Corte di Cassazione, sez. III Penale, Sentenza n.4573 del 19/10/2017 (dep. 31/01/2018)

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È inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che riproducono le medesime ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità del motivo, infatti, va valutata e ritenuta non solo per la sua genericità, intesa come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione, dal momento che quest'ultima non può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità che conduce, a norma dell'art. 591 comma 1, lett. c) cod. proc. pen., alla inammissibilità della impugnazione.

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Cassazione Penale 
Sez. 3 
Sentenza Num. 4573 Anno 2018
Presidente: SAVANI PIERO
Relatore: DI STASI ANTONELLA
Data Udienza: 19/10/2017

Ritenuto in fatto

 

1. Con sentenza del 13/05/2015, il Tribunale di S.M. Capua Vetere dichiarava Attanasio Antonio e Attanasio Domenico responsabili del reato di cui agli artt. 110 cod.pen. e 6 lett. lett. e) L 210/2008 - per la realizzazione e gestione di una discarica non autorizzata sul terreno sito in Baia e Latina alla via Filippo Turati mediante deposito di rifiuti speciali non pericolosi- e li condannava ciascuno alla pena di anni due di reclusione ed euro 25.000,00 di multa ed al risarcimento dei danni in favore della parte civile, disponendo, altresì, la confisca dell'area su cui insistevano i rifiuti, previa bonifica a cura degli imputati.
Con sentenza del 28/10/2016, la Corte di appello di Napoli, in riforma della predetta sentenza, riconosceva agli imputati le circostanze attenuanti generiche e rideterminava la pena inflitta in anni uno di reclusione ed euro 14.000,00 di multa.

 

2. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione Attanasio Antonio e Attanasio Domenico, per il tramite del difensore di fiducia, articolando un unico complesso motivo, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173 comma 1, disp. att. cod. proc. pen., con il quale deducono violazione di legge in relazione agli artt. 6 lett. b) ed e) della legge 210/2008-256 comma 2 d.lgs 152/2006 e correlato vizio di motivazione.

I ricorrenti argomentano che nei motivi di gravame si era chiesta la derubricazione della fattispecie per la quale era intervenuta condanna in primo grado nella ipotesi meno grave di abbandono o deposito incontrollato di rifiuti ai sensi dell'art. 256, comma 2, d.lgs 152/2006, al fine poter beneficiare del regime sanzionatorio più favorevole e della impossibilità di procedere a confisca dell'area interessata; sul punto si era ribadita la sussistenza di tutti i presupposti per una diversa qualificazione giuridica del fatto e, cioè, il mancato superamento del limite temporale di un anno di giacenza dei rifiuti sull'area, come delineato dall'art. 2 lett. g) d.lgs 36/2003 e l'assenza di indici sintomatici delineati dalla giurisprudenza per la configurabilità del reato di discarica abusiva. La Corte territoriale, però, ometteva di rispondere ai rilievi difensivi, disattendendo la richiesta di diversa qualificazione giuridica con motivazione apparente ed illogica, con travisamento della prova per omessa valutazione della deposizione del teste Sabino Fabrizio ed omettendo di valutare, a tal fine, la documentazione prodotta dalla difesa e relativa all'operazione di smaltimento dei rifiuti eseguita a seguito del dissequestro temporaneo dell'area.
Chiedono, pertanto, l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, per essere, nelle more del ricorso, maturata la prescrizione del reato e l'eliminazione della disposta confisca dell'area.
In data 12.10.2017 è pervenuta in Cancelleria istanza del difensore di emissione di sentenza di annullamento senza rinvio nei confronti del ricorrente Attanasio Antonio per sopravvenuta morte del reo, istanza corredata da relativo certificato di morte.

 
Considerato in diritto

 

1. Va, innanzitutto, rilevato che l'intervenuta morte dell'imputato Attanasio Antonio, successivamente alla proposizione del presente ricorso, come da certificazione prodotta dal difensore, comporta l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per essersi estinto il reato per morte del reo.

