Saluto fascista, fattispecie di reato di cui all'art. 2 Legge Mancino e art. 5 Legge Scelba, configurabilità, eventuale concorso

Corte di Cassazione, sez. I Penale, Sentenza n.38686 del 06/09/2023 (dep. 22/09/2023)

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La condotta consistente nel protendere in avanti il braccio nel "saluto fascista", evocativa della gestualità tipica del disciolto partito fascista, tenuta nel corso di una manifestazione pubblica, senza la preventiva identificazione dei partecipanti quali esponenti di un'associazione esistente che propugni gli ideali del predetto partito, integra la fattispecie di reato di cui all'art. 2 D.L. 26 aprile 1993, n. 122, convertito dalla L. 25 giugno 1993, n. 205, ovvero quella prevista dall'art. 5 L. 30 giugno 1952, n. 645?

Entrambe le disposizioni configurano un reato di pericolo concreto o di pericolo astratto? 

Le stesse sono tra loro in rapporto di specialità oppure possono concorrere?

Sono questi i quesiti che, a norma dell'art. 618, comma 1, c.p.p., la Prima Sezione penale della Cassazione (sentenza n. 38686/2023) ha  rimesso alle Sezioni Unite.

>> Qui la decisione delle Sezioni Unite della Cassazione

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Cassazione penale, sez. I, sentenza 06/09/2023 (dep. 22/09/2023) n. 38686

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 23 dicembre 2020 il Tribunale di Milano assolveva gli imputati C.M., T.M.E., C.D., B.A., D.M.S., M.A.F., C.L.A. e C.M.G. dal reato ascrittogli, ai sensi degli artt. 81, comma 2, 110 c.p., 2, comma 1, D.L. 26 aprile 1993, n. 122, convertito, con modificazioni, dalla L. 25 giugno 1993, n. 205.

2. Con sentenza del 24 novembre 2022 la Corte di appello di Milano, pronunciandosi sull'impugnazione del Pubblico ministero, in riforma della decisione appellata, esclusa la recidiva contestata a D.M.S. e riconosciute le attenuanti generiche a tutti gli imputati, condannava gli stessi alla pena di due mesi di reclusione e 200,00 Euro di multa, oltre al pagamento delle spese processuali.

3. I fatti di reato per cui si procede, che nella loro materialità sono incontroversi, si verificavano in occasione di una manifestazione pubblica, organizzata a (Omissis), in memoria di P.E., R.S. e B.C., nel corso della quale gli imputati rispondevano alla chiamata del "presente", formulata da C.L.A., eseguendo il "saluto fascista", anche noto come "saluto romano".

Questa manifestazione pubblica si svolgeva alla presenza di oltre mille persone, che si erano radunate per commemorare la morte di R.S., P.E. e B.C.. Occorre, in particolare, precisare che R.S., era un militante del (Omissis), ucciso da esponenti di (Omissis) il (Omissis); P.E. era un avvocato e un consigliere provinciale del (Omissis), assassinato da esponenti di (Omissis) il (Omissis); B.C. era un gerarca fascista della (Omissis), giustiziato dai partigiani il (Omissis).

Nel giudizio di primo grado, il Tribunale di Milano aveva assolto i ricorrenti per l'insussistenza dell'elemento soggettivo, rilevante ai sensi dell'art. 5 c.p., atteso che per la stessa condotta materiale, ancorché diversamente qualificata ex art. 5 L. 20 giugno 1952, n. 645, posta in essere nell'ambito di un'analoga manifestazione svoltasi il 29 aprile 2014, gli imputati di un altro procedimento erano stati assolti. In quel caso, l'assoluzione era stata pronunciata dalla Corte di appello di Milano il 21 settembre 2016 ed era divenuta irrevocabile il 14 dicembre 2017, a seguito della declaratoria di inammissibilità del ricorso del Pubblico ministero deliberata dalla Corte di cassazione, Prima Sezione penale, con la sentenza n. 8108-18.

