Responsabilità sanitaria – Infezioni contratte in ospedale – Onere della prova – Vicinanza della prova – Presunzioni semplici

Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.17145 del 25/06/2025

Pubblicato il

In tema di risarcimento dei danni subiti in conseguenza di un’infezione contratta in ambiente ospedaliero, la prova della sussistenza di tutti gli elementi costitutivi – ivi compreso quello soggettivo – della responsabilità della struttura sanitaria, che grava sul paziente danneggiato, può essere fornita, in ossequio al principio della vicinanza della prova, anche mediante presunzioni semplici, quando la struttura non abbia predisposto (o non abbia prodotto in giudizio) la documentazione relativa all’adozione di tutte le misure utili alla prevenzione del contagio.

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

Cassazione civile, sez. III, ordinanza 25/06/2025 (ud. 24/04/2025) n. 17145

FATTI DI CAUSA


1. So.Ra. – premesso che il giorno 11 aprile 2011 si era sottoposto ad intervento chirurgico di reimpianto di protesi al ginocchio sinistro presso l'istituto Ortopedico del Mezzogiorno d'Italia "Franco Faggiana", struttura ospedaliera gestita dalla società GIOMI Spa; che, due giorni prima, il 9 aprile 2011, nel fare ingresso in ospedale, si era sottoposto ai prescritti esami emato-chimici, compreso lo screening per l'epatite B e C, che aveva avuto esito negativo; che dopo l'intervento chirurgico era rimasto ricoverato presso la struttura ospedaliera sino al 3 giugno 2011; che, dimesso dall'ospedale, il 17 giugno successivo, su prescrizione del medico curante, aveva ripetuto le analisi, che avevano evidenziato un forte aumento delle transaminasi; infine, che il 10 gennaio 2012 aveva effettuato un ulteriore controllo, da cui era risultata senza dubbio una netta positività all'epatite HCV – convenne in giudizio, dinanzi al Tribunale di Reggio Calabria, la società GIOMI Spa perché fosse condannata al risarcimento, in suo favore, delle conseguenze pregiudizievoli derivategli dalla contrazione del virus della detta patologia, evidentemente verificatasi, se non durante l'intervento chirurgico, comunque nel corso del lungo periodo di degenza presso l'Istituto ospedaliero gestito dalla convenuta.

2. Espletata CTU, il Tribunale rigettò la domanda e la Corte d'Appello di Reggio Calabria ha rigettato l'impugnazione proposta dal sig. So.Ra.

La Corte territoriale non ha dubitato che, sulla base delle – peraltro incontroverse – circostanze di fatto prospettate dall'attore, "le analisi eseguite prima dell'intervento non avevano accertato né la positività all'epatite, né alcuna anomalia nei valori delle transaminasi", mentre quelle eseguite dopo le dimissioni dall'ospedale "avevano evidenziato tanto le suddette anomalie quanto la positività al virus" (pag.4 della sentenza impugnata). Sulla base di tali circostanze, la Corte territoriale ha osservato che "la positività ai markers, elemento da cui desumere con certezza l'avvenuto contagio, risale al gennaio 2012", mentre "l'aumento delle transaminasi, dato al quale verosimilmente collegare l'insorgenza della patologia, è del giugno 2011". Cionondimeno, essa ha ritenuto che "non può assumersi con certezza – ma neppure secondo la regola del "più probabile che non" – che l'infezione sia stata contratta durante la degenza ospedaliera" e che "non possa assumersi con un rilevante grado di probabilità che So.Ra. abbia contratto l'infezione proprio in occasione del ricovero avvenuto nell'aprile 2011 e della successiva degenza" (pag.5 della sentenza impugnata).

