Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Sentenza n.30897 del 29/11/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4912/2013 proposto da:

M.F., C.F. *****, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G. GALILEI 45, presso lo studio dell’avvocato ANNALISA CIAFFI, che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

TELECOM ITALIA S.P.A., C.F. *****, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA L.G. FARAVELLI 22, presso lo studio degli avvocati ARTURO MARESCA, ROBERTO ROMEI, ENZO MORRICO, FRANCO RAIMONDO BOCCIA che la rappresentano e difendono, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 110/2012 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 23/02/2012 R.G.N. 10466/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 08/11/2017 dal Consigliere Dott. GIUSEPPINA LEO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SANLORENZO Rita, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato ANNALISA CIAFFI;

udito l’Avvocato CAMILLA NANNETTI per delega verbale Avvocato ARTURO MARESCA.

FATTI DI CAUSA

La Corte territoriale di Roma, con sentenza depositata il 23.2.2012, respingeva l’appello interposto da M.F., nei confronti di Telecom Italia S.p.A., avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva rigettato la domanda del medesimo diretta ad ottenere il riconoscimento delle mansioni corrispondenti alla qualifica rivestita ed il risarcimento del danno da dequalificazione professionale.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso il M. articolando due motivi.

Telecom Italia S.p.A. ha resistito con controricorso ed ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 codice di rito.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si deduce, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, “la violazione e falsa applicazione dei Contratti Collettivi di lavoro in relazione al Contratto Collettivo per il personale dipendente da imprese esercenti servizi di telecomunicazioni stipulato il 28 giugno 2000 e del successivo CCNL per il personale dipendente da imprese esercenti servizi di telecomunicazioni stipulato il 3.12.2005” ed in particolare, si lamenta che i giudici di merito avrebbero erroneamente comparato le mansioni del ricorrente con la declaratoria del 7^ livello degli impiegati, mentre avrebbero dovuto compararle con quella dei Quadri di 7^ livello Q, dal momento che il M., all’epoca dei fatti per cui è causa, era inquadrato in quest’ultima qualifica, come risulta dalle buste paga in atti, allegate al fascicolo di primo grado. Il ricorrente deduce, inoltre, che il raffronto operato sarebbe altresì erroneo, poichè i giudici di secondo grado, avrebbero trascritto la declaratoria di sesto livello e non quella del settimo e, dunque, la comparazione delle mansioni sarebbe stata effettuata con il sesto livello.

2. Con il secondo motivo si censura la sentenza impugnata, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione dell’art. 2103 c.c. e si lamenta che la pronunzia sarebbe viziata, poichè, pur riconoscendo che il ricorrente, “nel periodo settembre-dicembre 2004, ha sicuramente patito una effettiva riduzione di mansioni”, non ha però accolto la domanda di risarcimento del danno da dequalificazione professionale, “a causa della durata trascurabile del detto periodo”.

1.1. Il primo motivo non è fondato.

I giudici di seconda istanza sono correttamente pervenuti alla decisione oggetto del giudizio di legittimità uniformandosi ai consolidati arresti giurisprudenziali di questa Corte, alla stregua dei quali il procedimento logico-giuridico che determina la corretta attribuzione delle mansioni si compone di tre fasi (cfr., ex plurimis, Cass. n. 17163/2016): l’accertamento in fatto dell’attività lavorativa svolta in concreto; l’individuazione delle qualifiche e gradi previsti dal CCNL di categoria; il raffronto dei risultati delle suddette fasi. Ed all’esito di tale procedimento ed in conformità con le risultanze istruttorie – di cui si dà analiticamente e motivatamente atto nella sentenza – e con la declaratoria contrattuale del 7^ livello del CCNL Telecomunicazioni (identica nella sua formulazione, quanto al predetto livello, sia nel CCNL del 2000 che in quello del 2005), nell’ambito della quale sono previsti i profili esemplificativi per il livello 7^ Q, tra cui rientra il Professional di elevata specializzazione ed esperienza, ha escluso la sussistenza del demansionamento lamentato dal M.. Il quale ultimo “ha sempre esercitato”, eccezion fatta per “i primi quattro mesi di necessario inserimento nell’organizzazione Telecom, il ruolo di unico interfaccia aziendale deputato ad elaborare le specifiche tecniche per la realizzazione del progetto informatico dello SPRING (sistema destinato alla gestione del “post vendita” in Telecom)”. Tali mansioni, proprio alla luce della declaratoria del 7^ livello, in cui risultano correttamente inquadrate, hanno dato modo al ricorrente di assumere funzioni comportanti un elevato grado di responsabilità e di specializzazione; per la qual cosa, indipendentemente da un eventuale errore materiale relativo alla trascrizione del livello contrattuale, deve concludersi che la Corte di merito abbia valutato correttamente la complessità e la rilevanza dei compiti effettivamente svolti dal M., così come il 7^ livello Q Professional richiede, rientrando nello stesso le mansioni di chi “per l’elevato grado di specializzazione raggiunto, è preposto alla definizione di importanti progetti relativi al settore di appartenenza, verificando, anche attraverso il supporto di altre funzioni aziendali, la fattibilità tecnica ed economica e garantendo l’impostazione, la sperimentazione e la realizzazione dei progetti stessi…”. Ed è indiscutibile che “l’unico interfaccia aziendale deputato ad elaborare le specifiche tecniche per la realizzazione del progetto informatico ***** (sistema destinato alla gestione del “post vendita” in Telecom)” svolga un tipo di attività di rilevante importanza ai fini dello sviluppo e dell’attuazione degli obiettivi imprenditoriali e richieda “un elevato grado di specializzazione”.

