A fronte della proposizione dell’azione di risoluzione del contratto per inadempimento della controparte, con la conseguente pretesa di ritenere la caparra confirmatoria ricevuta ovvero di ottenere il doppio di quella versata, la domanda di ritenzione della caparra o di esazione del suo doppioconnota l’azione spiegata, a prescindere dal nomen iuris impiegato nell’introdurre l’azione caducatoria degli effetti del contratto, nel senso della sua implicita accessorietà all’esercizio del diritto potestativo di recesso, quale ulteriore ipotesi di risoluzione ex lege.
artt. 1385 e 1453 c.c.
Cassazione civile, sez. II, ordinanza 07/11/2025 (ud. 22/10/2025) n. 29482
FATTI DI CAUSA
1. – Con atto di citazione notificato il 4 agosto 2014, Ra.Ga. conveniva, davanti al Tribunale di Torino, Po.Fi., al fine di sentire pronunciare il trasferimento, in suo favore, della proprietà dell'immobile ad uso autorimessa sito in M, (Omissis), distinto in catasto fabbricati del predetto Comune al foglio n. (Omissis), particella n. (Omissis), subalterno n. (Omissis), in attuazione dell'impegno assunto con il contratto preliminare di vendita concluso tra le parti il 21 marzo 2013, per il prezzo di Euro 20.000,00, di cui Euro 15.000,00 corrisposti a titolo di caparra confirmatoria, in esito all'inadempimento imputabile alla convenuta promittente alienante, conseguente all'accertamento di due formalità pregiudizievoli gravanti sul box in favore di un terzo e, segnatamente, della trascrizione di una domanda giudiziale ex art. 2932 c.c. del 6 ottobre 2005 e della relativa sentenza traslativa del 5 maggio 2009.
Si costituiva in giudizio Po.Fi., la quale negava la propria responsabilità per l'esistenza delle trascrizioni pregiudizievoli, imputandone la colpa alla condotta omissiva del notaio rogante dell'acquisto in suo favore, di cui chiedeva la chiamata in causa in garanzia.
Autorizzata la chiamata in causa, si costituiva in giudizio De.Le., il quale concludeva per il rigetto delle domande spiegate nei suoi confronti, escludendo la propria responsabilità in ragione dell'errore compiuto da terzi nella redazione delle formalità pregiudizievoli.
Nel corso del giudizio era espletata consulenza tecnica d'ufficio, volta a verificare se il box oggetto di causa coincidesse o meno con il box oggetto dell'ulteriore azione intrapresa dal terzo.
All'esito, l'attore mutava la propria domanda e, per l'effetto, chiedeva la risoluzione del contratto e la restituzione del doppio della caparra confirmatoria versata.
Quindi, il Tribunale adito, con sentenza n. 592/2018, depositata l'8 febbraio 2018, accoglieva le domande avanzate dall'attore – come mutate in corso di causa – e, per l'effetto, dichiarava la risoluzione del contratto preliminare di vendita stipulato tra le parti il 21 marzo 2013 e condannava la convenuta promittente venditrice al pagamento, in favore dell'attore promissario acquirente, della somma di Euro 30.000,00, a titolo di restituzione del doppio della caparra confirmatoria versata, condannando altresì il notaio terzo chiamato a manlevare la promittente alienante di quanto dalla stessa dovuto al promissario acquirente.
2.– Con atto di citazione notificato l'8 marzo 2018, proponeva appello avverso la pronuncia di prime cure De.Le., lamentando: 1) la mancata chiamata in causa iussu iudicis del terzo Elia Ornella; 2) l'irrilevanza delle erronee trascrizioni pregiudizievoli avvenute, che non avrebbero avuto alcuna incidenza sul regime proprietario sostanziale dell'immobile, attesa la natura dichiarativa della formalità pubblicitaria; 3) l'erroneo accoglimento della domanda di pagamento del doppio della caparra confirmatoria versata, pur in assenza di una specifica domanda di recesso; 4) l'inammissibilità della condanna in manleva del notaio per l'importo corrispondente al doppio della caparra confirmatoria versata.