La Corte d'Appello ha inoltre osservato che So.Ra., pur allegando di aver contratto il virus durante il lungo periodo di ricovero, "non ha... indicato quale condotta commissiva od omissiva, imputabile alla struttura sanitaria, possa avere determinato il contagio" (pag. 4 della sentenza impugnata), con la conseguenza che "non può ritenersi assolto l'onere su di lui gravante di dimostrare l'esistenza di un nesso di causalità tra tale condotta e l'avvenuto contagio" (pag. 5 della sentenza impugnata). Al contrario, come evidenziato dal CTU, era risultato che la società convenuta aveva debitamente rispettato "le regole per la prevenzione delle infezioni poste alla base dell'organizzazione dei luoghi dove si attuano manovre cruente (sale operatorie, sale di medicazione, sale radiologiche, ecc.)" (pag. 5 della sentenza impugnata). Pertanto, non vi era prova che la causa del contagio fosse da ascrivere ad una responsabilità della struttura ospedaliera, non potendo, del resto, escludersi che il contagio fosse stato determinato da altre cause, quali la trasmissione sessuale, l'utilizzo di dispositivi estetici, di strumenti di toilette, ecc..

3. Propone ricorso per cassazione So.Ra., sulla base di due motivi.

Risponde con controricorso la società GIOMI Spa.

L'Istituto Ortopedico del Mezzogiorno d'Italia "Franco Faggiana" non ha svolto attività difensiva in questa sede.

La trattazione del ricorso, già fissata per l'adunanza camerale dell'11 dicembre 2024, è stata, previo rinvio a nuovo ruolo, effettuata all'odierna adunanza.

Il Procuratore Generale non ha depositato conclusioni scritte.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo viene denunciata, ai sensi dell'art. 360 n.3 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697,2727,1218,1223 e 1228 cod. civ.

Vengono censurate entrambe le rationes poste a fondamento della decisione impugnata, sia quella fondata sul mancato raggiungimento della prova che la malattia fosse stata contratta durante il ricovero, sia quella fondata sulla omessa allegazione, da parte del sig. So.Ra., di una precisa condotta commissiva od omissiva imputabile alla struttura sanitaria da cui sarebbe derivato il contagio, con conseguente mancata assoluzione dell'onere, incombente sul paziente, di provare il nesso causale tra tale condotta e il danno sofferto, a fronte, invece, della debita assoluzione, da parte della convenuta, dell'onere di provare l'avvenuto adempimento.

Sotto il primo profilo, il ricorrente denuncia sia l'illegittimità del ragionamento presuntivo da parte della Corte di merito, sia la violazione della regola di funzione del nesso causale, dal momento che, avuto riguardo alle incontroverse circostanze di fatto che egli aveva effettuato gli esami ematici con esito negativo al momento dell'ingresso in ospedale e li aveva ripetuti con forte aumento delle transaminasi subito dopo le dimissioni, il giudice d'appello, in base ad una "corretta applicazione dell'art. 2727 c.c." avrebbe dovuto ritenere, "secondo il principio del più probabile che non" (pag. 12 del ricorso), che l'infezione fosse stata contratta durante il ricovero.

Sotto il secondo profilo, il ricorrente osserva che il giudizio circa la mancata prova, da parte sua, nel nesso causale (e, correlativamente, quello circa la prova dell'esatto adempimento da parte della struttura) era stato espresso senza tenere conto degli specifici criteri che presiedono a tale giudizio nella fattispecie di responsabilità per infezioni nosocomiali. Sottolinea, in particolare, la rilevanza che avrebbe dovuto attribuirsi, ai fini dell'affermazione della responsabilità della struttura, ai criteri temporale, topografico e clinico e, ai fini della prova liberatoria della struttura medesima, alla indicazione dell'avvenuta adozione di tutte le misure utili alla prevenzione dell'infezione.

1.a. Con il primo motivo di ricorso, viene denunciato, oltre che, formalmente, il vizio di violazione di norme del diritto (conformemente all'evocazione contenuta nella relativa rubrica), anche, sostanzialmente, il vizio motivazionale costituzionalmente rilevante (pur in difetto di formale indicazione nella predetta rubrica), poiché il ricorrente evidenzia come nella "motivazione della decisione impugnanda", la Corte d'Appello, richiamando pedissequamente le osservazioni del CTU, per un verso, abbia rilevato che il paziente non aveva indicato alcun "chiaro elemento causale... che possa far ritenere che l'infezione sia avvenuta a causa di una malpractice degli operatori sanitari durante la degenza", mentre, per altro verso, abbia ammesso che erano state formulate "valutazioni di probabilità" e che egli aveva dedotto che "l'ente convenuto avrebbe dovuto dimostrare di avere adottato ogni cautela utile ad evitare il contagio non solo durante l'intervento chirurgico ma anche durante la degenza ospedaliera" (pagg. 5-8 del ricorso).

