Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.31480 del 05/12/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINZA sul ricorso n. 9204/2018 r.g. proposto da:

A.N.U., (cod. fisc. *****), rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta a margine del ricorso, dall’Avvocato Andrea Diroma, presso il cui studio elettivamente domicilia in Trieste, alla via Cesare Battisti n. 4;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. *****), in perso del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso, ope legis, dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la cui sede domicilia in Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBULE DI TRIESTE, depositato il 16/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/11/2018 dal Consigliere dott. Eduardo Campese;

lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale Dott. Capasso Lucio, che ha chiesto rigettarsi il ricorso.

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Con decreto del 16 febbraio 2018, il Tribule di Trieste, sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione interziole e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea, respinse la domanda di A.N.U., tivo del Pakistan, volta al riconoscimento della protezione sussidiaria, neppure riconoscendogli quella umanitaria.

1.1. In estrema sintesi, quel tribule, premettendo di aver sentito il ricorrente persolmente in ordine ai fatti esposti a sostegno delle sue domande, non essendo disponibile la videoregistrazione dell’audizione avvenuta presso la menziota Commissione territoriale, ritenne: 1) infondata un’eccezione di costituziolità del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 ivi sollevata dallo stesso ricorrente; 2) non credibile il racconto di quest’ultimo per u serie di profili di inverosimiglianza e genericità della storia rrata ed a causa delle contraddizioni in cui A.N.U. era incorso nelle diverse occasioni in cui aveva reso dichiarazioni; 3) insussistenti, sulla base di tale valutazione di ittendibilità, i presupposti per la concessione della protezione interziole nelle forme, ivi invocate, del riconoscimento della protezione sussidiaria o, in subordine, di quella umanitaria, ritenendo, quanto a quest’ultima, di per sè sole irrilevanti le prospettive di integrazione del ricorrente nella realtà sociale italia.

2. Contro il riportato decreto, ricorre per cassazione A.N.U., formulando svariate eccezioni di incostituziolità ed affidandosi a sei motivi, cui resiste, con controricorso, il Ministero dell’Interno.

2.1. Con la prima eccezione di incostituziolità, si rileva che il D.L. n. 13 del 2017 mancherebbe dei presupposti di straordirietà ed urgenza di cui all’art. 77 Cost., comma 2, assumendosi come decisiva, a tal fine, la considerazione della previsione normativa secondo cui ai procedimenti introdotti prima della scadenza del termine di 180 giorni dalla data di entrata in vigore del citato decreto continuano ad applicarsi le disposizioni anteriormente. Nè, secondo il ricorrente, la legittimità della iniziativa legislativa di urgenza poteva riscontrarsi nella successiva approvazione, da parte delle Camere, della legge di conversione avvenuta per effetto della imposizione, ad opera del Governo, della fiducia. Ciò aveva determito, altresì, la totale attribuzione al Governo di u materia, concernente la tutela di diritti primari di rango costituziole, riservata alla competenza del Parlamento.

2.1.1. Con la seconda eccezione di incostituziolità, si rappresenta che le norme di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bisprescrivono, per l’azione giurisdiziole avverso il provvedimento della Commissione territoriale, le forme del giudizio di cui all’art. 737 c.p.c. senza la possibilità di reclamo o appello, mentre permangono per i richiedenti la sola protezione umanitaria D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 5, comma 6, le medesime garanzie della procedura giurisdiziole ordiria e, quindi, il doppio grado di giudizio di merito ed il pieno contraddittorio fra le parti. Inoltre, il ricorrente rileva che il D.L. n. 13 del 2017 fa rientrare il giudizio relativo alla sola protezione interziole nell’alveo del rito camerale di volontaria giurisdizione in spregio del principio del contraddittorio e del giusto processo in u materia che comporta la decisione su conflitti attinenti a diritti soggettivi e fondamentali della perso. Ritiene ancora il ricorrente che la discipli di cui al D.L. n. 13 del 2017, art. 6, lett. g), che ha introdotto il nuovo D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis determi u serie di compressioni del diritto di difesa (specificamente del rispetto del contraddittorio, della possibilità di avvalersi di difesa tecnica e di svolgere u adeguata attività istruttoria, della facoltà di impugzione, del diritto del ricorrente di comparire davanti al giudice) irragionevoli e non rispondenti al principio di proporziolità in procedimenti la cui decisione dispiega effetti sulla vita e sui diritti della parte paragobili a quelli di u decisione pele.

2.1.2. Con la terza eccezione di incostituziolità, si sostiene che la discipli derogatoria, introdotta con il D.L. n. 13 del 2017, della previsione generale, di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 74 e ss. in materia di patrocinio a spese dello Stato, che impone al giudice, nel provvedere alla liquidazione delle spese ex art. 82 del citato D.P.R., di indicare le ragioni per cui non ritiene le pretese del ricorrente manifestamente infondate, comporta u limitazione del diritto di difesa a carico dei richiedenti asilo privi di mezzi economici avulsa dalle ragioni di necessità e urgenza denunciate dal D.L. n. 13 del 2017 ed in contrasto con le disposizioni dell’art. 3 Cost. e art. 24 Cost., comma 3.