Si costituiva nel giudizio d'impugnazione Ra.Ga., il quale instava per il rigetto dell'appello e, in via incidentale, chiedeva che fosse riformato il capo relativo alla regolamentazione delle spese di lite, quanto all'individuazione dello scaglione di riferimento, al mancato aumento per la difesa contro più parti e per la manifesta fondatezza delle difese della parte vittoriosa nonché alla mancata liquidazione degli onorari relativi alla trascrizione della domanda giudiziale.
Si costituiva altresì Po.Fi., la quale rinunciava a far valere la manleva verso il notaio per la somma di Euro 15.000,00, pari all'importo della caparra confirmatoria ricevuta, chiedendo che l'appello fosse dichiarato inammissibile o infondato.
Decidendo sul gravame interposto, la Corte d'Appello di Torino, con la sentenza di cui in epigrafe, accoglieva l'appello principale per quanto di ragione e, per l'effetto, in parziale riforma della pronuncia appellata, confermata la pronuncia di risoluzione del preliminare per inadempimento della promittente alienante, condannava quest'ultima alla restituzione, in favore del promissario acquirente, dell'importo di Euro 15.000,00, oltre rivalutazione monetaria e interessi, confermando – per il resto – la sentenza impugnata e rigettando lo spiegato appello incidentale.
A sostegno dell'adottata pronuncia la Corte di merito rilevava per quanto di interesse in questa sede: a) che, nel caso in cui le parti avessero pattuito una caparra confirmatoria, la parte adempiente avrebbe potuto scegliere tra due rimedi alternativi e non cumulabili, ossia recedere dal contratto e trattenere la caparra ricevuta o esigere il doppio di quella versata oppure domandare la risoluzione del contratto e il risarcimento dei conseguenti danni, da provare ai sensi dell'art. 1223 c.c., con la restituzione di quanto già versato; b) che il Tribunale, nel pronunciare la risoluzione del contratto preliminare, non si era conformato ai principi di diritto innanzi espressi, in quanto aveva omesso di considerare che i rimedi risarcitori di cui all'art. 1385, secondo e terzo comma, c.c. non erano cumulabili tra loro e, pertanto, il giudice di prime cure, nel pronunciare la risoluzione del contratto, non avrebbe dovuto condannare, al contempo, la parte inadempiente a pagare, pur in assenza di prova dei danni, il doppio della caparra ricevuta, ancorché la parte adempiente avesse in tal senso ampliato la domanda originaria; c) che, infatti, ove la parte adempiente avesse chiesto la risoluzione del contratto, ciò significava che aveva inteso realizzare gli effetti propri dell'inadempimento contrattuale, ai sensi dell'art. 1453 c.c., e non già esercitare il recesso ai sensi dell'art. 1385 c.c.; d) che, in conseguenza, in riforma della sentenza impugnata, doveva essere dichiarata la risoluzione del preliminare, con condanna della promittente venditrice alla restituzione, in favore del promissario compratore, dell'importo di Euro 15.000,00, corrisposto in esecuzione del contratto.
3.– Avverso la sentenza d'appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, Ra.Ga.
Ha resistito, con controricorso, De.Le.
È rimasta intimata Po.Fi.
4.– Il ricorrente e il controricorrente hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.– Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 1385 e 1453 c.c., in tema di domanda di restituzione del doppio della caparra confirmatoria e di implicito esercizio dell'azione di recesso dal contratto, per avere la Corte di merito negato la spettanza del doppio della caparra confirmatoria versata, conseguente all'esercizio dell'azione di recesso, indipendentemente dal nomen iuris in concreto adottato di "risoluzione" in ordine alla pretesa esercitata in giudizio.