1.1. Il motivo, nella parte in cui denuncia il vizio motivazionale, è fondato in entrambe le censure in cui si articola.

1.1.a. La Corte d'Appello non ha messo in dubbio l'incontroversa circostanza che So.Ra., in occasione delle analisi effettuate il 9 aprile 2011 (al momento di fare ingresso in ospedale), era risultato negativo al virus dell'epatite C, mentre, invece, in occasione delle analisi effettuate alcuni giorni dopo essere stato dimesso (il 17 giugno 2011), aveva registrato un "notevole" aumento delle transaminasi, per risultare poi certamente positivo all'epatite HCV nel gennaio 2012.

Avuto riguardo a tali circostanze, la Corte di merito, pur ritenendo "verosimile" che l'insorgenza della malattia fosse collocabile nel mese di giugno 2011 – e pur riportando il dato riferito dal CTU secondo cui il periodo di incubazione sarebbe oscillato tra i 15 e 60 giorni – ha contraddittoriamente reputato che non poteva "assumersi con certezza – ma neppure secondo la regola del "più probabile che non" – che l'infezione sia stata contratta durante la degenza ospedaliera".

1.1.b. Inoltre, la motivazione, nonché contraddittoria, è del tutto assente nella parte in cui la Corte d'Appello, nel reputare non assolto l'onere del danneggiato di dimostrare il nesso di causalità tra l'evento dannoso e l'inadempimento della struttura, sul rilievo della mancata indicazione, da parte del primo, di una specifica condotta commissiva od omissiva imputabile alla seconda, non ha, nella sostanza, risposto alla deduzione secondo la quale "l'ente convenuto avrebbe dovuto dimostrare di avere adottato ogni cautela utile ad evitare il contagio non solo durante l'intervento chirurgico ma anche durante la degenza ospedaliera", omettendo del tutto di tener conto dei principi enunciati da questa Corte in tema di infezioni nosocomiali, secondo i quali l'accertamento della responsabilità della struttura sanitaria deve essere effettuato sulla base dei criteri temporale (relativo al numero di giorni trascorsi dopo le dimissioni dall'ospedale prima della contrazione della patologia), topografico (correlato all'insorgenza dell'infezione nel sito chirurgico interessato dall'intervento, in assenza di patologie preesistenti e di cause sopravvenute eziologicamente rilevanti, da valutarsi secondo il criterio della c.d. probabilità prevalente) e clinico (in ragione del quale, a seconda della specificità dell'infezione, deve essere verificato quali misure di prevenzione sarebbe stato necessario adottare da parte della struttura sanitaria) (Cass. 3/03/2023, n. 6386).

1.1.c. Peraltro, nel reputare emersa la prova liberatoria dell'esatto adempimento dell'ente ospedaliero, sul rilievo che, alla stregua della CTU, erano risultate osservate le regole per la prevenzione delle infezioni poste alla base dell'organizzazione dei luoghi dove si attuano "manovre cruente", la Corte di merito è incorsa anche nella dedotta violazione di legge, per non aver tenuto conto che la responsabilità della struttura sanitaria per infezioni nosocomiali, non avendo natura oggettiva, esige, però – a fronte della prova presuntiva, gravante sul paziente, della contrazione dell'infezione in ambito ospedaliero – che la struttura provi di avere adottato tutte le misure utili alla prevenzione della stessa, consistente nell'indicazione: a) dei protocolli relativi alla disinfezione, disinfestazione e sterilizzazione di ambienti e materiali; b) delle modalità di raccolta, lavaggio e disinfezione della biancheria; c) delle forme di smaltimento dei rifiuti solidi e dei liquami; d) delle caratteristiche della mensa e degli strumenti di distribuzione di cibi e bevande; e) delle modalità di preparazione, conservazione ed uso dei disinfettanti; f) della qualità dell'aria e degli impianti di condizionamento; g) dell'avvenuta attivazione di un sistema di sorveglianza e di notifica; h) dei criteri di controllo e di limitazione dell'accesso ai visitatori; i) delle procedure di controllo degli infortuni e della malattie del personale e delle profilassi vaccinali; j) del rapporto numerico tra personale e degenti; k) della sorveglianza basata sui dati microbiologici di laboratorio; l) della redazione di un "report" da parte delle direzioni dei reparti, da comunicarsi alle direzioni sanitarie al fine di monitorare i germi patogeni-sentinella; m) dell'orario delle effettiva esecuzione delle attività di prevenzione del rischio (Cass. 3/03/2023, n. 6386, cit.; Cass. 13/06/2023, n.16900).