 

Secondo la giurisprudenza assolutamente pacifica di questa Corte, la morte dell'imputato, intervenuta prima dell'irrevocabilità della sentenza, comporta la cessazione sia del rapporto processuale in sede penale che del rapporto processuale civile inserito nel processo penale, con la conseguenza che va dichiarata l'estinzione del reato per morte del reato con annullamento della sentenza impugnata, restando caducate ex lege le eventuali statuizioni civilistiche senza la necessità di una apposita dichiarazione da parte del giudice penale (Sez.3, n.5870 del 02/12/2011, dep.15/02/2012, Rv.251981; Sez.2, n.11073 del 17/02/2009, Rv.243865; Sez.4, n.44663 del 14/10/2005, Rv.232620; Sez.4, n.58 del 08/11/2000, dep.09/01/2001, Rv.219149).

 

2. Il ricorso proposto da Attanasio Domenico va dichiarato inammissibile.

 

2.1. Va premesso che è pacifica acquisizione della giurisprudenza di questa Suprema Corte come debba essere ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che riproducono le medesime ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità del motivo, infatti, va valutata e ritenuta non solo per la sua genericità, intesa come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione, dal momento che quest'ultima non può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità che conduce, a norma dell'art. 591 comma 1, lett. c) cod. proc. pen., alla inammissibilità della impugnazione (in tal senso sez. 2, n. 29108 del 15.7.2011, Cannavacciuolo non mass.; conf. sez. 5, n. 28011 del 15.2.2013, Sammarco, rv. 255568; sez. 4, n. 18826 del 9.2.2012, Pezzo, rv. 253849; sez. 2, n. 19951 del 15.5.2008, Lo Piccolo, rv. 240109; sez. 4, n. 34270 del 3.7.2007, Scicchitano, rv. 236945; sez. 1, n. 39598 del 30.9.2004, Burzotta, rv. 230634; sez. 4, n. 15497 del 22.2.2002, Palma, rv. 221693). Ancora di recente, questa Corte di legittimità ha ribadito come sia inammissibile il ricorso per cassazione fondato sugli stessi motivi proposti con l'appello e motivatamente respinti in secondo grado, sia per l'insindacabilità delle valutazioni di merito adeguatamente e logicamente motivate, sia per la genericità delle doglianze che, così prospettate, solo apparentemente denunciano un errore logico o giuridico determinato (sez. 3, n. 44882 del 18.7.2014, Cariolo e altri, rv. 260608).

 

Va anche rimarcato che, in caso di conforme affermazione di responsabilità, il giudice di secondo grado, nell'effettuare il controllo in ordine alla fondatezza degli elementi su cui si regge la sentenza impugnata, non è chiamato ad un puntuale riesame di quelle questioni riportate nei motivi di gravame, sulle quali si sia già soffermato il primo giudice, con argomentazioni che vengano ritenute esatte e prive di vizi logici, non specificamente e criticamente censurate.

In tale caso, infatti, le motivazioni della pronuncia di primo grado e di quella di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione, tanto più ove i giudici dell'appello abbiano esaminato le censure con criteri omogenei a quelli usati dal giudice di primo grado e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione, cosicchè le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito costituiscano una sola entità (Sez.3, n.44418 del 16/07/2013, Rv.257595; sez. 2 n. 34891 del 16.05.2013, Vecchia, rv. 256096, non massimata sul punto; conf. sez. 3, n. 13926 del 1.12.2011, dep. 12.4. 2012, Valerio, rv. 252615: sez. 2, n. 1309 del 22.11.1993, dep. 4.2. 1994, Albergamo ed altri, rv. 197250).

Nella motivazione della sentenza il giudice del gravame di merito non è tenuto, inoltre, a compiere un'analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una loro valutazione globale, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo.

 

Ne consegue che in tal caso debbono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (cfr. sez. 6, n. 49970 del 19.10.2012, Muià ed altri rv.254107; sez. 6, n.1307 del 26 settembre 2002, dep. 14 gennaio 2003, Delvai, rv. 223061).

 

2.2. Nella specie, le motivazioni delle due sentenze si saldano fornendo un'unica e complessa trama argomentativa, non scalfita dalle censure mosse dal ricorrente che ripropone gli stessi motivi proposti con l'appello e motivatamente respinti in secondo grado.