Osserva l'istante che la sostanziale limitazione dell'oggetto del contenzioso alla diversa ipotesi della risoluzione per inadempimento contrattuale, con l'esclusione dell'esercizio dell'azione di recesso, nonostante l'espressa formulazione della domanda di restituzione del doppio della caparra confirmatoria versata, avrebbe violato il consolidato principio nomofilattico, a mente del quale una domanda di recesso, ancorché non formalmente proposta, può ritenersi ugualmente, anche se implicitamente, avanzata in causa dalla parte adempiente, allorché la stessa abbia chiesto la condanna della controparte – la cui inadempienza sia stata dedotta come ragione legittimante della pronuncia di risoluzione del contratto – alla restituzione del doppio della caparra a suo tempo corrisposta, quale unica ed esaustiva sanzione risarcitoria di tale inadempienza.
2.– Con il secondo motivo il ricorrente prospetta, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, per avere la Corte territoriale qualificato l'azione esperita quale azione di risoluzione ex art. 1453 c.c., conferendo rilievo determinante alla sola richiesta di "risoluzione" del contratto, e non già come azione di recesso ex art. 1385, secondo comma, c.c., per la quale il Collegio avrebbe invece dovuto propendere, se avesse dato il corretto rilievo alla contestuale richiesta di restituzione del doppio della caparra confirmatoria.
Obietta l'istante che la sentenza impugnata avrebbe dato peso decisivo al mero nomen iuris attribuito dall'attore all'azione, tralasciando di considerare il petitum, cioè l'istanza di condanna alla restituzione del doppio della caparra versata con il contratto preliminare, circostanza, quest'ultima, che avrebbe costituito fatto storico decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, peraltro pacifico e incontrovertibile, perché riconosciuto in tutti gli atti difensivi dallo stesso notaio rogante e, più in particolare, nel terzo motivo dell'appello da quest'ultimo interposto.
3.– Con il terzo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., l'omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c., per avere la Corte distrettuale omesso di motivare il mancato accoglimento delle eccezioni sollevate dal Ra.Ga. avverso il terzo motivo di appello proposto dall'appellante, con riferimento alla qualificazione in termini di recesso della domanda risolutoria accessoria alla pretesa di ritenzione della caparra confirmatoria o di esazione del suo doppio.
4.– Con il quarto motivo il ricorrente contesta, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., l'omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c., per avere la Corte dell'impugnazione mancato di pronunciarsi sulla censura di cui all'appello incidentale, relativa all'omessa liquidazione degli "onorari" e dei costi sostenuti per la trascrizione della domanda introduttiva del giudizio di primo grado, avendo regolarmente depositato il 18 gennaio 2018 la nota spese giudiziale.
5.– Il primo mezzo di critica è fondato.
Al riguardo, come sancito già da Cass. Sez. U, Sentenza n. 553 del 14/01/2009, la domanda di ritenzione della caparra confirmatoria (o di condanna al pagamento del suo doppio) è legittimamente proponibile, nell'incipit del processo, a prescindere dal nomen iuris utilizzato dalla parte nell'introdurre l'azione "caducatoria" degli effetti del contratto: se quest'azione dovesse essere definita "di risoluzione contrattuale" in sede di domanda introduttiva, sarà compito del giudice, nell'esercizio dei suoi poteri officiosi di interpretazione e qualificazione in iure della domanda stessa, convertirla formalmente in azione di recesso (nello stesso senso Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 91 del 03/01/2024; Sez. 2, Ordinanza n. 32727 del 24/11/2023).
Conclusione, quest'ultima, alla quale si coniuga l'orientamento di questa Corte a mente del quale la domanda di risoluzione del contratto non costituisce domanda nuova rispetto a quella con cui il contraente non inadempiente abbia originariamente chiesto la declaratoria della legittimità del proprio recesso ex art. 1385, secondo comma, c.c., con contestuale incameramento della caparra confirmatoria (o condanna al pagamento del suo doppio), essendo l'azione di recesso un'ipotesi di risoluzione ex lege (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 21317 del 30/07/2024). Il diritto di recesso è, infatti, una evidente forma di risoluzione stragiudiziale del contratto, che presuppone pur sempre l'inadempimento della controparte avente i medesimi caratteri dell'inadempimento che giustifica la risoluzione giudiziale: esso costituisce null'altro che uno speciale strumento di risoluzione negoziale per giusta causa, alla quale lo accumunano tanto i presupposti – l'inadempimento della controparte – quanto le conseguenze – la caducazione ex tunc degli effetti del contratto – (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2969 del 31/01/2019).