La pronuncia assolutoria pronunciata dal Tribunale di Milano veniva integralmente riformata nel giudizio di secondo grado, con la conseguente condanna degli imputati, sull'assunto che l'assoluzione intervenuta a seguito della sentenza n. 8108-18, sopra citata, non riguardava l'ipotesi di reato oggetto di contestazione processuale, ma la diversa fattispecie di cui all'art. 5 L. n. 645 del 1952.

Si evidenziava, al contempo, che il procedimento nel quale era stata emessa la pronuncia assolutoria invocata si era concluso con la declaratoria di inammissibilità del ricorso proposto dal Pubblico ministero, dalla quale non poteva farsi discendere, sic et simpliciter, l'affermazione della liceità delle condotte materiali contestate ai ricorrenti.

Sulla scorta di questa ricostruzione degli accadimenti criminosi gli imputati venivano condannati alle pene di cui in premessa.

4. Avverso questa sentenza C.M., T.M.E., C.D., B.A., D.M.S., M.A.F., C.L.A. e C.M.G., a mezzo dei rispettivi difensori, hanno proposto ricorso per cassazione, con atti di impugnazione di cui occorre dare partitamente conto.

4.1. Gli imputati C.M. e T.M.E., a mezzo dell'avv. Domenico Di Tullio, hanno proposto ricorso per cassazione, articolando un'unica censura difensiva.

Con questa doglianza, in particolare, si è dedotta la violazione e il vizio di motivazione della sentenza impugnata, per non avere la decisione in esame dato adeguato conto delle ragioni sulla base delle quali era stato formulato il giudizio di colpevolezza dei ricorrenti, che, anche alla luce della sentenza assolutoria pronunciata dalla Corte di appello di Milano il 21 settembre 2016, divenuta irrevocabile il 14 dicembre 2017, presupponeva la contestualizzazione del gesto di saluto compiuto dai ricorrenti in occasione della manifestazione di commemorazione di R.S., P.E. e B.C..

4.2. Gli imputati C.D., B.A., D.M.S., M.A.F., C.L.A. e C.M.G., a mezzo dell'avv. Antonio Radaelli e dell'avv. Mario Giancaspro, hanno proposto ricorso per cassazione, articolando due censure difensive.

Con il primo motivo si è censurata la violazione di legge e il vizio di motivazione del provvedimento impugnato, per non avere la Corte di merito dato opportuno conto del compendio probatorio indispensabile alla formulazione di un giudizio di colpevolezza degli imputati, su cui ci si era espressi in termini assertivi, senza considerare che, nel caso di specie, non poteva ritenersi sussistente l'elemento soggettivo del reato, ai sensi dell'art. 5 c.p..

Con il secondo motivo si è lamentata la violazione di legge e il vizio di motivazione della sentenza impugnata, per non essersi la Corte territoriale confrontata con le censure difensive, finalizzate a evidenziare come il gesto compiuto dagli imputati, quand'anche riconducibile al "saluto fascista", doveva ritenersi inidoneo a ledere il bene giuridico tutelato dall'art. 2, comma 1, D.L. n. 122 del 1993.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi proposti da C.M., T.M.E., C.D., B.A., D.M.S., M.A.F., C.L.A. e C.M.G. devono essere rimessi alle Sezioni Unite della Corte di cassazione.

2. Osserva preliminarmente il Collegio che l'andamento del presente procedimento costituisce una dimostrazione esemplare del contrasto ermeneutico per il quale si invoca l'intervento chiarificatore delle Sezioni Unite, indispensabile per inquadrare il "saluto fascista" o "saluto romano" compiuto dai ricorrenti in occasione della manifestazione pubblica organizzata, a (Omissis), per commemorare la morte di R.S., P.E. e B.C..

