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Scambio di badge tra dipendenti pubblici? È truffa aggravata

Corte di Cassazione, sez. II Penale, Sentenza n.1999 del 19/12/2023 (dep. 17/01/2024)

Lo scambio di badge tra dipendenti pubblici costituisce reato?

La Corte di Cassazione, sez. II penale, con la sentenza n. 1999 depositata il 17 gennaio 2024, risponde affermativamente.

Nel caso di specie due dipendenti pubblici, che avevano effettuato uno scambio di badge per la rilevazione delle presenze, erano stati condannati, in primo grado ed in appello, per i delitti di truffa aggravata ai danni dello Stato ex 640 cod. pen. ed inesatta indicazione dell'orario di lavoro ex art. 55 quinquies D.Lgs 165/2001. 

I due dipendenti presentano ricorso in Cassazione sostenendo l’inutilizzazione nel processo penale delle rilevazioni degli orari di ingresso ed uscita dei lavoratori, perché avvenute prima del Decreto semplificazioni, quando vigeva un divieto assoluto di utilizzo di apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell'attività lavorativa.

La Cassazione tuttavia ricorda il principio secondo cui sono utilizzabili a fini probatori nel processo penale, le rilevazioni degli orari di ingresso ed uscita dei lavoratori, anche se gli apparecchi di rilevazione sono installati in violazione dello Statuto dei lavoratori, in quanto tali garanzie riguardano soltanto i rapporti di diritto privato tra datore di lavoro e lavoratori, ma non possono avere rilievo nell'attività di accertamento e repressione di fatti costituenti reato.

In conclusione la Suprema Corte ribadisce che la falsa attestazione del pubblico dipendente circa la presenza in ufficio riportata sui cartellini marcatempo o nei fogli di presenza, è condotta fraudolenta, “idonea oggettivamente ad indurre in errore l'amministrazione di appartenenza circa la presenza su luogo di lavoro e integra il reato di truffa aggravata ove il pubblico dipendente si allontani senza far risultare, mediante timbratura del cartellino o della scheda magnetica, i periodi di assenza, sempre che siano da considerare economicamente apprezzabili”.

Reato di truffa aggravata, presenza in ufficio, falsa attestazione del pubblico dipendente, configurabilità

La falsa attestazione del pubblico dipendente circa la presenza in ufficio riportata sui cartellini marcatempo o nei fogli di presenza, è condotta fraudolenta, idonea oggettivamente ad indurre in errore l'amministrazione di appartenenza circa la presenza su luogo di lavoro e integra il reato di truffa aggravata ove il pubblico dipendente si allontani senza far risultare, mediante timbratura del cartellino o della scheda magnetica, i periodi di assenza, sempre che siano da considerare economicamente apprezzabili.

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Cassazione penale, sez. II, sentenza 19/12/2023, (dep. 17/01/2024) n. 1999

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di Appello di Sassari, con sentenza in data 1 dicembre 2022, confermava la pronuncia del Tribunale di Tempio Pausania del 17-3-2022 che aveva condannato LE.MA. e Va.Lu. alle pene di legge perché ritenuti responsabili dei delitti di truffa aggravata ai danni dello Stato ed inesatta indicazione dell'orario di lavoro (artt. 55 quinquies D.Lgs 165/2001) loro ascritti.

2. Avverso detta sentenza proponevano ricorso per cassazione entrambi gli imputati con unico atto del difensore avv.to Pietro Diaz che, con distinti motivi qui riassunti ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen., lamentava:

- inosservanza od erronea applicazione degli articoli 640 cod. pen. e 55 quinquies del decreto legislativo 165 del 2001 in relazione all'articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori nel punto in cui le pronunce di merito avevano ritenuto sussistente per i dipendenti pubblici l'obbligo di timbratura del badge personale benché l'obbligo anzidetto non fosse regolato da alcun accordo sindacale o da un provvedimento dell'Ispettorato del lavoro; al proposito si lamentava che la sentenza aveva preso in considerazione fatti commessi tra l'ottobre ed il dicembre del 2014, antecedenti la novella legislativa di cui al decreto n.151 del 2015, allorché vigeva un divieto assoluto di utilizzo di apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell'attività lavorativa; l'orientamento giurisprudenziale richiamato dalla sentenza di appello affermava il principio esattamente contrario stabilito dalla sezione lavoro della Corte di cassazione secondo cui è illegittima ogni attività di controllo a distanza del rispetto dell'orario di lavoro che non sia oggetto di previo accordo con le rappresentanze sindacali dei dipendenti e di autorizzazione dell'Ispettorato del lavoro;

- difetto di motivazione ex articolo 606 lettera e) cod. proc. pen. sugli elementi integrativi del reato ed in particolare circa l'errore induttivo delle disposizioni patrimoniali ed il profitto ingiusto arrecato; al proposito si lamentava che l'ingiustizia del profitto non poteva ricavarsi dal difetto di corrispondenza tra prestazione retributiva e prestazione lavorativa sottolineando anche che, per entrambi i lavoratori, non erano state specificamente indicate quelle attività meramente private che sarebbero state svolte lontano dalla sede comunale; al proposito si sosteneva anche come l'istruzione dibattimentale avesse provato che per l'attività di uscieri erano autorizzate anche mansioni esterne l'ufficio comunale;

