
In caso di divorzio, la quota del 40% del trattamento di fine rapporto (TFR) spetta all’ex coniuge titolare dell’assegno divorzile anche quando l’assegno è di importo modesto e ha funzione esclusivamente assistenziale?
La risposta arriva dalla Corte di cassazione, con l’ordinanza n. 32910 del 17 dicembre 2025, che chiarisce in modo netto il perimetro applicativo dell’art. 12-bis della legge n. 898/1970.
Nel giudizio di divorzio, il Tribunale prima e la Corte d’Appello poi avevano riconosciuto all’ex moglie:
un assegno divorzile di importo contenuto, con funzione meramente assistenziale e integrativa;
la quota del 40% del trattamento di fine servizio maturato dall’ex marito durante il matrimonio.
L’ex coniuge obbligato propone ricorso sostenendo che:
l’assegno aveva natura esclusivamente assistenziale;
l’importo era modesto;
la quota del TFR avrebbe dovuto spettare solo in presenza di una funzione perequativo-compensativa dell’assegno.
Da qui la questione centrale: è possibile distinguere, ai fini dell’art. 12-bis, tra assegno assistenziale e assegno compensativo?
La Cassazione risponde in modo chiaro: no.
Secondo l’ordinanza n. 32910/2025, la spettanza della quota del 40% del TFR dipende esclusivamente da tre presupposti:
sentenza di divorzio passata in giudicato;
mancato passaggio a nuove nozze del coniuge richiedente;
titolarità dell’assegno divorzile ex art. 5, comma 6, l. 898/1970.
La funzione concreta dell’assegno è irrilevante.
Non conta se l’assegno:
è assistenziale;
è integrativo;
è di importo contenuto;
non svolge alcuna funzione perequativa o compensativa.
La Corte chiarisce che:
l’art. 12-bis non consente distinzioni basate sulla funzione dell’assegno;
il giudice non può introdurre criteri selettivi non previsti dal legislatore;
una simile lettura sarebbe in contrasto con la lettera e la ratio della norma.
La quota di TFR è uno strumento di solidarietà post-coniugale, collegato:
alla retribuzione differita maturata durante il matrimonio;
alla collaborazione familiare che ha reso possibile quel percorso lavorativo.
In questa prospettiva, il TFR è parte delle “fortune economiche costruite insieme”, anche se incassate dopo il divorzio.
La Cassazione respinge anche la questione di legittimità costituzionale sollevata dal ricorrente.
Non c’è:
espropriazione illegittima;
violazione degli artt. 1, 2, 3 e 42 della Costituzione.
La scelta legislativa di collegare il TFR alla sola titolarità dell’assegno divorzile rientra nella discrezionalità del legislatore ed è coerente con i principi di solidarietà economica tra ex coniugi.
Il principio che emerge dall’ordinanza n. 32910/2025 è lineare:
se c’è assegno divorzile, c’è anche la quota del 40% del TFR;
non rileva la funzione assistenziale dell’assegno;
non rileva l’importo;
non è ammessa alcuna distinzione interpretativa correttiva.
Per chi opera nel diritto di famiglia, il messaggio è chiaro: quando si discute di TFR, la vera chiave è una sola: la titolarità dell’assegno divorzile.
Il resto non conta.
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