Si consideri, in proposito, che, nel giudizio di primo grado, il Tribunale di Milano assolveva i ricorrenti dal reato ascrittogli, ex artt. 81, comma 2, 110 c.p., 2, comma 1, D.L. n. 122 del 1993, sull'assunto che per le stesse condotte materiali, consistenti nell'effettuare il "saluto fascista" e nel rispondere "presente" alla chiamata, durante un'analoga manifestazione commemorativa organizzata il 29 aprile 2014, nel relativo procedimento gli imputati erano stati assolti dal delitto di cui all'art. 5 L. n. 645 del 1952. Tale assoluzione era stata deliberata dalla Corte di appello di Milano il 21 settembre 2016 ed era divenuta irrevocabile il 14 dicembre 2017.

Viceversa, nel giudizio di secondo grado, immutato restando il giudizio sulla materialità delle condotte illecite poste in essere, la Corte di appello di Milano condannava gli imputati, ritenendo sussistenti gli elementi costitutivi del reato contestato e non potendo, per converso, configurarsi la fattispecie di cui all'art. 5 L. n. 645 del 1952, applicando la quale era stata pronunciata una sentenza assolutoria, intervenuta in relazione all'effettuazione del "saluto fascista" durante una precedente manifestazione, organizzata - anche in quel caso - in memoria di P.E., R.S. e B.C..

Il contrasto ermeneutico per cui si invoca l'intervento delle Sezioni Unite, peraltro, è ancora più evidente alla luce del fatto che per un'analoga manifestazione commemorativa era stato celebrato un altro procedimento, nel quale agli imputati veniva contestato il reato di cui all'art. 5 L. n. 565 del 1952, che si concludeva con il riconoscimento delle responsabilità dei soggetti che avevano effettuato il "saluto fascista", deliberato dalla Corte di cassazione, Prima Sezione penale, con la sentenza n. 12049-23 del 17 febbraio 2023. In quel procedimento, tra l'altro, era imputato anche C.M., che è presente nella stessa veste in questo ambito processuale.

3. Ricostruito in questi termini il contesto ermeneutico nel quale si inserisce la problematica dell'inquadramento del "saluto fascista" effettuato durante una manifestazione commemorativa, che in genere si accompagna alla parola "presente", pronunciata in risposta a una chiamata indirizzata ai partecipanti alla riunione, occorre passare sinteticamente in rassegna gli orientamenti giurisprudenziali che si contrappongono in materia.

3.1. Secondo un primo orientamento giurisprudenziale, che ritiene il "saluto fascista" sussumibile nella fattispecie dell'art. 2 D.L. n. 122 del 1993, tale manifestazione esteriore costituisce una rappresentazione tipica delle organizzazioni o dei gruppi che perseguono obiettivi di discriminazione razziale, etnica o religiosa, essendo costituiti per favorire la diffusione di ideologie discriminatorie.

Secondo tale opzione ermeneutica, il "saluto fascista" è "una manifestazione esteriore propria od usuale di organizzazioni o gruppi indicati nel D.L. 26 aprile 1993, n. 122 (...), ed inequivocabilmente diretti a favorire la diffusione di idee fondate sulla superiorità o sull'odio razziale o etnico (...)" (Sez. 1, n. 21409 del 27/03/2019, Leccisi, Rv. 275894 - 02).

Questo orientamento si inserisce nel solco di un filone giurisprudenziale risalente nel tempo, che è possibile esplicitare richiamando il seguente principio di diritto: "Il cosiddetto "saluto romano" o "saluto fascista" è una manifestazione esteriore propria o usuale di organizzazioni o gruppi indicati nel D.L. 26 aprile 1993 n. 122, convertito, con modificazioni, nella L. 25 giugno 1993 n. 205 (misure urgenti in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa) e inequivocabilmente diretti a favorire la diffusione di idee fondate sulla superiorità o sull'odio razziale o etnico; ne consegue che il relativo gesto integra il reato previsto dall'art. 2 del citato decreto-legge" (Sez. 1, n. 25184 del 04/03/2009, Saccardi, Rv. 243792 - 01).