- carenza di motivazione ex articolo 606 lettera e) cod. proc. pen. quanto alla valutazione delle deposizioni di vari testi analiticamente indicati nel punto in cui la sentenza aveva escluso la sussistenza delle condizioni per affermare la non punibilità per particolare tenuità del fatto ex articolo 131 bis cod.pen.; al proposito si deduceva che l'assenza di qualsiasi accertamento specifico risultato dalle deposizioni dei testi contraddiceva la ricostruzione contenuta nell'impugnata pronuncia a fondamento del rigetto della richiesta di applicazione della causa di non punibilità.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso è proposto per motivi manifestamente non fondati e deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile.

Ed invero, quanto al primo motivo, deve essere ricordato come secondo il costante orientamento di questa Corte di cassazione già espresso pur in relazione a fatti antecedenti l'introduzione della disciplina dettata dal D.Lgs. 151 del 2015, le limitazioni degli strumenti di controllo dei lavoratori invocate quale condizione dirimente e determinante l'inutilizzabilità della prova non possono assumere rilievo decisivo nel processo penale in cui l'acquisizione delle prove è autonomamente disciplinata dagli articoli del codice di rito che alcun limitazione di tale genere prevedono e disciplinano. Così che le previsioni imposte dalla disciplina dello Statuto dei lavoratori circa gli strumenti di controllo dei lavoratori non comportano alcuna inutilizzabilità della prova nel processo penale. Il principio risulta già affermato da un precedente di questa sezione secondo cui sono utilizzabili a fini probatori nel processo penale, le rilevazioni degli orari di ingresso ed uscita dei lavoratori, anche ove gli apparecchi di rilevazione siano stati installati in violazione delle garanzie procedurali previste dall'art. 4, comma secondo, della legge 20 maggio 1970,n.300 (violazione nella specie derivante dalla mancanza dell'accordo con le organizzazioni sindacali), in quanto tali garanzie riguardano soltanto i rapporti di diritto privato tra datore di lavoro e lavoratori, ma non possono avere rilievo nell'attività di accertamento e repressione di fatti costituenti reato (Sez. 2, n. 33567 del 12/05/2016, Rv. 267476 - 01). E tale principio risultava già adottato anche da precedenti pronunce secondo cui sono utilizzabili le videoriprese effettuate dalla polizia giudiziaria, in assenza di preventiva autorizzazione del giudice, nell'area riservata all'ingresso dei dipendenti di un ufficio postale, ove si trovi l'orologio marcatempo delle presenze giornaliere; in motivazione, si è chiarito che l'utilizzabilità delle videoriprese in ambienti dedicati allo svolgimento di attività lavorativa non è preclusa dagli artt. 4 dello Statuto dei lavoratori e 114 D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, i quali riguardano unicamente i controlli del datore di lavoro sull'esecuzione dell'ordinaria attività lavorativa, non anche quelli destinati a prevenire specifiche condotte illecite del lavoratore ed a tutelare il patrimonio aziendale (Sez. 6, n. 30177 del 04/06/2013, Rv. 256640 - 01). Ne deriva pertanto affermare che il primo motivo è manifestamente non fondato poiché deduce una insussistente causa di inutilizzabilità della prova.

2. Quanto al secondo motivo che lamenta l'insussistenza degli elementi del reato di truffa, va ricordato come secondo una costante interpretazione la falsa attestazione del pubblico dipendente circa la presenza in ufficio riportata sui cartellini marcatempo o nei fogli di presenza, è condotta fraudolenta, idonea oggettivamente ad indurre in errore l'amministrazione di appartenenza circa la presenza su luogo di lavoro e integra il reato di truffa aggravata ove il pubblico dipendente si allontani senza far risultare, mediante timbratura del cartellino o della scheda magnetica, i periodi di assenza, sempre che siano da considerare economicamente apprezzabili (Sez. 2, n. 5837 del 17/01/2013, Rv. 255201 - 01). E nel caso in esame i giudici di merito, con doppia valutazione conforme, hanno proprio ritenuto che i due dipendenti attraverso il reciproco scambio dei badge avessero falsamente attestato l'entrata e l'uscita dal servizio.

3. Infine, quanto al terzo motivo, le specifiche osservazioni svolte dalla corte di appello a pagina 13 della sentenza, fondate su precise circostanze di fatto, escludono la sussistenza dei lamentati vizi avendo i giudici di merito ricollegato la impossibilità di ritenere la richiesta causa di non punibilità a precisi argomenti privi di qualsiasi illogicità.

In conclusione, le impugnazioni devono ritenersi inammissibili a norma dell'art. 606 comma terzo cod. proc. pen.; alla relativa declaratoria consegue, per il disposto dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 3.000,00 ciascuno.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.

Così deciso in Roma il 19 dicembre 2023.

Depositata in cancelleria il 17 gennaio 2024.

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