Corte di Cassazione, sez. I Penale, Ordinanza n.30551 del 04/05/2023 (dep. 13/07/2023)

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Cassazione penale, sez. I, ordinanza 04/05/2023 (dep. 13/07/2023) n. 30551

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma in data 22/07/2022 era stata applicata a N.T.P. la misura della custodia cautelare in carcere in relazione al delitto di tentato omicidio, commesso in (Omissis). L'ordinanza, notificata all'interessato e al suo difensore in lingua italiana, era stata emessa all'esito dell'udienza di fermo, nel corso della quale N. era stato assistito da un interprete sul presupposto che, come indicato nel verbale di udienza, "l'indagato non parla(sse) la lingua italiana".

1.1. A seguito della mancata traduzione del provvedimento, essendo decorsi due mesi dall'adozione del medesimo, la difesa aveva chiesto, in due distinte occasioni, la declaratoria di inefficacia della misura cautelare. Tuttavia, con ordinanza in data 16/11/2022, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma aveva dichiarato non luogo a provvedere sull'istanza, atteso che, nelle more, la traduzione era stata effettuata, avendo il detenuto ricevuto la relativa notifica in data 11/10/2022, a oltre due mesi e mezzo dall'adozione della misura.

1.2. Pronunciandosi sull'appello proposto dalla difesa dell'indagato ai sensi dell'art. 310 c.p.p., con cui erano state dedotte la illegittimità del silenzio sulle istanze presentate art. 306 c.p.p. e la violazione dell'art. 143 c.p.p., comma 2, il Tribunale di Roma, con ordinanza in data 24/01/2023, ha rigettato l'impugnazione, osservando che la mancata traduzione nella lingua nota all'indagato alloglotta, il quale non conosca la lingua italiana, dell'ordinanza applicativa di una misura cautelare personale non ne determina l'invalidità, ma comporta soltanto che i termini per la sua eventuale impugnazione decorrano dal momento in cui l'indagato abbia avuto effettiva conoscenza del contenuto del provvedimento. E dal momento che N.T.P. aveva, comunque, ricevuto copia del provvedimento cautelare, tradotto nella sua lingua, in data 11/10/2022 e che dalla data della notifica era ampiamente decorso il termine per proporre richiesta di riesame avverso il provvedimento cautelare, l'appello è stato respinto, non avendo l'indagato prospettato un concreto pregiudizio recato alle sue prerogative difensive in ragione della mancata traduzione dell'ordinanza.

2. Avverso il provvedimento di rigetto dell'appello, N. ha proposto ricorso per cassazione per mezzo del difensore di fiducia, avv. Fabrizio Preziosi, deducendo quattro distinti motivi di impugnazione, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. c.p.p..

2.1. Con il primo motivo, il ricorso lamenta, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), la inosservanza o erronea applicazione della legge processuale penale, nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. Il Tribunale del riesame avrebbe errato nel ritenere che la richiesta di cessazione degli effetti della misura ex art. 306 c.p.p. possa essere interpretata quale mero sollecito, rivolto al Giudice per la cautela, di un atto meramente facoltativo, come se la traduzione dell'ordinanza cautelare rientrasse tra gli atti indicati nell'art. 143 c.p.p., comma 3; e, soprattutto, nell'affermare che, per essere fatte valere, le cause di perdita di efficacia debbano essere dedotte indicando in quale modo esse abbiano vulnerato i diritti difensivi dell'indagato, essendo la relativa lesione insita nella previsione normativa delle nullità e degli effetti che ne derivano.