Il "saluto fascista", dunque, sarebbe riconducibile alla fattispecie di cui all'art. 2 D.L. n. 122 del 1993, concretizzando una manifestazione tipica dei gruppi che perseguono finalità discriminatorie, che non necessitano di alcun collegamento, anche solo indiretto, con organizzazioni di ispirazione fascista. Basti, in proposito, richiamare il principio di diritto, affermato in relazione all'esposizione di simboli fascisti in occasione di una manifestazione sportiva, secondo cui: "Il fatto di chi, in occasione di un incontro calcistico, sventoli un drappo tricolore recante, nella parte bianca, l'emblema del fascio littorio non dà luogo, mancando la condizione costituita da un pericolo per le istituzioni democratiche, alla configurabilità di alcuno dei reati previsti dalla L. 20 giugno 1952 n. 645, recante attuazione della XII disposizione transitoria e finale della Costituzione, ma rientra nelle previsioni dell'art. 2, comma 1, D.L. 26 aprile 1993 n. 122, conv. con mod. in L. 25 giugno 1993 n. 205, che sanziona penalmente chiunque, in pubbliche riunioni, compia manifestazioni esteriori ovvero ostenti emblemi o simboli propri o usuali delle associazioni, movimenti o gruppi di cui all'art. 3 L. 13 ottobre 1975 n. 654, caratterizzati, tra l'altro, dalla diffusione di idee fondate sulla superiorità o sull'odio nazionale ed etnico" (Sez. 3, n. 37390 del 10/07/2007, Sposato, Rv. 237311 - 01).

3.2. All'orientamento ermeneutico sopra richiamato se ne contrappone un altro, che ritiene il "saluto fascista" riconducibile alla fattispecie di cui all'art. 5 L. n. 645 del 1952 e postula che tali condotte siano idonee a determinare il pericolo di ricostituzione di organizzazioni che si ispirano, direttamente o indirettamente, all'ideologia del disciolto partito fascista.

Rappresenta in modo esemplare questo orientamento ermeneutico il principio di diritto secondo cui: "Il delitto di cui all'art. 5 della L. 20 giugno 1952, n. 645 (come modificato dall'art. 11 della L. 22 maggio 1975, n. 152) è reato di pericolo concreto, che non sanziona le manifestazioni del pensiero e dell'ideologia fascista in sé, attese le libertà garantite dall'art. 21 Cost., ma soltanto ove le stesse possano determinare il pericolo di ricostituzione di organizzazioni fasciste, in relazione al momento ed all'ambiente in cui sono compiute, attentando concretamente alla tenuta dell'ordine democratico e dei valori ad esso sottesi" (Sez. 1, n. 11038 del 02/03/2016, Goglio, Rv. 269753 01).

Si muove nella stessa direzione ermeneutica, un'ulteriore intervento della Suprema Corte, che peraltro si attaglia perfettamente al caso di specie, secondo cui: "Il "saluto romano" e l'intonazione del coro "presente" durante una manifestazione integrano il reato di cui all'art. 5 della L. 20 giugno 1952, n. 645 (come modificato dall'art. 11 della L. 22 maggio 1975, n. 152 per la

connotazione di pubblicità che qualifica tali espressioni esteriori, evocati del disciolto partito fascista, contrassegnandone l'idoneità lesiva per l'ordinamento democratico ed i valori ad esso sottesi" (Sez. 1, n. 37577 del 25/03/2014, Bonazza, Rv. 259826 - 01).

Analogo rilievo ermeneutico, infine, deve essere attribuito all'arresto giurisprudenziale, maturato in un differente ambito sezionale, secondo cui: " Il delitto di cui all'art. 5 della L. 20 giugno 1952, n. 645 (come modificato dall'art. 11 della L. 22 maggio 1975, n. 152) è reato di pericolo concreto, che non sanziona le manifestazioni del pensiero e dell'ideologia fascista in sé, attese le libertà garantite dall'art. 21 Cost., ma soltanto quelle manifestazioni che determinino il pericolo di ricostituzione di organizzazioni fasciste, in relazione al momento ed all'ambiente in cui sono compiute, attentando concretamente alla tenuta dell'ordine democratico e dei valori ad esso sottesi" (Sez. 5, n. 36162 del 18/04/2019, Alberga, Rv, 277526 - 01).

