Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.30885 del 29/11/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHIRO’ Stefano – Presidente –

Dott. GENOVESE Francesco A. – rel. Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3195/2019 proposto da:

Sem Catering S.a.s., di S.E. & C., in persona del legale rappresentante pro tempore, G.M., S.E., elettivamente domiciliati in Roma, Corso Trieste n.87, presso lo studio dell’avvocato Antonucci Arturo, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato Vassalle Roberto, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.a., in persona legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Pietro Cossa n.13, presso lo studio dell’avvocato Tropiano Maria, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato Eruzzi Mario Carlo, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1255/2014 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, pubblicata il 22/10/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/09/2018 dal cons. GENOVESE FRANCESCO ANTONIO;

lette le conclusioni scritte del P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CARDINO Alberto, che ha chiesto che Codesta Corte di Cassazione voglia accogliere il motivo di ricorso 4.

FATTI DI CAUSA

1.La Corte d’appello di Brescia, sui contrapposti gravami proposti dai correntisti SEM Catering sas di E. S. & C. nonchè S.E. e G.M., da un lato, e la Banca Agricola Mantovana SpA (poi divenuta Banca Monte dei Paschi di Siena SpA), dall’altro, ha parzialmente riformato la pronuncia di accoglimento resa dal Tribunale di Mantova sulle domande di dichiarazione dell’invalidità dei contratti di conto corrente bancario da loro intrattenuti o delle pattuizioni afferenti ai medesimi e l’esatta determinazione del dare ed avere, tra essi attori e la Banca, con condanna di quest’ultima alla restituzione di tutte le somme da costei indebitamente loro addebitate.

1.1. In particolare, con la detta pronuncia, la Corte territoriale ha respinti gli appelli dei correntisti ed accolto parzialmente quello della Banca e condannato il S. al pagamento di Euro 6.879,94 (conto corrente n. *****) e l’Istituto di credito a pagare allo stesso S. la somma di Euro 4.868,41 (conto corrente n. *****), oltre agli interessi dalla domanda al saldo, respinte le richieste di SEM e G. in relazione ai conti nn. *****, ***** e *****, con spese compensate.

1.2. Secondo la Corte, non aveva errato il primo giudice a disattendere la domanda di nullità dei contratti di conto corrente (nn. *****, ***** e *****) per la mancanza della forma scritta atteso che la banca aveva depositato, oltre alle copie dei contratti, anche le lettere integrative di quelli, firmate dai correntisti, nelle quali si comunicava l’avvenuta ricezione delle missive di comunicazione dell’apertura dei singoli conti correnti e di illustrazione delle relative condizioni: sicchè poteva dirsi che il negozio giuridico era stato concluso per corrispondenza (con la proposta firmata dalla Banca contro l’accettazione da parte del cliente). Si trattava, inoltre, di rapporti che avevano comunque avuto esecuzione.

1.3. Inoltre, in sede istruttoria era stato confermato il contenuto contrattuale anche in riferimento ai tassi praticati, onde non era fondata la domanda di nullità delle pattuizioni relative ai tassi ultralegali, perchè non redatte in forma scritta.

1.4. Per tali interessi, precisati nella misura del tasso massimo, era da escludersi ogni ipotesi di arbitrio da parte della Banca.

1.5. Infine, nel ricalcolo operato dal giudice, anche sulla base della CTU, con riferimento alle voci passive a loro addebitate, ma da essi non dovute, per la proposta azione di ripetizione dell’indebito dei correntisti doveva osservarsi il termine decennale di prescrizione, calcolato non già dalla data delle singole annotazioni delle operazioni indebitamente affermate ma da quella di estinzione del saldo di chiusura del conto, secondo l’insegnamento delle SU (riferimento alla sent. n. 24418 del 2010) ed in considerazione della mancanza di pagamenti ripristinatori, per essere tutti solutori.

2. Avverso tale decisione hanno proposto ricorso per cassazione i correntisti SEM Caterig sas di E. S. & C. nonchè S.E. e G.M. con cinque mezzi di doglianza, illustrati anche con memoria.