2.2. Con il secondo motivo, il ricorso censura, ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) ed e), la inosservanza o erronea applicazione dell'art. 143 c.p.p., commi 5 e 2, artt. 144 e 147 c.p.p., art. 310 c.p.p., comma 2, nonché la mancanza, in contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla dedotta incompletezza del fascicolo trasmesso dal Pubblico ministero al Tribunale del riesame, che non conterrebbe le istanze della difesa poste alla base dell'appello (nonché il provvedimento con il quale il Giudice della cautela aveva disposto la traduzione della ordinanza cautelare, la data in cui tale traduzione era stata disposta nonché il nominativo del traduttore). Il Tribunale, dopo aver evidenziato che, in caso di appello cautelare, i termini previsti per la trasmissione degli atti sono meramente ordinatori e che il Collegio può comunque disporre l'integrazione del fascicolo, avrebbe dato atto che: le due istanze difensive del 21/09/2022 e del 24/10/2022 erano state allegate dal difensore all'atto di appello; il provvedimento con cui il primo Giudice aveva disposto la traduzione dell'ordinanza è un atto di rilevanza interna, non necessario ai fini della valutazione dei motivi di gravame; era presente in atti l'ordinanza cautelare tradotta, recante sia la data del suo deposito in cancelleria (avvenuto il 6/10/2022), sia la relata di notifica nei confronti di N. (effettuata, a mani proprie, in data 11/10/2022). Secondo il ricorrente, la nomina di un interprete dovrebbe, in realtà, seguire specifiche regole processuali (previste dall'art. 143 c.p.p., commi 5 e 6 e artt. 144,146,147 c.p.p.), sicché l'avere ritenuto che l'allegazione dei relativi atti non sia necessaria sarebbe giuridicamente errato. Inoltre, la relativa motivazione sarebbe apparente, atteso che, non potendo l'indagato verificare ad esempio la presenza di cause di incompatibilità o di ricusazione, i suoi diritti di difesa verrebbero violati. E giuridicamente inesistente sarebbe la nozione di "atto di rilevanza interna", riferita all'atto con cui il Giudice per le indagini preliminari aveva disposto la traduzione del provvedimento.

2.3. Con il terzo motivo, il ricorso denuncia, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), la inosservanza o erronea applicazione degli artt. 125 e 306 c.p.p.. Il Tribunale avrebbe invertito le questioni sottoposte dalla difesa al Giudice della cautela e in sede di appello, affermando che il primo si era comunque attivato per disporre la traduzione dell'ordinanza cautelare, così come sollecitato nell'istanza difensiva, sicché sarebbe stata pretestuosa la deduzione di una illegittimità nel comportamento del primo Giudice. In realtà, la richiesta di declaratoria di perdita di efficacia della misura non potrebbe essere intesa quale mero "sollecito" della traduzione, avendo la difesa proposto una specifica eccezione e avendo indicato le conseguenze dell'omissione denunciata.

2.4. Con il quarto motivo, il ricorso deduce, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), la inosservanza o erronea applicazione dell'art. 143 c.p.p., comma 2 e art. 306 c.p.p.. Dopo avere premesso che la mancata conoscenza della lingua italiana da parte dell'indagato, nota successivamente all'emanazione dell'ordinanza, non costituisce un vizio che ne inficia la validità, si osserva che il giudice e', comunque, tenuto a disporre, in un termine congruo, la traduzione dell'ordinanza cautelare ex art. 143 c.p.p., comma 2; e non potendosi ritenere congrua una traduzione disposta dopo tre mesi, la misura avrebbe perso di efficacia ex art. 306 c.p.p.. L'ordinanza impugnata, tuttavia, non avrebbe risposto al quesito, aggirandolo con argomentazioni avulse dalle specifiche doglianze. In ogni caso, la violazione delle regole processuali, con le conseguenze previste dall'art. 306 c.p.p., rileverebbe indipendentemente dalla dimostrazione di un concreto pregiudizio derivante dalla omessa traduzione dell'atto, posto che la norma processuale non prevedrebbe alcuna condizione per farla valere. Del pari, sarebbe del tutto illogico, rispetto alla eccepita violazione di legge, sostenere che non possa muoversi alcuna doglianza in merito alla tempestiva traduzione in quanto, all'udienza di convalida del fermo, era presente un interprete e perché il difensore ne aveva nominato uno, quale proprio ausiliario.

3. In data 18/04/2023 è pervenuta in Cancelleria la requisitoria scritta del Procuratore generale presso questa Corte, con la quale è stato chiesto il rigetto del ricorso.