4. In stretta correlazione alla questione ermeneutica della riconducibilità del "saluto fascista" al reato di cui all'art. 5 L. n. 645 del 1952 ovvero a quello di cui all'art. 2 D.L. n. 122 del 1993, occorre affrontare due ulteriori profili di criticità interpretativa, concernenti l'inquadramento di tali condotte quali reati di pericolo concreto o di pericolo astratto, nonché il rapporto esistente tra le due fattispecie, registrandosi, anche su tali temi, contrasti giurisprudenziali, la cui risoluzione deve essere demandata alle Sezioni Unite.

Si tratta di due questioni interpretative che presuppongono la risoluzione del contrasto tra gli orientamenti giurisprudenziali esposti nei paragrafi 3.1 e 3.2, postulando l'esatto inquadramento del "saluto fascista" in una delle due fattispecie astrattamente applicabili a tali condotte illecite.

4.1. Occorre, innanzitutto, affrontare la questione dell'inquadramento delle condotte illecite in esame quali reati di pericolo concreto o di pericolo astratto, riscontrandosi su tale, pur significativo profilo, un contrasto giurisprudenziale su cui si impone l'intervento chiarificatore invocato.

Ci si riferisce, in particolare al contrasto, non esplicitato in apposite massime, ma emergente dal percorso argomentativo seguito dalle pronunce intervenute in materia, tra l'orientamento ermeneutico rappresentato dalle pronunzie richiamate nel paragrafo 3.2 (Sez. 5, n. 36162 del 18/04/2019, Alberga, cit.; Sez. 1, n. 11038 del 02/03/2016, Goglio, cit.; Sez. 1, n. 37577 del 25/03/2014, Bonazza, cit.), che ritengono il "saluto fascista" o "saluto romano" riconducibile all'art. 5 L. n. 645 del 1952 e inquadrabile quale reato di pericolo concreto, e il contrapposto orientamento ermeneutico (Sez. 1, n. 21409 del 27/03/2019, Leccisi, cit.), richiamato nel paragrafo 3.1, che ritiene tale condotta materiale riconducibile all'art. 2 D.L. n. 122 del 1993 e inquadrabile quale reato di pericolo astratto.

Deve, in proposito, evidenziarsi che la seconda di tali opzioni ermeneutiche, allo stato minoritaria, non è espressamente ricavabile da principi oggetto di massimazione, pur potendosi richiamare un passaggio della sentenza che più efficacemente lo esprime, secondo cui "secondo cui il "saluto fascista" o "saluto romano" costituisce una manifestazione gestuale che rimanda all'ideologia fascista e ai valori politici di discriminazione razziale e di intolleranza sanzionati dall'art. 2 del D.L. n. 122 del 1993, evidenziando che la fattispecie (...) non richiede che le manifestazioni siano caratterizzate da elementi di violenza, svolgendo una funzione di tutela preventiva, che è quella propria dei reati di pericolo astratto" (Sez. 1, n. 21409 del 27/03/2019, Leccisi, cit.).

Sulla legittimità costituzionale dei reati di pericolo astratto, del resto, la Corte costituzionale si è ripetutamente pronunciata (Corte Cost., sent. n. 225 del 2008; Corte Cost., sent. n. 286 del 1974), ribadendo la loro compatibilità con le norme costituzionali, a condizione che nelle fattispecie di volta in volta considerate siano rinvenibili elementi che consentano di ritenere dotate di attitudine offensiva le condotte illecite. In questi casi, pertanto, occorre verificare se il fatto concreto possieda tali connotazioni di offensività, tenuto conto delle circostanze di tempo e di luogo in cui si concretizza il comportamento criminoso dell'imputato, valutato secondo una prospettiva ex ante.