Sicché assume rilievo dirimente, come nella fattispecie, la circostanza processuale che sia stata espressamente richiesta, a supporto della domanda risolutoria comunque formalmente qualificata, la ritenzione della caparra confirmatoria ricevuta ovvero l'esazione del doppio di quella data.
Per converso, la domanda diretta ad ottenere la risoluzione per inadempimento presuppone l'esercizio dell'opzione contemplata dall'art. 1385, terzo comma, c.c., ossia la volontà di ottenere la pronuncia costitutiva della risoluzione giudiziale ex art. 1453 c.c., con il conseguente risarcimento del danno regolato dalle norme generali, come tale rimesso alla determinazione dell'autorità giudiziaria e subordinato alla dimostrazione dell'an e del quantum debeatur.
E tanto perché l'esercizio del potere di recesso conferito ex lege è indifferibilmente collegato (fino a costituirne un precipitato) alla volontà di avvalersi della (sola) caparra confirmatoria ex art. 1385 c.c., che ha la funzione di liquidare convenzionalmente il danno da inadempimento in favore della parte non inadempiente (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 5854 del 05/03/2024; Sez. 2, Ordinanza n. 20532 del 29/09/2020; Sez. 2, Sentenza n. 8417 del 27/04/2016; Sez. 2, Sentenza n. 17923 del (Omissis)/08/2007).
Cosìcché una domanda di recesso, ancorché non formalmente proposta nei termini di esercizio del recesso, può ritenersi egualmente, anche se implicitamente, avanzata in causa dalla parte adempiente, quando la stessa abbia richiesto la condanna della controparte, la cui inadempienza sia stata dedotta quale ragione giustificativa della pronunzia di risoluzione del contratto, alla restituzione del doppio della caparra a suo tempo corrisposta (ovvero l'accertamento del diritto a trattenere quella ricevuta), quale unica ed esaustiva sanzione risarcitoria di tale inadempienza (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 8773 del 03/04/2024; Sez. 2, Ordinanza n. 5854 del 05/03/2024; Sez. 2, Sentenza n. 23209 del 31/07/2023; Sez. 2, Ordinanza n. 26856 del 13/09/2022; Sez. 2, Ordinanza n. 21504 del 07/07/2022; Sez. 2, Sentenza n. 19801 del 12/07/2021; Sez. 6-2, Ordinanza n. 27262 del 24/10/2019; Sez. 2, Ordinanza n. 25146 del 08/10/2019; Sez. 2, Ordinanza n. 22657 del 27/09/2017; Sez. 2, Sentenza n. 21854 del 15/10/2014; Sez. 2, Sentenza n. 28204 del 17/12/2013; Sez. 2, Sentenza n. 2032 del 01/03/1994; Sez. 2, Sentenza n. 2596 del 24/05/1978).
Viceversa, va qualificata in termini di declaratoria di risoluzione giudiziale per inadempimento – soggetta, pertanto, alla relativa disciplina generale –, e non quale esercizio del diritto potestativo di recesso, la domanda con cui la parte non inadempiente, che abbia corrisposto la caparra, chieda, oltre alla risoluzione del contratto, la condanna della controparte al pagamento del doppio della caparra versata e il ristoro degli ulteriori danni asseritamente patiti – ovvero la parte che l'abbia corrisposta chieda, ad integrazione dell'invocata risoluzione, l'accertamento del diritto a ritenerla, oltre alla riparazione dell'ulteriore nocumento patito – (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 32727 del 24/11/2023; Sez. 2, Ordinanza n. 21504 del 07/07/2022; Sez. 2, Ordinanza n. 18392 del 08/06/2022; Sez. 2, Sentenza n. 20957 del 08/09/2017; Sez. 3, Sentenza n. 18850 del 20/09/2004; Sez. 2, Sentenza n. 1301 del 29/01/2003).