3.1. In data 28/04/2023 è pervenuta in Cancelleria una memoria a firma dell'avv. Fabrizio Preziosi, difensore dell'indagato, nella quale, in replica alla requisitoria scritta del Procuratore generale; si è rilevato, da un lato, che essa non avrebbe svolto alcuna osservazione in merito ai vizi eccepiti con i motivi 2 e 3 del ricorso; e, dall'altro lato, che non possa condividersi il ragionamento colà espresso, ovvero che la omessa traduzione possa avere rilevanza esclusivamente ove si ricolleghi a una concreta lesione del diritto di difesa, che il destinatario dell'atto non tradotto sarebbe tenuto a indicare e a dimostrare. In realtà, il vizio dedotto determinerebbe, di per sé, la perdita di efficacia della misura cautelare, analogamente a quanto avviene per l'ipotesi di nullità, non soggetta a condizioni, derivante dalla omessa traduzione in caso di non conoscenza della lingua italiana che risulti al giudice prima dell'emanazione dell'ordinanza cautelare. In entrambi i casi, infatti, si sarebbe in presenza di una situazione di non conoscenza della lingua e di una attività processuale, la traduzione dell'atto, prevista come obbligatoria per il giudice e il cui mancato espletamento comporterebbe la inefficacia della misura, originaria (nel primo caso) o sopravvenuta (nel secondo caso). Viceversa, l'interpretazione proposta dal Procuratore generale violerebbe i principali stabiliti dall'art. 111 Cost., comma 3, ultimo periodo, e riaffermati dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 10 del 1993. I provvedimenti di merito non risponderebbero alla questione centrale posta dalla difesa, ovvero che una traduzione effettuata a distanza di circa 3 mesi dal deposito del provvedimento non possa dirsi effettuata in un termine congruo.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Preliminarmente deve rilevarsi l'infondatezza del secondo motivo di doglianza, con il quale il ricorso sollecita l'annullamento dell'ordinanza impugnata lamentando che, nell'ambito della procedura di appello, non si sia provveduto alla trasmissione degli atti al Tribunale del riesame.

Come ricordato dal Collegio capitolino, in caso di appello cautelare i termini previsti dall'art. 310 c.p.p., comma 2, hanno natura ordinatoria, non richiamando la norma l'art. 309 c.p.p., commi 5 e 10, né prevedendo alcuna sanzione in caso di inosservanza del termine entro cui l'autorità procedente deve trasmettere al tribunale del riesame l'ordinanza appellata e gli atti su cui essa si fonda, sicché la sua inosservanza non è causa di nullità né di inefficacia del provvedimento successivamente adottato (Sez. 6, n. 16802 del 24/03/2021, Grassetti, Rv. 281303-01; Sez. 5, n. 6221 del 8/01/2020, Granato, Rv. 278308 01); e lo stesso Tribunale ben avrebbe potuto disporre l'integrazione del fascicolo. Un'attività che, in realtà, nel caso di specie si era resa non necessaria, dal momento che, anche grazie all'attivarsi della difesa, gli atti necessari alla decisione erano stati successivamente trasmessi.

Quanto, poi, agli atti relativi al subprocedimento di nomina dell'interprete, il ricorso sembra lamentare non già la mancata trasmissione degli stessi al Tribunale, quanto piuttosto l'omessa ostensione alla difesa, che le avrebbe impedito un tempestivo controllo sulla regolarità della procedura di nomina e l'eventuale attivazione di iniziative difensive. Tuttavia, non è affatto emerso che la stessa difesa abbia chiesto di poter accedere a tali atti con espressa istanza al Giudice della cautela, sicché le odierne doglianze devono ritenersi, sul punto, del tutto generiche.

3. Venendo alla questione principale dedotta, concernente le conseguenze processuali della mancata traduzione dell'ordinanza che dispone una misura cautelare nella lingua nota all'indagato alloglotta, il quale non conosca la lingua italiana, giova preliminarmente ricordare la disciplina normativa di riferimento.

Secondo quanto stabilito dall'art. 143 c.p.p., novellato dal D.Lgs. 4 marzo 2014, n. 32, emesso in attuazione della direttiva 2010/64/UE sul diritto all'interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali, gli atti che, tra gli altri, dispongono una misura cautelare personale (tra cui va certamente annoverata l'ordinanza di custodia cautelare in carcere, oggetto della vicenda qui esaminata), devono essere obbligatoriamente tradotti nella lingua dell'indagato entro un termine congruo, tale da consentirgli il pieno esercizio delle prerogative difensive accordategli dall'ordinamento processuale.

Come anticipato, se la traduzione della ordinanza custodiale è obbligatoria, la norma processuale non precisa quali siano le conseguenze di una sua eventuale inosservanza, lasciando altresì indeterminato il tempo entro il quale è necessario provvedere alla traduzione. Un profilo, questo, che attiene all'esigenza di garantire l'immediatezza della tutela del diritto di difesa, che rappresenta una delle declinazioni del principio di effettività della tutela, fine della direttiva e del suo intervento attuativo.

4. Secondo un primo indirizzo interpretativo, la circostanza che l'art. 143 c.p.p. non contenga alcuna sanzione processuale per gli atti in relazione ai quali è stata omessa la pur obbligatoria traduzione non consente di configurare, nella specie, alcuna ipotesi di nullità, non prevista espressamente da alcuna disposizione.