3. La Banca ha resistito con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo di ricorso (violazione e falsa applicazione della L. n. 154 del 1992, art. 3,D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 117, art. 1321 c.c., art. 1350 c.c., n. 13, e art. 1418 c.c., comma 3, art. 2725 c.c., e art. 2729 c.c., comma 2, in relazione alle eccezioni di nullità dei rapporti nn. *****, ***** e *****, per inosservanza dell’obbligo di forma) i correntisti lamentano il mancato accoglimento della domanda di nullità dei contratti, atteso che in atti era stato versato soltanto il modulo di apertura del conto e la lettera integrativa dello stesso, documenti che venivano trascritti nel ricorso. Secondo i ricorrenti, la richiamata documentazione era inidonea a dar prova della forma scritta, necessaria per l’esistenza del contratto di conto corrente.

2. Con il secondo (violazione del giudicato interno e dell’art. 112 c.p.c., in relazione al contenuto delle lettere integrative dei rapporti nn. *****, ***** e *****, come accertato dalla sentenza di primo grado) i ricorrenti, in difetto di una specifica impugnazione al riguardo, deducono l’esistenza di un giudicato interno che avrebbe portato il primo giudice all’affermazione, nell’ambito della lettera integrativa inviata dalla Banca, della mancata indicazione delle condizioni economiche del rapporto contrattuale.

3. Con il terzo (violazione dell’art. 1284 c.c., comma 3, e D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 117, comma 4, in relazione all’esistenza di una valida pattuizione scritta degli interessi debitori, relativamente ai conti nn. *****, ***** e *****) i correntisti lamentano che la Corte territoriale, in risposta al loro appello relativo al difetto del contenuto contrattuale riguardante i tassi praticati, abbia affermato che esso consisteva dell’individuazione (sulla base dei fogli informativi) di quelli minimi e massimi, senza che tuttavia fosse stato esplicitato il criterio applicativo degli uni e degli altri, perciò rimessi al mero arbitrio della Banca e non all’accordo delle parti.

4. Con il quarto (violazione della L. n. 154 del 1992, art. 3,D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 117, e art. 2967 c.c., comma 2, in relazione alla eccezione di prescrizione del diritto all’indebito formulata dalla Banca e all’onere della prova circa la natura solutoria dei versamenti eseguiti sui conti correnti nn. *****, ***** e *****, per contrasto con Cass. nn. 26133/16 e 4518/14) i ricorrenti lamentano la violazione della decorrenza del termine di prescrizione per avere il giudice, sulla scorta di una CTU esplorativa e surrogatoria dell’onere probatorio della parte, affermato la natura solutoria di tutti i versamenti da loro eseguiti.

5. Con il quinto (violazione degli artt. 61,115 e 191 c.p.c., in relazione alla natura esplorativa della CTU ed alla sua presunta nullità, in quanto mirata alla ricerca di elementi solutori non allegati dalla Banca) si deduce la ricerca officiosa di elementi che avrebbe dovuto fornire la parte interessata e che invece sarebbero stati ricercati dal giudice a mezzo del CTU, il quale non avrebbe tenuto conto anche di un versamento particolarmente consistente.

6. Il primo motivo di ricorso, relativo al difetto della forma scritta del contratto di conto corrente stipulato tra le parti, è infondato e deve essere respinto.

6.1. Le Sezioni unite di questa Corte, già con riferimento alla materia dell’intermediazione finanziaria, hanno stabilito il principio di diritto secondo cui “il requisito della forma scritta del contratto-quadro, posto a pena di nullità (azionabile dal solo cliente) dal D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 23, va inteso non in senso strutturale, ma funzionale, avuto riguardo alla finalità di protezione dell’investitore assunta dalla norma, sicchè tale requisito deve ritenersi rispettato ove il contratto sia redatto per iscritto e ne sia consegnata una copia al cliente, ed è sufficiente che vi sia la sottoscrizione di quest’ultimo, e non anche quella dell’intermediario, il cui consenso ben può desumersi alla stregua di comportamenti concludenti dallo stesso tenuti”.