2.2. Neppure il secondo motivo è meritevole di accoglimento.

Ed invero, la Corte di merito ha motivatamente reputato che il periodo di quattro mesi “di precaria collocazione logistica del ricorrente nei nuovi uffici e soprattutto di riduzione delle mansioni” fosse da ricondurre alla “oggettiva esigenza di porre il medesimo – proveniente da una diversa realtà aziendale – in condizione di conoscere l’organizzazione della nuova realtà aziendale”, escludendo, in tal modo, la sussistenza di una condotta datoriale tesa all’emarginazione ed alla mortificazione professionale del M.. Tale situazione, proprio perchè legata ad esigenze contingenti, è stata, pertanto, considerata come “semplice difficoltà connessa ai processi di reinserimento ed affiancamento”, che, peraltro, “avevano riguardato qualsiasi lavoratore proveniente dalla SARITEL”. Il detto periodo, inoltre, a parere dei giudici di seconda istanza, è stato troppo breve per aver potuto determinare conseguenze lesive sulla capacità professionale del ricorrente; e, comunque, quest’ultimo non ha fornito alcuna prova ex art. 2697 c.c., del danno non patrimoniale e del nesso di causalità con il dedotto inadempimento datoriale (al riguardo, tra le molte, v. Cass. nn. 2886/2014; 11527/2013; 24718/2011).

La decisione cui è giunta la Corte di merito appare pienamente in linea con il consolidato orientamento giurisprudenziale di questa Corte, alla stregua del quale, in tema di demansionamento e di dequalificazione professionale, il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale e biologico non ricorre automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale e non può prescindere da una specifica allegazione sulla natura e sulle caratteristiche del pregiudizio lamentato (cfr., ex plurimis, Cass. nn. 7818/2014; 5237/2011).

Pacificamente, infatti, va distinto il momento della violazione degli obblighi contrattuali da quello relativo alla produzione del danno da inadempimento, essendo quest’ultimo eventuale, in quanto il danno non è sempre diretta conseguenza della violazione di un dovere. In base ai principi generali dettati dagli artt. 2697 e 1223 c.c., è necessario individuare un effetto della violazione su di un determinato bene perchè possa configurarsi un danno e possa poi procedersi alla liquidazione (eventualmente anche in via equitativa) del medesimo.

Ed in tal senso, questa Corte ha sottolineato che le allegazioni che devono accompagnare la proposizione di una domanda risarcitoria non possono essere limitate alla prospettazione di una condotta datoriale colpevole, produttiva di danni nella sfera giuridica del lavoratore, ma devono includere anche la descrizione delle lesioni, patrimoniali e non patrimoniali, prodotte da tale condotta, dovendo il ricorrente mettere la controparte in condizione di conoscere quali pregiudizi vengono imputati al suo comportamento, a prescindere dalla loro esatta quantificazione e dall’assolvimento di ogni onere probatorio al riguardo (v., ex multis, Cass. nn. 5590/2016; 691/2012).

Grava, quindi, sul lavoratore l’onere di provare l’esistenza del danno lamentato, la natura e le caratteristiche del pregiudizio subito, nonchè il relativo nesso causale con l’inadempimento del datore di lavoro (cfr., tra le altre, Cass. nn. 2886/2014; 11527/2013 citt.; 14158/2011; 29832/2008); onere al quale il ricorrente non ha assolto.

Per tutto quanto in precedenza esposto, il ricorso va rigettato.

3. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

4. Avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso sussistono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 4.200,00, di cui Euro 4.000,00 per compenso professionale, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 8 novembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 29 novembre 2018

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