I Giudici di merito, con argomentazioni congrue e logiche, hanno ritenuto accertata la fattispecie contestata- realizzazione e gestione di una discarica non autorizzata sul terreno sito in Baia e Latina alla via Filippo Turati mediante deposito di rifiuti speciali non pericolosi- escludendo l'ipotesi del deposito temporaneo e la diversa configurabilità del reato di abbandono incontrollato di rifiuti ai sensi dell'art. 256, comma 2, d.lgs 152/2006.

 

E' stato rimarcato, innanzitutto, come erano stati superati i limiti quantitativi previsti per il deposito temporaneo e come i conferimenti di rifiuti, tutti riconducibili all'attività edilizia, erano stati reiterati nel tempo, con cadenza quasi quotidiana; si è, quindi, rilevato, sulla base delle condizioni dei luoghi come comprovate dalle risultanze istruttorie (ortofoto e situazione dei luoghi riscontrata al momento del sequestro), che i rifiuti erano stati accumulati senza alcun trattamento, che l'area interessata era molto degradata e che sul luogo era presente una pala meccanica per la movimentazione dei rifiuti.

La Corte territoriale ha spiegato in termini esaustivi e logici come dalle risultanze probatorie sia emersa una situazione di abbandono reiterato e prolungato di una ingente quantità di rifiuti con complessivo degrado dell'area; di qui la congruente conclusione, del tutto in linea con le pronunce di questa Corte che hanno tracciato i criteri distintivi tra le varie condotte afferenti la gestione dei rifiuti, in ordine alla esclusione delle ipotesi, invocate dalla difesa in alternativa, di deposito temporaneo o di deposito incontrollato.

 

2.3. La motivazione esposta è insindacabile perché congrua e logica nonché conforme ai principi di diritto affermati in subiecta materia.

Giova ricordare che questa Suprema Corte (Sez.3, n.49911 del 10/11/2009, Rv.245865; Sez.3 n.38676 del 20/05/2014, Rv.260384) ha affermato che, per deposito controllato o temporaneo, si intende ogni raggruppamento di rifiuti, effettuato prima della raccolta, nel luogo in cui sono stati prodotti, quando siano presenti precise condizioni relative alla quantità e qualità dei rifiuti, al tempo dì giacenza, alla organizzazione tipologica del materiale ed al rispetto delle norme tecniche elencate nel d.lgs. n. 152 del 2006. Tale deposito è libero, non disciplinato dalla normativa sui rifiuti, (ad eccezione degli adempimenti in tema di registri di carico e scarico e del divieto di miscelazione) anche se sempre soggetto ai principi di precauzione ed azione preventiva che, in base alle direttive comunitarie, devono presiedere alla gestione dei rifiuti e che solo in difetto di anche uno dei menzionati requisiti, il deposito non può ritenersi temporaneo, ma deve essere considerato:

- deposito preliminare, se il collocamento di rifiuti è prodromico ad una operazione di smaltimento che, in assenza di autorizzazione o comunicazione, è sanzionato penalmente dal d.lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 1);

- messa in riserva, se il materiale è in attesa di una operazione di recupero che, essendo una forma di gestione, richiede il titolo autorizzativo la cui carenza integra gli estremi del reato previsto dal d.lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 1);

- deposito incontrollato o abbandono quando i rifiuti non sono destinati ad operazioni di smaltimento o recupero. Tale condotta è sanzionata come illecito amministrativo se posta in essere da un privato e come reato contravvenzionale se tenuta da un responsabile di enti o titolare di impresa.

 

Quando l'abbandono dei rifiuti è reiterato nel tempo e rilevante in termini spaziali e quantitativi, il fenomeno può essere qualificato come discarica abusiva (Sez. 3, n. 49911 del 10/11/2009, Manni, Rv. 245865) e il reato di discarica abusiva è configurabile anche in caso di accumulo di rifiuti che, per le loro caratteristiche, non risultino raccolti per ricevere nei tempi previsti una o più destinazioni conformi alla legge e comportino il degrado dell'area su cui insistono, anche se collocata all'interno dello stabilimento produttivo (Sez. 3, n. 41351 del 18/9/2008, Fulgori, Rv. 241533).

