Truffa, diritto di querela, addetto che si è personalmente occupato della transazione commerciale, legittimazione

Corte di Cassazione, sez. II Penale, Sentenza n.50725 del 04/10/2016 (dep. 29/11/2016)

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Il diritto di querela per il delitto di truffa spetta, indipendentemente dalla formale attribuzione del potere di rappresentanza, anche all'addetto che si sia personalmente occupato, trovandosi al bancone di vendita, della transazione commerciale con cui si è consumato il reato, assumendo egli, in quel frangente, la responsabilità in prima persona dell'attività del negozio e rivestendo pertanto la titolarità di fatto dell'interesse protetto dalla norma incriminatrice.

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Cassazione penale sez. II, 04/10/2016, (ud. 04/10/2016, dep. 29/11/2016), n.50725

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 18/9/2015 il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Ivrea non convalidava l'arresto facoltativo di F.N. effettuato dalla Polizia Giudiziaria in relazione al reato di truffa aggravata, ordinando l'immediata liberazione dello stesso, se non detenuto per altra causa; riteneva infatti il giudice, sulla base della provvisoria imputazione redatta dal PM, di trovarsi in presenza di una truffa procedibile a querela e che tale condizione di procedibilità mancasse perchè quella in atti proveniva da soggetto non legittimato.

2. Avverso tale provvedimento proponeva ricorso per Cassazione il P.M. presso il Tribunale di Ivrea, sollevando il seguente motivo di gravame: mancanza e manifesta illogicità della motivazione, dal momento che sebbene la provvisoria imputazione redatta dalla Procura contestasse una ipotesi di truffa semplice, in realtà gli operanti avevano proceduto all'arresto in relazione ad ipotesi di truffa aggravata ai sensi dell'art. 61 c.p., nn. 2 e 7, sicchè il giudice della convalida avrebbe errato nel ritenere il reato procedibile a querela, poichè avrebbe dovuto porsi nell'ottica della Polizia Giudiziaria ed effettuare un controllo della legittimità dell'operato di quest'ultima sulla base di un canone di ragionevolezza in relazione allo stato di flagranza e sulla ricorrenza di uno dei reati richiamati dagli artt. 380 e 381 c.p.; controllo che avrebbe dovuto rilevare la presenza delle citate aggravanti (dal momento che l'indagato aveva carpito il consenso della persona offesa, ordinando merce per un valore di oltre Euro 2.000,00 - dunque rilevante entità del danno - in cambio della consegna di un assegno circolare contraffatto - e quindi aggravante teleologica-). Del tutto carente sarebbe anche stata la motivazione in relazione al presupposto della gravità del fatto e alla pericolosità del soggetto, nella specie sussistenti in relazione alla natura di piccola impresa a conduzione familiare rivestita dalla p.o. e ai plurimi precedenti, anche specifici, dell'indagato.

3. Il Procuratore generale, con nota del 21.7.2016, chiedeva l'annullamento senza rinvio dell'ordinanza impugnata sia perchè la querela deve considerarsi legittimamente proposta dal soggetto che ha direttamente subito il raggiro, sia perchè il giudice della convalida non è vincolato dalla qualificazione operata dal PM, dovendo invece valutare direttamente l'operato della PG, ponendosi nell'ottica nella quale questa ha esercitato la sua facoltà di arresto.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso risulta fondato e merita accoglimento.

1. Il giudice della convalida ha incentrato il proprio ragionamento sulla circostanza che il soggetto che ha sporto la querela ( M.D.A.) è un semplice socio della società di persone (la Elettric solution s.a.s.) titolare dell'esercizio commerciale truffato; l'omessa indicazione della qualifica sociale rivestita dal querelante, richiesta dall'art. 337 c.p.p., comma 3, unita al fatto che in atti "titolare" dell'azienda risultava essere la moglie del querelante ( A.E.), hanno indotto il GIP ad affermare che il M. fosse privo del potere di rappresentanza della persona offesa titolare del diritto di querela e che l'invalidità di quest'atto compromettesse la procedibilità del reato.

2. Come noto, ai sensi dell'art. 120 c.p., la titolarità del diritto di querela compete ad "ogni persona offesa da un reato".

2.1. Questa Corte, in ripetute circostanze, ha già avuto modo di affermare, in tema di individuazione della persona offesa, cui compete il diritto di querela, che deve intendersi tale il soggetto passivo del reato, ossia colui che subisce la lesione dell'interesse penalmente protetto.

Possono pertanto coesistere più soggetti passivi di un medesimo reato, che vanno individuati, appunto, con riferimento alla titolarità del bene giuridico protetto. Tale affermazione è stata fatta in ipotesi di appropriazione indebita di gioielli da parte di un rappresentante, ritenendo persona offesa non solo la società proprietaria dei preziosi, ma anche il "procacciatore di affari" per conto della predetta società, legittimo possessore dei beni consegnati al rappresentante, e tenuto al risarcimento nei confronti del proprietario (cfr. Sez. 2, Sentenza n. 2862 del 27/01/1999, Rv. 212766).

In altra vicenda, conclusioni simili sono state raggiunte allorchè sono stati ritenuti legittimati in proprio a proporre querela per furto in un supermercato sia il direttore che il commesso, posto che la qualità di persona offesa compete, in simile evenienza, non solo al titolare di diritti reali, ma anche ai soggetti responsabili dei beni posti in vendita (cfr. Sez. 4, n. 37932 del 28/09/2010, Rv. 248451).

Peraltro, anche le SS.UU. di questa Corte hanno affermato (cfr. S.U. n. 40354 del 18/07/2013, Rv. 255975) che nei reati contro il patrimonio il bene giuridico protetto va individuato anche nel possesso inteso come relazione di fatto con la cosa.

3. Pare dunque evidente che il soggetto che ha proposto la querela, il quale ha esposto di essersi personalmente occupato della transazione commerciale con l'indagato, trovandosi al bancone di vendita al momento del pagamento, debba considerarsi persona offesa e dunque titolare in proprio di un autonomo diritto di querela in quanto responsabile, in quel frangente, delle attività del negozio.

4. Evidentemente ricorrenti sono poi nel caso di specie gli ulteriori presupposti, previsti dall'art. 381 c.p.p., comma 4, per legittimare l'arresto facoltativo, e cioè la gravità del fatto ovvero la pericolosità del soggetto desunta dalla sua personalità o dalle circostanze del fatto; invero, come ribadito dal PM ricorrente, oltre alla gravità delle condotte consistenti nel possesso di numerosi assegni di provenienza illecita e nel rilevante danno arrecato alla persona offesa, il F.N. è soggetto pregiudicato per delitti di carattere specifico, con numerosi precedenti di polizia anch'essi specifici.

5. Sulla base delle su esposte considerazioni, apparendo legittimo l'arresto operato, l'ordinanza impugnata deve essere annullata senza rinvio.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio l'ordinanza impugnata e dichiara legittimo il provvedimento di arresto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 4 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 29 novembre 2016.

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