Alla stregua della predetta ricostruzione, la parte non inadempiente non può, in tal caso (ossia ove abbia richiesto il risarcimento del danno ulteriore), pretendere il pagamento del doppio della caparra (ovvero esercitare il diritto ad incamerarla definitivamente), poiché, in questa evenienza, essa perde la sua funzione di limitazione forfettaria e predeterminata della pretesa risarcitoria (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 21085 del 04/07/2022; Sez. 2, Ordinanza n. 40292 del 15/12/2021; Sez. 2, Ordinanza n. 21559 del 07/10/2020; Sez. 2, Ordinanza n. 25146 del 08/10/2019; Sez. 2, Sentenza n. 8571 del 27/03/2019; Sez. 6-2, Ordinanza n. 24824 del 09/10/2018).
Ebbene, in ordine all'interpretazione del giudice di merito relativa alla natura dell'azione spiegata, la richiesta formulata in termini di domanda "dichiarativa" di risoluzione, con l'aggiuntiva pretesa di ricevere il doppio della caparra versata (ovvero di ritenere quella ricevuta), deve essere correttamente qualificata, avendo riguardo non tanto al nomen iuris utilizzato dalla parte nell'introdurre l'azione caducatoria degli effetti del contratto (ossia volta ad ottenere lo scioglimento del rapporto), ma soprattutto attribuendo il giusto rilievo alla congiunta e funzionale richiesta di pagamento del doppio della caparra confirmatoria versata (o di ritenzione di quella acquisita), che connota la domanda nel senso della sua implicita accessorietà all'esercizio del diritto potestativo di recesso, quale ulteriore ipotesi di risoluzione ex lege.
La Corte di merito non si è attenuta ai citati principi e, pertanto, si rende necessario un nuovo esame.
6.– Le tre doglianze residue sono assorbite dall'accoglimento del primo motivo.
In specie, il secondo e il terzo motivo risultano assorbiti in senso "proprio", poiché vertono anch'essi – come la prima censura accolta – sul mancato riconoscimento del doppio della caparra confirmatoria versata, sicché la decisione su tali doglianze è divenuta superflua per effetto della decisione sul motivo pregiudiziale, con conseguente sopravvenuta carenza di interesse alla loro disamina.
Viceversa, il quarto motivo è assorbito in senso "improprio", in quanto l'accoglimento del primo, assorbente, motivo esclude la possibilità di provvedere sulla censura relativa alla mancata liquidazione delle spese di lite (e, in specie, all'asserito mancato riconoscimento degli oneri relativi alla trascrizione della domanda giudiziale), già oggetto di specifico motivo di gravame incidentale, implicando l'accoglimento del motivo assorbente la caducazione del capo relativo a tale liquidazione, in ragione dell'effetto espansivo interno ex art. 336, primo comma, c.p.c., con la conseguente necessità che il giudice del rinvio provveda nuovamente sulla regolamentazione di dette spese, tenuto conto dell'esito complessivo del giudizio.
7.– In conseguenza delle argomentazioni esposte, il primo motivo del ricorso deve essere accolto mentre i restanti motivi sono assorbiti.
La sentenza impugnata va dunque cassata, limitatamente al motivo accolto, con rinvio della causa alla Corte d'Appello di Torino, in diversa composizione, che deciderà uniformandosi al seguente principio di diritto e tenendo conto dei rilievi svolti, provvedendo anche alla pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione.
"A fronte della proposizione dell'azione di "risoluzione" del contratto per inadempimento della controparte, con la conseguente pretesa di ritenere la caparra confirmatoria ricevuta ovvero di ottenere il doppio di quella versata, la domanda di ritenzione della caparra o di esazione del suo doppio connota l'azione spiegata a prescindere dal nomen iuris impiegato dalla parte nell'introdurre l'azione "caducatoria" degli effetti del contratto, nel senso della sua implicita accessorietà all'esercizio del diritto potestativo di recesso, quale ulteriore ipotesi di risoluzione ex lege".
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione
accoglie il primo motivo del ricorso, dichiara assorbiti i rimanenti motivi, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d'Appello di Torino, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile, in data 22 ottobre 2025.
Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2025.