4.2. L'intervento delle Sezioni Unite, al contempo, si rende necessario allo scopo di chiarire quale sia la natura del rapporto tra il reato di cui all'art. 5 L. n. 645 del 1952 e quello di cui all'art. 2 D.L. n. 122 del 1993, riscontrandosi, anche su rilevante tale profilo, un marcato contrasto giurisprudenziale.

Si contrappongono, infatti, sul tema un orientamento giurisprudenziale che ritiene sussistente tra le due fattispecie un rapporto di specialità, rilevante ai sensi dell'art. 15 c.p., che è possibile sintetizzare mediante il richiamo al seguente principio di diritto: "Il reato di cui all'art. 2, D.L. 26 aprile 1993, n. 122, convertito, con modificazioni, nella L. 25 giugno 1993, n. 205, che sanziona le manifestazioni esteriori, suscettibili di concreta diffusione, di simboli e rituali dei gruppi o associazioni che propugnano idee discriminatorie o razziste, si differenzia da quello di cui all'art. 5 L. 26 giugno 1952, n. 645, che richiede che le medesime condotte siano idonee a determinare il pericolo concreto di riorganizzazione del disciolto partito fascista, ponendosi in rapporto di specialità con il primo" (Sez. 1, n. 3806 del 19/11/2021, Buzzi, Rv. 282500 - 01).

Si muove, invece, in una direzione ermeneutica esattamente contrapposta la pronuncia, maturata in epoca coeva a quella appena citata, nello stesso ambito sezionale, secondo cui: "Non sussiste rapporto di specialità fra il reato di cui all'art. 2 del D.L. 26 aprile 1993, n. 122, convertito con modificazioni nella legge

25 giugno 1993, n. 205, che incrimina le manifestazioni esteriori, suscettibili di concreta diffusione, di simboli e rituali dei gruppi o associazioni che propugnano nell'attualità idee discriminatorie o razziste, e quello di cui all'art. 5 della legge

26 giugno 1952, n. 645, come modificato dall'art. 11 della L. 22 maggio 1975, n. 152, che sanziona il compimento, in pubbliche riunioni, di manifestazioni simboliche usuali o di gesti evocativi del disciolto partito fascista, non sussistendo un rapporto di necessaria continenza tra le due fattispecie, caratterizzate da un diverso ambito applicativo" (Sez. 1, n. 7904 del 12/10/2021, dep. 2022, Scordo, Rv. 282914 - 02).

5. In questa cornice, i contrasti ermeneutici segnalati nei paragrafi precedenti, a proposito dell'inquadramento del "saluto romano" o "saluto fascista", generalmente accompagnato alla parola "presente", pronunciata in risposta a una chiamata indirizzata ai partecipanti a una manifestazione pubblica, non incidono soltanto sui ricorsi proposti nell'interesse degli imputati, ma richiamano l'esigenza di assicurare l'uniformità dell'interpretazione su questioni interpretative di notevole rilevanza.

Per queste ragioni, si reputa opportuno, a norma dell'art. 618, comma 1, c.p.p., rimettere alle Sezioni Unite della Corte di cassazione i ricorsi in esame, formulando il seguente quesito: "Se la condotta consistente nel protendere in avanti il braccio nel "saluto fascista", evocativa della gestualità tipica del disciolto partito fascista, tenuta nel corso di una manifestazione pubblica, senza la preventiva identificazione dei partecipanti quali esponenti di un'associazione esistente che propugni gli ideali del predetto partito, integri la fattispecie di reato di cui all'art. 2 D.L. 26 aprile 1993, n. 122, convertito dalla L. 25 giugno 1993, n. 205, ovvero quella prevista dall'art. 5 L. 30 giugno 1952, n. 645; se entrambe le disposizioni configurino un reato di pericolo concreto o di pericolo astratto e se le stesse siano tra loro in rapporto di specialità oppure possano concorrere".

P.Q.M.

Rimette il ricorso alle Sezioni Unite.

Così deciso in Roma, il 6 settembre 2023.

Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2023.

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