Divorzio: la quota del TFR spetta anche se l’assegno è solo assistenziale?

Articolo del 30/12/2025

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In caso di divorzio, la quota del 40% del trattamento di fine rapporto (TFR) spetta all’ex coniuge titolare dell’assegno divorzile anche quando l’assegno è di importo modesto e ha funzione esclusivamente assistenziale?

La risposta arriva dalla Corte di cassazione, con l’ordinanza n. 32910 del 17 dicembre 2025, che chiarisce in modo netto il perimetro applicativo dell’art. 12-bis della legge n. 898/1970.


Il caso deciso dalla Cassazione

Nel giudizio di divorzio, il Tribunale prima e la Corte d’Appello poi avevano riconosciuto all’ex moglie:

  • un assegno divorzile di importo contenuto, con funzione meramente assistenziale e integrativa;

  • la quota del 40% del trattamento di fine servizio maturato dall’ex marito durante il matrimonio.

L’ex coniuge obbligato propone ricorso sostenendo che:

  • l’assegno aveva natura esclusivamente assistenziale;

  • l’importo era modesto;

  • la quota del TFR avrebbe dovuto spettare solo in presenza di una funzione perequativo-compensativa dell’assegno.

Da qui la questione centrale: è possibile distinguere, ai fini dell’art. 12-bis, tra assegno assistenziale e assegno compensativo?


La regola fissata dalla Corte

La Cassazione risponde in modo chiaro: no.

Secondo l’ordinanza n. 32910/2025, la spettanza della quota del 40% del TFR dipende esclusivamente da tre presupposti:

  • sentenza di divorzio passata in giudicato;

  • mancato passaggio a nuove nozze del coniuge richiedente;

  • titolarità dell’assegno divorzile ex art. 5, comma 6, l. 898/1970.

La funzione concreta dell’assegno è irrilevante.

Non conta se l’assegno:

  • è assistenziale;

  • è integrativo;

  • è di importo contenuto;

  • non svolge alcuna funzione perequativa o compensativa.


Perché la distinzione non è ammessa

La Corte chiarisce che:

  • l’art. 12-bis non consente distinzioni basate sulla funzione dell’assegno;

  • il giudice non può introdurre criteri selettivi non previsti dal legislatore;

  • una simile lettura sarebbe in contrasto con la lettera e la ratio della norma.

La quota di TFR è uno strumento di solidarietà post-coniugale, collegato:

  • alla retribuzione differita maturata durante il matrimonio;

  • alla collaborazione familiare che ha reso possibile quel percorso lavorativo.

In questa prospettiva, il TFR è parte delle “fortune economiche costruite insieme”, anche se incassate dopo il divorzio.


Nessun dubbio di costituzionalità

La Cassazione respinge anche la questione di legittimità costituzionale sollevata dal ricorrente.

Non c’è:

  • espropriazione illegittima;

  • violazione degli artt. 1, 2, 3 e 42 della Costituzione.

La scelta legislativa di collegare il TFR alla sola titolarità dell’assegno divorzile rientra nella discrezionalità del legislatore ed è coerente con i principi di solidarietà economica tra ex coniugi.


Cosa ci portiamo a casa

Il principio che emerge dall’ordinanza n. 32910/2025 è lineare:

  • se c’è assegno divorzile, c’è anche la quota del 40% del TFR;

  • non rileva la funzione assistenziale dell’assegno;

  • non rileva l’importo;

  • non è ammessa alcuna distinzione interpretativa correttiva.

Per chi opera nel diritto di famiglia, il messaggio è chiaro: quando si discute di TFR, la vera chiave è una sola: la titolarità dell’assegno divorzile.

Il resto non conta.


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