon andamento dell'amministrazione (art. 97 Cost.), ed in considerazione dell'allargamento della giurisdizione tributaria, che è stato operato con la Legge 28 dicembre 2001 n. 448 (cfr. Cass. V, n. 12150/2019; n. 1230/2020; n. 15318 del 2021). Per altro verso, è stata in particolare riconosciuta la facoltà di ricorrere al giudice tributario avverso tutti gli atti adottati dall'ente impositore che, esplicitando concrete ragioni (fattuali e giuridiche) che la sorreggono, porti, comunque, a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, senza necessità di attendere che la stessa, ove non sia raggiunto lo scopo dello spontaneo adempimento cui è naturaliter preordinata, si vesta della forma autoritativa di uno degli atti dichiarati espressamente impugnabili dall'art. 19 del D.L.vo 31 dicembre 1992 n. 546: sorge, infatti, in capo al contribuente destinatario, già al momento della ricezione della notizia, l'interesse, ex art. 100 cod. proc. civ., a chiarire, con pronuncia idonea ad acquisire effetti non più modificabili, la sua posizione in ordine alla stessa e, quindi, ad invocare una tutela giurisdizionale, comunque, di controllo della legittimità sostanziale della pretesa impositiva (e - o dei connessi accessori vantati dall'ente pubblico) (Così Cass. V, n. 17010/2012). Ne consegue che il contribuente ha la facoltà, non l'onere, d'impugnazione di atti diversi da quelli specificamente indicati nell'art. 19 del d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546, il cui mancato esercizio non determina alcuna conseguenza sfavorevole in ordine alla possibilità di contestare la pretesa tributaria in un secondo momento; ciò comporta che la mancata impugnazione da parte del contribuente di un atto non espressamente indicato dall'art. 19 del D.L.vo 31 dicembre 1992 n. 546 non determina, in ogni caso, la non impugnabilità (ossia la cristallizzazione) di questa pretesa, che può essere successivamente reiterata in uno degli atti tipici previsti dallo stesso art. 19 (in termini: Cass. V, n. 21045/2007; S.U. n. 10672/2009; V, n. 14373/2010; n. 8033/2011; n. 10987/2011; n. 16100/2011). L'impugnabilità del provvedimento di rigetto relativo all'istanza di collaborazione volontaria di cui alla legge n. 186/ 2014 consegue alla configurabilità di tale procedura come strumento di definizione agevolata che, preme notare fin d'ora, presuppone già un debito tributario. La Collaborazione volontaria (cd. Voluntary Disclosure), introdotta con la legge n. 186/2014, è una procedura con cui il contribuente, autodenunciandosi, dichiara al fisco "attività finanziarie e patrimoniali costituite o detenute fuori dal territorio dello Stato" non indicate nella dichiarazione (art. 5 quater/1 lett. a): cd nero transfrontaliero), ovvero redditi occultati in Italia (art. 1/2-3-4 Legge cit.: cd. nero domestico). Com'è stato fatto notare, gli effetti della corretta presentazione dell'autodenuncia sono molteplici, ma, i più importanti possono essere così riassunti: a) regolarizzazione della propria situazione patrimoniale e reddituale; b) corresponsione integrale delle imposte e degli interessi relativi ai redditi non dichiarati; c) riduzione delle sanzioni amministrative applicabili; d) non punibilità dei reati: d) di omessa o infedele dichiarazione, di dichiarazione fraudolenta con fatture false o altri artifici, di omesso versamento di ritenute certificate, di omesso versamento IVA; d2) di cui agli artt. 648 bis, 648 ter, 648 ter 1 cod. pen. Ove la dichiarazione sia infedele, l'Agenzia delle entrate esercita nuovamente il suo autonomo potere di accertamento con la revoca ex tunc dei suddetti benefici (art. 5 quinquies/10. Infine, in altra occasione (Cass. T, n. 1002/2023) è stato ritenuto pacificamente impugnabile il silenzio rigetto formatosi sulla domanda di accesso alla procedura speciale qui in scrutinio, dovendosi necessariamente riconoscere, quindi, l'impugnazione in via diretta di un diniego espresso e di ogni altro atto, provvedimento o comportamento significativo che si traduca in una limitazione al prefato accesso. Per quanto detto sopra, ne consegue che il rigetto della domanda di Collaborazione volontaria è da ritenersi equiparabile al rigetto di una domanda di definizione agevolata di rapporti tributari espressamente contemplata dall'art. 19 del d.lgs. n. 546/92. In altri termini, si tratta sempre di atti incidenti su rapporto tributario impositivo, dove sussiste l'interesse attuale, concreto ed economicamente valutabile (art. 100 c.p.c.) del contribuente ad ottenere una diversa definizione del rapporto tributario, donde può essere valutata nel merito la sussistenza o meno delle condizioni, per esempio, l'inizio di attività ispettiva che inibisce la procedura, trattandosi di volontarietà coatta dall'avviata ispezione." (cfr. Cass., V, n. 5174/2023).