6.2. Sulla base di tale arresto, questa sezione ha fatto applicazione dello stesso principio anche in materia di contratti bancari, stabilendo che:

a) I contratti bancari soggetti alla disciplina di cui al D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 117, così come i contratti di intermediazione finanziaria, non esigono ai fini della valida stipula del contratto la sottoscrizione del documento contrattuale da parte della banca, il cui consenso si può desumere alla stregua di atti o comportamenti alla stessa riconducibili, sicchè la conclusione del negozio non deve necessariamente farsi risalire al momento in cui la scrittura privata che lo documenta, recante la sottoscrizione del solo cliente, sia prodotta in giudizio da parte della banca stessa, potendo la certezza della data desumersi da uno dei fatti espressamente previsti dall’art. 2704 c.c., o da altro fatto che il giudice reputi significativo a tale fine, nulla impedendo che il negozio venga validamente ad esistenza prima della produzione in giudizio della relativa scrittura ed indipendentemente da tale evenienza (Sez. 1 -, Ordinanza n. 14243 del 2018);

b) In tema di contratti bancari, la mancata sottoscrizione del documento contrattuale da parte della banca non determina la nullità per difetto della forma scritta prevista dal D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 117, comma 3, trattandosi di un requisito che va inteso non in senso strutturale, ma funzionale. Ne consegue che è sufficiente che il contratto sia redatto per iscritto, ne sia consegnata una copia al cliente e vi sia la sottoscrizione di quest’ultimo, potendo il consenso della banca desumersi alla stregua di comportamenti concludenti.(Sez. 1 -, Ordinanza n. 14646 del 2018);

c) In materia di contratti bancari, la omessa sottoscrizione del documento da parte dell’istituto di credito non determina la nullità del contratto per difetto della forma scritta, prevista dal D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 117, comma 3. Il requisito formale, infatti, non deve essere inteso in senso strutturale, bensì funzionale, in quanto posto a garanzia della più ampia conoscenza, da parte del cliente, del contratto predisposto dalla banca, la cui mancata sottoscrizione è dunque priva di rilievo, in presenza di comportamenti concludenti dell’istituto di credito idonei a dimostrare la sua volontà di avvalersi di quel contratto. (Sez. 1 -, Ordinanza n. 16070 del 2018).

6.3. Sostengono i ricorrenti la tesi della non assimilabilità del contratto-quadro cd. monofirma, regolato dal TUF, rispetto alle concrete fattispecie di contratti, pure monofirma, che sarebbero disciplinati dal TUB; e ciò in ragione del diverso regime delle nullità di protezione che i due testi di legge assicurerebbero agli interessi coinvolti e alle necessità della loro tutela.

6.3.1. Ma la tesi non ha pregio in quanto, come è già stato acutamente notato in dottrina, nell’art. 117 (Contratti) del Tubdel 1993 (che al comma 1, statuisce la regola secondo cui “1. I contratti sono redatti per iscritto e un esemplare è consegnato ai clienti.”) il riferimento (presente in tutte e due le disposizioni richiamate in comparazione: cfr. quella di cui all’art. 23 (“… sono redatti per iscritto..”)) alla nozione di “redazione”, unitamente all’attività di consegna di un esemplare del contratto, corrisponde non già un requisito del contratto ma un comportamento dell’intermediario o della banca.

6.3.2. Deve perciò respingersi la censura ed enunciarsi il seguente principio di diritto:

in tema di contratti bancari, la mancata sottoscrizione del documento contrattuale da parte della banca non determina la nullità per difetto della forma scritta prevista dal D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 117, comma 3, trattandosi non già di un requisito del contratto ma della prescrizione di un comportamento che la banca (al pari dell’intermediario finanziario, ai sensi del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 23) deve osservare nell’interesse del risparmiatore o correntista, altrimenti conseguendone la sanzione della nullità.

6.4. Pertanto, il motivo non è fondato avendo la Corte territoriale dato atto dell’esistenza oltre che delle copie dei contratti, anche delle lettere integrative firmate dai correntisti, nelle quali si comunicava l’avvenuta ricezione delle missive attraverso cui la banca aveva comunicato l’apertura dei singoli conti correnti e illustrato le relative condizioni: perciò il negozio era stato concluso per corrispondenza (proposta firmata dalla Banca contro accettazione da parte del cliente). Senza dire che, pacificamente, i rapporti avevano avuto esecuzione.

7. Anche il secondo motivo di ricorso non ha pregio atteso che, inammissibilmente, s’invoca l’esistenza di un giudicato interno non già in relazione ad una statuizione del primo giudice ma ad una mera affermazione contenuta nella motivazione del provvedimento oggetto del sindacato da parte del giudice di appello.

7.1. In secondo luogo, il giudice del gravame, proprio con riguardo al contenuto economico del contratto, ha affermato che in sede istruttoria era stata confermata, oralmente, l’esistenza di quel contenuto contrattuale, anche in riferimento ai tassi praticati così che non era fondata la domanda di nullità delle pattuizioni relative ai tassi ultralegali, perchè non redatte in forma scritta.