Questa Corte ha anche chiarito, d'altra parte, che, in tema di risarcimento dei danni subiti in conseguenza di un'infezione contratta in ambiente ospedaliero, la prova della sussistenza di tutti gli elementi costitutivi (compreso quello soggettivo) della responsabilità della struttura sanitaria, che grava sul soggetto danneggiato, può essere fornita, in ossequio al principio della vicinanza della prova, anche con il ricorso alle presunzioni semplici, in difetto di predisposizione (o anche solo di produzione in giudizio), da parte della struttura sanitaria, della documentazione relativa all'adozione di tutte le misure utili alla prevenzione del contagio (Cass. 30/12/2024, n. 35062).

Pertanto, dinanzi alla pacifica e incontroversa circostanza che So.Ra. aveva sviluppato il notevole aumento delle transaminasi il 17 giugno 2011 (circa due settimane dopo le dimissioni dall'ospedale) mentre era senz'altro negativo al virus HCV il 9 aprile 2011 (al momento in cui vi aveva fatto ingresso), la Corte di merito non poteva considerare "liberatoria" la prova dell'osservanza delle regole di prevenzione dell'infezione nei soli luoghi (sala operatoria, di medicazione, di radiologia, ecc.) in cui venivano attuate le cc.dd. "manovre cruente", ma doveva esigere, in tal senso, la dimostrazione dell'avvenuta adozione delle misure suindicate, in quanto utili alla prevenzione dell'infezione, mentre del tutto erroneo in iure è il rilievo per cui, comunque, non sarebbe stato possibile escludere cause diverse della contrazione del virus.

Il primo motivo di ricorso va, pertanto, accolto.

2. Con il secondo motivo viene denunciata, sempre ai sensi dell'art. 360 n. 3 cod. proc. civ., la violazione a falsa applicazione dell'art. 91 cod. proc. civ.

Il ricorrente censura la specifica statuizione con cui, sul presupposto della sua soccombenza, la Corte di merito lo ha condannato a rimborsare alla struttura sanitaria le spese del grado d'appello.

Sostiene che, al contrario, stante la fondatezza della sua domanda e, conseguentemente, quella del gravame proposto avverso la sentenza di primo grado, la Corte territoriale avrebbe piuttosto dovuto condannare la convenuta-appellata al pagamento, in suo favore, delle spese di entrambi i gradi di giudizio.

2.1. Il secondo motivo resta assorbito per effetto dell'accoglimento del primo, dal momento che l'auspicata rinnovazione del regolamento delle spese dei gradi di merito dovrà essere effettuata dal giudice del rinvio, all'esito del riesame della domanda risarcitoria, da compiersi nel rispetto dei principi sopra ricordati.

3. In definitiva, va accolto il primo motivo e dichiarato assorbito il secondo.

La sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto con rinvio alla Corte d'Appello di Reggio Calabria, in diversa composizione, che rinnoverà l'esame della domanda risarcitoria, conformandosi agli enunciati principi.

Il giudice del rinvio provvederà altresì sulle spese del presente giudizio di legittimità (art. 385, terzo comma, cod. proc. civ.).

4. A norma dell'art. 52 del D.Lgs. n. 196 del 2003, deve disporsi che, in caso di diffusione del presente provvedimento, siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi del ricorrente.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara assorbito il secondo. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d'Appello di Reggio Calabria, in diversa composizione.


Ai sensi dell'art. 52 del D.Lgs. n. 196 del 2003, dispone che, in caso di diffusione del presente provvedimento, siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi del ricorrente.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione Civile, in data 24 aprile 2025.

Depositato in Cancelleria il 25 giugno 2025.

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472