Tale conclusione è confermata, secondo l'orientamento in parola, dal fatto che l'art. 143, comma 2, contiene un esplicito riferimento alla finalità della traduzione, ovvero consentire l'esercizio dei diritti e delle facoltà della difesa; sicché l'omessa o, comunque, intempestiva traduzione non atterrebbe alla struttura dell'atto e non ne determinerebbe, appunto, la nullità, non rientrando in alcuna delle ipotesi previste dall'art. 178 c.p.p.; ma, al contrario, riguarderebbe la sua efficacia, potendo al più incidere sulla validità degli atti successivi e conseguenti all'atto non tradotto. Secondo questa prospettiva ricostruttiva, dunque, incidendo l'omesso adempimento non sulla perfezione e sulla validità dell'atto, ma sulla sua efficacia, la traduzione potrebbe essere successivamente disposta, la quale determinerebbe, con riferimento al profilo dei suoi effetti processuali, una sorta di restituzione nel termine, consentendo l'eventuale impugnazione da parte dell'indagato/imputato alloglotta (per questa tesi Sez. 5, n. 22065 del 6/07/2020, Bhiari, Rv. 279447-01; Sez. 1, n. 6623 del 16/12/2015, dep. 2016, Darbo, non massimata; Sez. 5, n. 18023 del 12/03/2013, F., Rv. 255510-01; Sez. 4, n. 6684 del 12/11/2004, dep. 2005, Hachimini, Rv. 233360-01. Per la stessa tesi, con riferimento alla mancata traduzione delle sentenze, v. Sez. 6, n. 40556 del 21/09/2022, Pinto Fernandez, Rv. 283965-01; Sez. 2, n. 22465 del 28/04/2022, Lucky Kennedy, Rv. 283407-01; Sez. 2, n. 45408 del 17/10/2019, Kartivadze, Rv. 277775 - 01; Sez. 2, n. 13697 del 11/03/2016, Zhou, Rv. 266444 - 01; Sez. 6, n. 5760 del 4/02/2011, Anokhin, Rv. 249453-01; Sez. 6, n. 38639 del 30/09/2009, Pantovic, Rv. 245314-01).

E' evidente che accedendo a tale orientamento, dovrebbe convenirsi, con il Tribunale del riesame, che l'avvenuta traduzione dell'ordinanza in lingua polacca, in conseguenza delle reiterate richieste da parte della difesa dell'indagato, e la sua successiva notifica allo stesso N. in data 11/10/2022, avrebbe avuto quale unica conseguenza quella di ritardare il decorso del termine per la proposizione del riesame, che, in ogni caso, sarebbe inutilmente spirato, non avendovi la parte tempestivamente provveduto, con un effetto sostanzialmente sanante dell'inerzia del Giudice della cautela.

5. Altra opinione giurisprudenziale distingue, invece, a seconda che la non conoscenza della lingua italiana, al momento dell'emissione del titolo cautelare, fosse o meno nota al giudice, il quale è sempre chiamato a verificare in concreto l'ignoranza della lingua italiana da parte dell'indagato, non discendendo la stessa, automaticamente, dal mero status di straniero o apolide (Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov, Rv. 239693-01; Sez. 2, n. 40807 del 6/10/2005, Sokolovych, Rv. 232593-01; Sez. 4, n. 6684 del 12/11/2004, dep. 2005, Hachimi, Rv. 23336001; Sez. 3, n. 26846 del 29/04/2004, Ionascu, Rv. 229295-01).