7.2. In pratica, la specifica attività accertativa compiuta dal giudice del gravame aveva portato, in evidente esecuzione di una potestà esercitata sul presupposto di una domanda giudiziale e delle correlata eccezione contraria, all’esclusione del postulato dei ricorrenti.

8. Il terzo motivo è, invece, fondato, atteso che la Corte territoriale nel leggere la previsione negoziale come contenente il vincolo del tasso massimo ha violato il principio di diritto secondo cui “In tema di contratto di conto corrente bancario, la clausola relativa agli interessi deve contenere la puntuale indicazione del tasso praticato e, ove esso sia convenuto come variabile, ai fini della sua esatta individuazione concreta, nel corso della vita del rapporto contrattuale, è necessario il riferimento a parametri che consentano la sua precisa determinazione, non essendo sufficienti generici riferimenti, come ad esempio i cd. usi su piazza, dai quali non emerga con chiarezza quale previsione le parti abbiano inteso richiamare con la loro pattuizione.” (Sez. 6 – 1, Sentenza n. 22179 del 2015; Sez. 1 -, Ordinanza n. 24153 del 2017).

9. Il quarto ed il quinto mezzo, da esaminarsi congiuntamente, per la loro stretta connessione, attengono all’applicazione del termine di prescrizione decennale per i pagamenti assunti come indebiti e pongono il problema dell’onere di allegazione e prova della natura dei versamenti (se solutori ovvero ripristinatori). Con essi si assume che il giudice di appello, essendo sopravvenuto nel corso del giudizio la pronuncia delle SU n. 24418 del 2010, avrebbe eluso gli oneri delle parti attribuendo la ricerca ufficiosa del thema decidendum al CTU anzichè alla parte, che aveva genericamente eccepito la prescrizione decennale dei presunti pagamenti indebiti.

9.1. I motivi sono infondati poichè l’accertamento della natura dei versamenti è dipeso dalla condivisione da parte del giudice dell’affermazione svolta dal CTU circa la mancanza di un’apposita convenzione di affidamento di credito bancario che, ove fosse stata esistente (ed individuabile nella clausola – l’art. 6 – indicata dai ricorrenti), avrebbe dovuto portare il giudice di merito, sulla base dell’interesse dei creditori, a farla rilevare ed accertare nella sua consistenza prescrittiva.

9.2. Ne deriva che ogni diverso e contrario apprezzamento di tali dati testuali, relativi al contratto posto a base dei rapporti di conto, si tradurrebbe in un diverso apprezzamento di clausole e patti che avrebbero dovuto formare oggetto di apposita deduzione e, in questa sede, di critica sui criteri interpretativi adottati, nel loro esame, dal giudice.

9.3. Quest’ultimo, nella parte in cui ha escluso la natura ripristinatoria dei versamenti (ed applicato il termine di prescrizione solo con riferimento ai “pagamenti” effettuati nel decennio anteriore alla domanda giudiziale) ha operato una qualificazione giuridica dei dati rilevati e riepilogati in chiave ricostruttiva dal CTU, così com’era nei suoi poteri.

9.4. Infatti, il giudice del merito, che riconosca convincenti le conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, non è tenuto ad esporre in modo specifico le ragioni del suo convincimento, poichè l’obbligo della motivazione è assolto già con l’indicazione delle fonti dell’apprezzamento espresso, dalle quali possa desumersi che le contrarie deduzioni delle parti siano state implicitamente rigettate, con la conseguenza che la parte, la quale deduca il vizio di motivazione della sentenza impugnata, ha l’onere di indicare in modo specifico le deduzioni formulate nel giudizio di merito, delle quali il giudice non si sia dato carico, non essendo in proposito sufficiente il mero e generico rinvio agli atti del pregresso giudizio.(Sez. 3, Sentenza n. 19475 del 2005; Sez. 1, Sentenza n. 5229 del 2011). 10. In conclusione, vanno respinti tutti i motivi, fatta eccezione del terzo.

10.1. La sentenza impugnata va cassata in ossequio agli enunciati principi di diritto e la causa rinviata alla Corte di provenienza, in diversa composizione.

PQM

Accoglie il terzo motivo del ricorso, respinge i restanti; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa, anche per le spese di questa fase, alla Corte d’appello di Brescia, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Prima Civile della Corte di Cassazione, il 13 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 29 novembre 2018

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