LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCIARELLI Guglielmo – Presidente –
Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –
Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –
Dott. NOBILE Vittorio – rel. Consigliere –
Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 3030/2007 proposto da:
G.S., elettivamente domiciliato in ROMA, LUNGOTEVERE DEI MELLINI 44, presso lo studio dell’avvocato ZECCA ALESSANDRO, rappresentato e difeso dall’avvocato GARUFI Santino, giusta mandato a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
POSTE ITALIANE S.P.A.;
– intimata –
sui ricorso 8097/2007 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE EUROPA 17 5, (DIREZIONE AFFARI LEGALI DI ROMA DI POSTE ITALIANE), presso lo studio dell’avvocato ANNA MARIA URSINO, che la rappresenta e difende, giusta mandato a margine del controricorso e ricorso incidentale;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
contro
G.S.;
– intimato –
avverso la sentenza n. 864/2006 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositata il 02/12/2006 r.g.n. 1592/04;
udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 10/06/2010 dal Consigliere Dott. VITTORIO NOBILE;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FUCCI Costantino, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso principale, rigetto dell’incidentale.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza in data 9-11-2004 il Giudice del lavoro del Tribunale di Ragusa rigettava la domanda proposta da G.S. nei confronti della s.p.a. Poste Italiane, diretta ad ottenere il riconoscimento della nullità del termine apposto al contratto di lavoro stipulato ex art. 8 ccnl 1994, per il periodo 4-7-2000/30-9- 2000, per “necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie”, con il ripristino del rapporto e la condanna della società al pagamento delle retribuzioni maturate.
In particolare il giudice accoglieva la eccezione di parte convenuta in ordine alla volontà risolutoria del rapporto per mutuo consenso, evincibile da facta concludenza.
Avverso la detta sentenza il G. proponeva appello insistendo per l’accoglimento della domanda.
La società si costituiva chiedendo il rigetto del gravame di controparte e riproponendo, anche in via di appello incidentale subordinato, le difese di merito svolte in primo grado, in ordine alla legittimità del termine apposto al contratto de quo.
La Corte d’Appello di Catania, con sentenza depositata il 2-12-2006, in sostanza riteneva infondata la eccezione di risoluzione per mutuo consenso tacito e legittima la assunzione a termine de qua, in tal modo confermando il rigetto della domanda.
Per la cassazione di tale sentenza il G. ha proposto ricorso con un complesso motivo.
La società ha resistito con controricorso ed ha proposto ricorso incidentale con due motivi.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente, riuniti i ricorsi avverso la stessa sentenza ex art. 335 c.p.c.., osserva il Collegio che con il ricorso principale il G. denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1372 c.c., comma 1, artt. 1175, 2697 e 1431 c.c., e vizi di motivazione nonchè violazione e falsa applicazione degli artt. 1217 e 1223 c.c., art. 1453 c.c., e segg. e art. 1460 c.c., e vizi di motivazione, senza formulare alcun quesito di diritto e senza esporre alcun “momento di sintesi” in relazione ai vizi di motivazione denunciati, come prescritto dall’art. 366 bis c.p.c., applicabile nella fattispecie ratione temporis, trattandosi di ricorso avverso sentenza pubblicata in data (2-12-2006) successiva all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 40 del 2006, ed anteriore all’entrata in vigore della L. n. 69 del 2009.
L’art. 366 bis c.p.c., infatti, “nel prescrivere le modalità di formulazione dei motivi di ricorso in cassazione, comporta, ai fini della declaratoria di inammissibilità del ricorso medesimo, una diversa valutazione da parte del giudice di legittimità a seconda che si sia in presenza dei motivi previsti dall’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4, ovvero del motivo previsto dal numero 5 della stessa disposizione. Nel primo caso ciascuna censura deve, all’esito della sua illustrazione, tradursi in un quesito di diritto, la cui enunciazione (e formalità espressiva) va funzionalizzata, come attestato dal l’art. 384 cod. proc. civ., all’enunciazione del principio di diritto ovvero a “dicta” giurisprudenziali su questioni di diritto di particolare importanza, mentre, ove venga in rilievo il motivo di cui all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5 (il cui oggetto riguarda il solo “iter” argomentativo della decisione impugnata), è richiesta una illustrazione che pur libera da rigidità formali, si deve concretizzare in una esposizione chiara e sintetica del fatto controverso – in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione” (v. Cass. 25-2-2009 n. 4556).
In particolare il quesito di diritto “deve comprendere l’indicazione sia della regola iuris adottata nel provvedimento impugnato, sia del diverso principio che il ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare in sostituzione del primo. La mancanza anche di una sola delle due suddette indicazioni rende il ricorso inammissibile” (v. Cass. 30-9-2008 n. 24339), mentre “poichè nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione, la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo al quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità” (v. Cass. S.U. 1-10-2007 n. 20603, Cass. 20-2-2008, 4309).
Nella specie, stante la totale mancanza sia del quesito di diritto sia del momento di sintesi richiesti, il ricorso principale va dichiarato inammissibile.
Ne consegue la inammissibilità anche del ricorso incidentale, per carenza di interesse, avendo la società, in sostanza, ottenuto in appello il riconoscimento della legittimità del termine apposto al contratto de quo, con il rigetto in tal senso della domanda di controparte.
Infine l’esito reciproco dei ricorsi costituisce giusto motivo per la compensazione delle spese.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi, li dichiara inammissibili e compensa le spese.
Così deciso in Roma, il 10 giugno 2010.
Depositato in Cancelleria il 12 luglio 2010