Nel primo caso, si è affermato che l'omessa traduzione configuri un vizio genetico del provvedimento applicativo, presidiato da una sanzione di nullità (Sez. 6, n. 50766 del 12/11/2014, Awoh, Rv. 261537 - 01; Sez. 3, n. 26846 del 29/04/2004, Ionascu, Rv. 229295 - 01). Una nullità che, in difetto di una esplicita previsione normativa, le Sezioni unite di questa Corte avevano ricondotto, sotto la vigenza dell'originaria formulazione dell'art. 143 c.p.p., all'ambito di quelle contemplate dall'art. 178 c.p.p., lett. c) e art. 180 c.p.p., ovvero alle nullità di ordine generale relative all'assistenza dell'imputato e qualificata come "a regime intermedio" in quanto non attinente all'omessa citazione dell'imputato ovvero all'assenza del suo difensore nei casi in cui ne è obbligatoria la presenza (Sez. U, n. 5052 del 24/09/2003, dep. 2004, Zalagaitis, Rv. 226717 - 01; nella giurisprudenza successiva v. Sez. 5, n. 16185 del 6/10/2004, Fusha, Rv. 23364201; Sez. 3, n. 14990 del 18/02/2015, Vervaeren, Rv. 263236-01 nonché Sez. 4, n. 33802 del 18/05/2017, Ojeareghan, Rv. 270610-01; per la stessa soluzione, con riferimento al decreto di citazione a giudizio, Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216259 - 01). Con la conseguenza che la violazione delle disposizioni relative all'assistenza dell'imputato, in quanto volta ad assicurare l'effettività e la piena consapevolezza della partecipazione al giudizio e la possibilità della completa esplicazione del diritto di difesa, richiederebbe, per essere sanzionata, una qualche effettiva lesione di tale diritto, sicché quando le predette finalità si siano, comunque, realizzate, non potrebbe configurarsi alcuna sanzione. In particolare, la nullità a regime intermedio dovrebbe ritenersi, comunque, sanata qualora l'interessato abbia successivamente esercitato il proprio diritto di difesa in modo tale da far presupporre la piena e completa comprensione del provvedimento cautelare (così Sez. 4, n. 10481 del 22/11/2007, Parasko, Rv. 238960-01), come nel caso della proposizione della richiesta di riesame, cui è stato riconosciuto un effetto sanante della nullità conseguente all'omessa traduzione dell'ordinanza cautelare personale emessa nei confronti dell'indagato che non conosce la lingua italiana, sempre che essa non sia stata presentata soltanto per dedurre la mancata traduzione dell'ordinanza cautelare (così Sez. 6, n. 14588 del 20/03/2006, Ajbari, Rv. 234036 - 01; Sez. 6, n. 38584 del 22/05/2008, Olebunne, Rv. 241403-01; Sez. 2, n. 32555 del 7/06/2011, Bucki, Rv. 250763-01; Sez. 3, n. 7056 del 27/01/2015, Owalengba, Rv. 262425 - 01; per l'efficacia comunque sanante dell'istanza di riesame, pur nell'ambito dell'indirizzo contrario a configurare una nullità in caso di mancata traduzione v. Sez. 4, n. 6684 del 12/11/2004, dep. 2005, Hachimini, Rv. 233360-01). Una prospettiva, questa, che, tuttavia, secondo talune opinioni, entrerebbe in contrasto con il portato immediatamente precettivo della direttiva Europea del 2010, che non sembra consentire rinunzie tacite e comportamenti concludenti sananti, quali quelli che sarebbero desumibili dal tenore dell'art. 183 c.p.p. (per questa osservazione si veda la già citata Sez. 6, n. 50766 del 12/11/2014, Awoh, in motivazione).

5.1. Quest'ultimo rilievo pare portare argomenti ad altra tesi, più radicale, secondo cui la nullità sarebbe assoluta e insanabile, sul presupposto che le garanzie previste nell'art. 143 c.p.p. si ricolleghino ai diritti processuali fondamentali dell'imputato previsti dall'art. 178 c.p.p., lett. c), e, in particolare, al suo diritto di essere assistito in modo tale da poter comprendere e partecipare consapevolmente al compimento degli atti del processo (Sez. 2, n. 38164 del 17/09/2015, Pirovagas, non massimata; Sez. 5, n. 23579 del 15/05/2013, Filipesco, Rv. 255343-01; Sez. 1, n. 4841 del 9/07/1999, Zicha, Rv. 214495; Sez. 3, n. 1527 del 26/04/1999, Braka, Rv. 214348-01).

6. Quanto al caso in cui, invece, la non conoscenza della lingua italiana da parte dell'indagato non fosse nota al giudice al momento di emissione del titolo cautelare, va premesso che tale circostanza non fa venire meno l'obbligo di provvedere alla traduzione in una lingua nota al destinatario dell'atto, e in un termine congruo, non appena detta situazione diventi conosciuta, come, ad esempio, nel caso in cui essa emerga nel corso dell'interrogatorio di garanzia.

In tale evenienza, una prima opinione distingue a seconda che il giudice non provveda alla traduzione ovvero vi provveda in un termine "incongruo"; e soltanto nel primo caso, la situazione viene ritenuta assimilabile all'ipotesi in cui, fin dall'origine, fosse nota al giudice la non conoscenza della lingua italiana da parte dell'indagato, sicché il provvedimento dovrebbe considerarsi nullo. Viceversa, ove il giudice abbia provveduto alla notifica dell'atto tradotto, ma in un termine incongruo, l'atto sarebbe connotato da una inefficacia sopravvenuta (per questa tesi v. Sez. 3, n. 14990 del 18/02/2015, Vervaeren, Rv. 263236 - 01). Altro indirizzo, invece, non distingue tra le due situazioni e prende in considerazione la sola ipotesi della notifica dell'atto tradotto in un termine incongruo, escludendo l'invalidità dell'atto e accedendo alla soluzione della sua inefficacia (Sez., n. 31838 del 20/07/2020, Tusha, non massimata; Sez. 5, n. 19424 del 19/04/2018, Lefhayel, non massimata; Sez. 4, n. 33802 del 18/05/2017, Ojeareghan, Rv. 270610-01).