3. Con il secondo motivo di doglianza, svolto in via subordinata, la parte ricorrente prospetta la errata interpretazione e applicazione della legge n. 186/2014 e del d.l. 167/1990, artt. 5-quater e 5-sexies, in combinato disposto con l'art. 2697 c.c. in parametro all'art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c. Dalla lettura del motivo di censura si evince però come l'Amministrazione finanziaria censuri, nella sostanza, il mancato rispetto del provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle Entrate n. 116808/2016 nonché delle circolari n. 30/2015 e n. 27/2015, afferenti rispettivamente la procedura di rientro effettivo delle somme oggetto di collaborazione volontaria e la prova del loro rientro, e che l'Avvocatura generale dello Stato definisce "fonte delegata dalla stessa legge n. 186/2014 che ha innestato nel d.l. 28.06.1990 n. 167 l'art. 5-sexies".

4. Il motivo è inammissibile.

4.1 Va preliminarmente precisato come la censura svolta abbia senz'altro ad oggetto i provvedimenti dell'Agenzia dell'Entrate e non l'interpretazione e - o l'applicazione della legge n. 186/2014 e - o del d.l. 167/1990, né il rapporto tra questi e il provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle Entrate n. 116808/2016 ovvero le circolari n. 30/2015 e n. 27/2015 assunti dall'Amministrazione finanziaria.

4.2 Così circoscritto il contenuto effettivo della seconda doglianza, e in accoglimento dell'eccezione svolta dal controricorrente, va qui riaffermato il principio per cui "la violazione di circolari ministeriali non può costituire motivo di ricorso per cassazione sotto il profilo della violazione di legge; posto che esse non contengono norme di diritto, bensì disposizioni di indirizzo uniforme interno all'Amministrazione da cui promanano. Caratteristiche, queste, che ne evidenziano la natura di meri atti amministrativi non provvedimentali, e che escludono che esse possano fondare posizioni di diritto soggettivo in capo a soggetti esterni all'Amministrazione stessa. A questa regola non si sottraggono le circolari dell'Amministrazione Finanziaria (del resto priva di poteri discrezionali nella determinazione delle imposte dovute, regolata per legge), le quali non vincolano né i contribuenti né i giudici; così da risultare, appunto, anch'esse esenti dal controllo di legittimità (Cass. n. 16612/08; n.11449/05)" (cfr. Cass., V, n. 5937/2017).

5. Conclusivamente il primo motivo va rigettato, mentre va dichiarato inammissibile il secondo.

6. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo. Rilevato che risulta soccombente parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall'Avvocatura generale dello Stato, non si applica l'art. 13, comma 1 - quater, del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo motivo mentre dichiara inammissibile il secondo. Condanna l'Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese di lite in favore del controricorrente che quantifica in Euro.settemilaottocento/00 oltre ad Euro.200,00 per esborsi, rimborso nella misura forfettaria del 15%, Iva e Cpa come per legge.

Così deciso in Roma, il 29 novembre 2023.

Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2024.

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