 

Si è affermato, inoltre, che è configurabile il reato di discarica non autorizzata o abusiva nel caso di abbandono reiterato di rifiuti anche se il loro deposito abbia durata inferiore ad un anno, in quanto la protrazione del deposito dei rifiuti per un periodo superiore all'anno non individua un elemento costitutivo della fattispecie, in particolare non incidendo l'equiparazione del deposito temporaneo protrattosi per oltre un anno alla realizzazione di una discarica, contenuta nel d.lgs. 13 gennaio 2003, n. 36, art. 2, sulla configurabilità del reato di discarica abusiva ove si sia appunto in presenza, come nella specie, di un abbandono reiterato di rifiuti (Sez. 3, n.9849 del 29/01/2009, Gonano, Rv. 243116).

 

Ed è stato, da ultimo, ulteriormente precisato che l'abbandono differisce dalla discarica abusiva per la mera occasionalità, desumibile dall'unicità ed estemporaneità della condotta - che si risolve nel semplice collocamento dei rifiuti in un determinato luogo, in assenza di attività prodronniche o successive - e dalla quantità dei rifiuti abbandonati, mentre nella discarica abusiva la condotta o è abituale - come nel caso di plurimi conferimenti - o, pur quando consiste in un'unica azione, è comunque finalizzata alla definitiva collocazione di una ingente quantità di rifiuti "in loco" (Sez.3, n.18399 del 16/03/2017, Rv.269914).

 

2.4. Il ricorrente, peraltro, attraverso una formale denuncia di violazione di legge e vizio di motivazione, richiede sostanzialmente una rivisitazione, non consentita in questa sede, delle risultanze processuali.

Nel motivo in esame, in sostanza, si espongono censure le quali si risolvono in una mera rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata, sulla base di diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, senza individuare vizi di logicità, sollecitando una rivalutazione di merito preclusa in sede di legittimità (cfr. Sez. U, n. 2110 del 23/11/1995, Fachini, Rv. 203767; Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944; Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794; Sez. 1, 16.11.2006, n. 42369, De Vita, rv. 235507; sez. 6, 3.10.2006, n. 36546, Bruzzese, Rv. 235510; Sez. 3, 27.9.2006, n. 37006, Piras, rv. 235508.

 

Anche il dedotto travisamento della prova testimoniale sostanzia una inammissibile censura di merito, in quanto si risolve in un diverso apprezzamento del significato delle dichiarazioni testimoniali.
Va ricordato che il travisamento della prova si verifica quando nella motivazione si introduca un'informazione rilevante che non esiste nel processo ovvero si ometta la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia (Sez.

 

5 n. 39048/07; Sez. 3 18.6.2009 n. 39729, Belluccia e altri, Rv. 244623), mentre restano estranei al sindacato della Corte di cassazione i rilievi in merito al significato della prova ed alla sua capacità dimostrativa (Sez. 1, 24667/2007 Rv. 237207, ricorrente Musumeci, Sez.2, n.19848 del 24/05/2006, Sez.5,n.36764 del 24/05/2006).

 

3. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo.

 

4. Il ricorrente va, inoltre, condannato alla rifusione delle spese del grado sostenute dalla parte civile che, avuto riguardo ai parametri di cui alle tabelle allegate al D.M. n. 55/2014, all'impegno profuso, all'oggetto e alla natura del processo, si ritiene di dover liquidare nella misura complessiva di Euro 3.100,00 per compenso professionale, oltre spese generali ed accessori di legge.

 

5. Va, infine, dato atto che l'inammissibilità del ricorso per cassazione non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 c.p.p., ivi compresa la prescrizione (Sez.U. n. 12602 del 25.3.2016, Ricci; Sez.2, n. 28848 del 08/05/2013, Rv.256463; Sez. U., n.23428 del 22/03/2005, Rv.231164; Sez. 4 n. 18641, 22 aprile 2004).


P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di XXX per estinzione del reato per morte del reo.
Dichiara inammissibile il ricorso di YYYY e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende nonché alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile che liquida in complessivi euro 3.100,00 oltre rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.


Così deciso il 19/10/2017 

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