Circoscrivendo l'analisi all'ipotesi qui in rilievo, in cui l'adempimento dell'obbligo di traduzione non sia avvenuto in un termine "congruo", l'adesione alla tesi della inefficacia dell'atto pone a sua volta due fondamentali questioni.

6.1. La prima riguarda il significato da annettere alla nozione di congruità del lasso di tempo che deve intercorrere tra la adozione dell'atto e il momento della sua traduzione (rectius il momento della notifica dell'atto tradotto al suo destinatario).

In proposito, la giurisprudenza ha sottolineato che la traduzione non deve essere necessariamente contestuale all'emissione o all'esecuzione dell'ordinanza de qua, dovendosi tenere conto dei tempi tecnici richiesti per il reperimento dell'interprete e l'effettuazione della traduzione; con la conseguenza che nessuna nullità potrebbe ritenersi sussistente quando tali tempi vengano contenuti nell'arco di pochi giorni (Sez. 6, n. 9041 del 15/02/2006, EI Khamlichi, Rv. 233916 - 01; Sez. 6, n. 48469 del 4/12/2008, Abdalla, Rv. 242147-01; Sez. 5, n. 31838 del 20/07/2020, Tusha, non massimata, relative a situazioni in cui tra la data di emissione dell'ordinanza custodiale e quella della sua notificazione alla persona interessata, previa traduzione in lingua a lei nota, erano trascorsi, rispettivamente, sei e dieci giorni). La nozione elastica di congruità, dunque, sarebbe chiaramente il portato della esigenza, di cui il legislatore avrebbe inteso farsi carico, di tenere conto della specificità delle singole situazioni, non rigidamente predeterminabili, legate al particolare idioma dell'indagato, alla maggiore o minore facilità di reperire un interprete in grado di tradurlo, allo specifico contesto giudiziario o temporale (es. in periodo feriale) e, finanche, alla maggiore o minore complessità del provvedimento (si pensi al caso di un'ordinanza di diverse centinaia di pagine).

6.2. La seconda questione attiene alla eventuale configurabilità di meccanismi sananti rispetto all'inosservanza dell'obbligo da parte del giudice, sia nel caso in cui questi non abbia mai proceduto alla traduzione, sia in quello in cui vi abbia provveduto in un termine non congruo. A tale problematica si è già accennato con riferimento al caso in cui l'indagato, successivamente alla traduzione o in assenza di essa, abbia, comunque, proposto richiesta di riesame; ipotesi, peraltro, non ricorrente nel caso qui esaminato. Merita, nondimeno, soffermarsi su un'altra evenienza, che attiene al caso, invece sussistente nell'ipotesi che ci occupa, in cui l'adozione del provvedimento cautelare o comunque la sua traduzione sia stata accompagnata, o meglio preceduta, dalla presenza di un interprete, attraverso la cui assistenza l'indagato sia stato messo al corrente delle accuse e abbia potuto interloquire con il giudice in relazione ad esse ed eventualmente al contenuto del provvedimento.

Vanno, al riguardo, distinte due situazioni, a seconda che l'ordinanza cautelare sia stata emessa inaudita altera parte, senza essere preceduta da un provvedimento di arresto o di fermo ovvero sia stata pronunciata all'esito della relativa udienza di convalida.

6.2.1. Nel secondo caso, ove cioè il provvedimento cautelare faccia seguito alla conclusione dell'udienza di convalida dell'arresto o del fermo dell'indagato, fa non conoscenza della lingua italiana dovrebbe divenire nota al giudice prima dell'adozione della misura cautelare, consentendogli, in un momento precedente alla decisione, di provvedere alla nomina di un interprete, necessaria per poter validamente procedere alla stessa convalida. Tale situazione, che ricorre nel caso qui esaminato, sollecita la questione della necessità, in ipotesi siffatte, di procedere comunque alla traduzione ovvero, qualora essa sia stata effettuata in un termine incongruo, di stabilire se tale circostanza possa essere "neutralizzata" dal fatto che il soggetto, grazie all'attività dell'interprete, aveva avuto conoscenza delle contestazioni e aveva avuto, nel corso dell'interrogatorio, la formale possibilità di difendersi (per la tesi secondo cui, in tale caso, non sarebbe necessaria la traduzione v. Sez. 3, n. 580 del 4/02/2000, Weizer, Rv. 216526-01; Sez. 5, n. 2128 del 5/05/1999, Metuschi, Rv. 213523-01; Sez. 6, n. 2275 del 17/12/2002, dep. 2003, Bohm, Rv. 223487-01; Sez. 2, n. 44599 del 24/10/2007, Asoltani, Rv. 238808 - 01). In argomento, va infatti, evidenziato che il provvedimento di convalida dell'arresto o del fermo e l'ordinanza di applicazione di una misura cautelare si riferiscono a situazioni diversamente caratterizzate nei presupposti, nei contenuti e nelle finalità, avendo il "provvedimento di convalida (...) finalità estranee alla disciplina delle libertà personale" (così le "Determinazioni del governo del 4 luglio 1988", in Atti Parlamentari Camera - Senato - Pareri della Commissione istituita ai sensi della L. 16 febbraio 1987, n. 81, art. 8, sub art. 389) e dovendo, dunque, riconoscersi "l'autonomia dei singoli titoli legittimanti la custodia in carcere del soggetto, sicché per ciascuno di tali titoli valgono le norme di legittimazione proprie" (Sez. U, n. 3 del 16/03/1994, Cepollaro, Rv. 19700601; Sez. 1, n. 5311 del 3/12/1993, dep. 1994, De Vincenzo, Rv. 196250-01). Tanto è vero che il rigetto della richiesta di convalida dell'arresto o del fermo non osta, quale che ne sia stata la causa, all'adozione della misura custodiate da parte del giudice per le indagini preliminari; e l'ordinanza che applica una misura cautelare non diviene illegittima per effetto della illegittimità del procedimento di convalida e giustifica la diversità dei rimedi approntati dall'ordinamento. Su tali premesse, si e', dunque, ritenuto che l'ordinanza di custodia cautelare, emessa dopo l'udienza di convalida dell'arresto, avendo un contenuto peculiare rispetto alla convalida - ovvero, la contestazione di un reato con l'indicazione dei gravi indizi di colpevolezza, che giustificano l'emissione del provvedimento coercitivo, e delle esigenze cautelari - e considerati gli effetti che ne scaturiscono, ovvero la privazione della libertà, debba essere necessariamente tradotta nella lingua nota all'indagato alla stregua del principio generale di cui all'art. 143 c.p.p., senza che possa attribuirsi rilievo al dato che egli abbia partecipato all'udienza di convalida dell'arresto o del fermo in presenza di un interprete. Come ricordato, infatti, dalle Sezioni Unite di questa Corte (cfr. Sez. U, n. 5052 del 24/09/2003, dep. 2004, Zalagaitis, in motivazione), nel corso dell'interrogatorio previsto dall'art. 391 c.p.p., comma 2, seconda parte, l'indagato è posto nella condizione di conoscere le ragioni dell'arresto e di difendersi, laddove nell'ordinanza di custodia cautelare, eventualmente emessa dopo l'ordinanza di convalida, il giudice deve, invece, specificamente motivare anche la eventuale sussistenza delle esigenze cautelari (Sez. 1, n. 2735 del 16/12/2010, dep. 2011, Alliu, Rv. 249382 - 01; in termini Sez. 5, n. 39027 del 4/05/2012, Okusebor, non massimata).

6.2.2. Nel caso in cui il provvedimento non sia stato preceduto dall'arresto o dal fermo e in cui, pertanto, l'interrogatorio di garanzia sia stato celebrato, secondo la disciplina dettata dall'art. 294 c.p.p., dopo l'esecuzione dell'ordinanza applicativa della misura e nel termine di 5 giorni previsto dal comma 1, l'interrogatorio costituisce, almeno di regola, il momento in cui il giudice apprende (o può apprendere) la situazione di non conoscenza della lingua italiana da parte dell'indagato.

In tale evenienza, si è ritenuto che la mancanza di conoscenza della lingua italiana possa essere equiparata alla situazione di impedimento assoluto prevista dall'art. 294 c.p.p., comma 2, che consente al giudice, previa adozione di decreto motivato che dia atto della situazione impeditiva, di riprendere l'interrogatorio soltanto una volta che la situazione ostativa sia venuta meno.

Pertanto, nel caso in cui, su disposizione del giudice, si proceda alla notifica all'indagato di copia del provvedimento tradotto, la misura potrebbe diventare inefficace in primo luogo ove, dopo tale momento, sia inutilmente trascorso il nuovo termine di cinque giorni decorrente dalla cessazione dell'impedimento, coincidente, appunto, con il deposito della traduzione; ossia qualora l'interrogatorio dell'indagato non venga effettuato nel predetto termine. Inoltre, secondo l'indirizzo giurisprudenziale ricordato, essa diverrebbe inefficace anche nel caso in cui la traduzione del titolo custodiale venga disposta o, comunque, effettuata in un termine "incongruo" (per questa ricostruzione v. Sez. 3, n. 14990 del 18/02/2015, Vervaeren, Rv. 263236 - 01).

In ipotesi siffatte, invero, potrebbe più fondatamente opinarsi che, avendo l'interrogatorio di garanzia a specifico oggetto il provvedimento cautelare già emesso, possa procedersi alla semplice nomina di un interprete in luogo della traduzione e che l'assistenza da quest'ultimo prestata in occasione dell'interlocuzione con il giudice svolta nel corso dell'interrogatorio di garanzia possa sostituire la traduzione in forma scritta dell'atto (per tale tesi v. Sez. 2, n. 47212 del 16/10/2013, Vokrri, Rv. 257518 - 01).

6.2.3. Infine, si impone un'ultima considerazione, non certo in ordine di importanza.

L'art. 143 c.p.p. sembra finalizzare l'obbligo di traduzione all'esercizio dei diritti di difesa; ciò che, come si è visto, conduce uno degli orientamenti esaminati a ritenere che la possibilità di azionare una tutela di tali diritti presupponga che il soggetto non abbia comunque impugnato, per ragioni diverse, il provvedimento non tradotto (o tradotto in un termine incongruo). E addirittura che nessuna tutela possa essere invocata nel momento in cui, operata la traduzione in un termine incongruo, l'interessato non abbia proposto una tempestiva richiesta di riesame.

Tuttavia, la stessa previsione di un termine specificamente definito come "congruo", entro il quale provvedere alla traduzione, suscita più di un dubbio su tale impostazione.

Se, infatti, si ritiene che il relativo obbligo sia funzionale unicamente all'esercizio della facoltà impugnatorie, da ritenersi sospeso fino al momento della notifica del provvedimento tradotto, allora la previsione, da parte del legislatore, del requisito della congruità sarebbe sostanzialmente non conferente. Al contrario, la sua specifica introduzione sembra palesare l'esigenza, avvertita dall'ordinamento processuale, di farsi carico della necessità di subordinare il mantenimento di misure incidenti sulla libertà personale entro il perimetro della stretta necessità (anche sotto il profilo temporale). E se, dunque, tale esigenza è stata, anche nella materia qui considerata, specificamente contemplata dalla norma processuale, pare potersi fondatamente dubitare della legittimità di una restrizione della libertà personale protratta per poco meno di tre mesi senza che si procedesse alla traduzione nella lingua di un Paese dell'Unione Europea. E ciò a prescindere dalla possibilità, successivamente accordata, di attivare gli strumenti di impugnazione previsti dall'ordinamento processuale.

7. Alla luce delle considerazioni che precedono, poiché le posizioni della giurisprudenza più sopra riassunte sono in evidente contrasto su un tema di sicuro rilievo e di grande delicatezza per le sue ricadute sullo status libertatis e sull'effettività delle garanzie accordate dall'ordinamento in caso di processo celebrato a carico di un soggetto che non conosca la lingua italiana, si ritiene di dover investire del ricorso le Sezioni Unite di questa Corte, formulando il seguente quesito: "se l'obbligo di traduzione in lingua nota al soggetto straniero che non conosca la lingua italiana dell'ordinanza applicativa della misura coercitiva, prescritto dall'art. 143 c.p.p., comma 2, e da eseguirsi in termine congruo, qualora adempiuto in tempi non congrui, comporti: la nullità dell'ordinanza e di quale natura, oppure la sua inefficacia per ragioni sopravvenute ovvero ancora se, in assenza di conseguenze patologiche per la misura applicata, il ritardo nella traduzione determini solo il differimento del termine per proporre impugnazione, a decorrere dal momento della disposta traduzione".

P.Q.M.

Rimette il ricorso alle Sezioni Unite.

Così deciso in Roma, il 4 maggio 2023.

Depositato in Cancelleria il 13 luglio 2023.

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