2.2. Con i sei motivi di ricorso si deducono:

1) “art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5: erronea o falsa applicazione delle norme di diritto di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 8 e art. 24 Cost., mancata valutazione di documenti decisivi”. Si lamenta l’omessa acquisizione della documentazione in possesso della Commissione territoriale costituita dalla storia persole del ricorrente, dagli attestati di conoscenza della lingua italia L2, del 15 giugno 2007, e del corso di formazione per addetti al settore alimentare, dalle fotocopie della carta di identità persole e di quella del padre, con evidente privazione di elementi di prova necessari;

2 “art. 360 c.p.c., n. 3: erronea o falsa applicazione delle norme di diritto di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 9”. Si censura la mancata acquisizione, da parte del tribule triestino, delle necessarie informazioni sulla situazione socio-politica – economica del Paese di provenienza e, in particolare, delle COI più recenti e maggiormente attinenti al caso in esame;

3) “art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5: erronea o falsa applicazione delle norme di diritto di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3”. Si deduce che il tribule, nella valutazione delle dichiarazioni e della documentazione offerta dal ricorrente, ha espresso un giudizio soggettivo ed arbitrario, non fondato su elementi oggettivi;

4) “art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5: erronea o falsa applicazione delle norme di diritto di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 14 nonchè art. 16 della Direttiva 2013/32/UE”. Si ascrive alla decisione impugta di non aver fatto applicazione dei principi sull’onere della prova affermati costantemente dalla giurisprudenza sovraziole e di legittimità con riferimento alla materia della protezione interziole: specificamente, l’onere della prova condiviso, la valutazione della credibilità su base individuale e correlata alle prove, alle circostanze dei fatti, all’insieme degli elementi istruttori acquisiti e con applicazione del beneficio del dubbio in favore del richiedente asilo;

5) “violazione ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), art. 35-bis, commi 8 e 9”. Ci si duole del mancato riconoscimento della protezione sussidiaria asseritamente avvenuto alla stregua di u ricognizione incompleta delle informazioni disponibili riverberatasi in un omesso esame di elementi decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti;

6) “violazione ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, art. 19, comma 1; art. 10 Cost., comma 3, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, art. 6, parag. 4, della Direttiva comunitaria n. 115/2008”. Si critica il decreto impugto per aver disatteso la richiesta di positivo accertamento dei presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria sul presupposto della irrilevanza delle buone prospettive di integrazione del ricorrente in Italia, e si ascrive al tribule di non aver tenuto conto di tutti gli elementi attestanti la situazione di vulnerabilità del ricorrente in caso di rientro nel suo paese.

3. Le sollevate questioni di legittimità costituziole sono, innzitutto, immissibili perchè irrilevanti.

3.1. L’elaborazione della Corte costituziole ha, infatti, chiarito il significato della nozione legislativa di rilevanza della questione incidentale di legittimità costituziole, come emergente dalla formula adottata dalla L. n. 87 del 1953, art. 23,comma 2, (“qualora il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione”). Tale nozione richiede, da un lato, che la rilevanza inserisca al giudizio a quo, e, dall’altro, che un’eventuale sentenza di accoglimento sia in grado di spiegare un’influenza concreta sul processo principale. A quest’ultimo riguardo, la giurisprudenza della Corte costituziole coniuga, invero, la verifica della rilevanza proprio allo scrutinio delle ricadute che l’eventuale sentenza di accoglimento possa spiegare sul processo principale (cfr. Corte cost. n. 184 del 2006; Corte cost. n. 62 del 1993; Corte cost. n. 10 del 1982; Corte cost. n. 90 del 1968; Corte cost. n. 132 del 1967). La rilevanza della questione ed il suo carattere incidentale postulano, cioè, che l’eventuale pronuncia di accoglimento incida sulle situazioni giuridiche fatte valere nel giudizio principale, sicchè sono reputate irrilevanti, tra l’altro, questioni le quali ivi non sortirebbero alcun effetto (cfr. Corte cost. n. 113 del 1980; Corte cost. n. 301 del 1974) o non risponderebbero in alcun modo alla domanda di tutela rivolta al rimettente (cfr. Corte cost. n. 202 del 1991; Corte cost. n. 211 del 1984; Corte cost. n. 15 del 2014; Corte cost. n. 337 del 2011; Corte cost. n. 71 del 2009). Sussiste, dunque, la rilevanza di u questione il cui eventuale accoglimento produrrebbe un concreto effetto nel giudizio a quo, satisfattivo della pretesa dedotta dalle parti private (cfr. Corte cost. n. 151/2009), ovvero dispiegherebbe effetti concreti sul processo principale (cfr. Corte cost. n. 337 del 2008; Corte cost. n. 303 del 2007; Corte cost. n. 50 del 2007).

3.1.1. Nella fattispecie in esame, invece, i dubbi di costituziolità sollevati non hanno, in effetti, assolutamente nulla a che vedere con la decisione adottata dal giudice di merito, la quale ha trovato fondamento non già nella discipli giuridica introdotta nel 2017 (D.L. 17 febbraio 2017, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla L. 13 aprile 2017, n. 46, recante: “Disposizioni urgenti per l’accelerazione dei procedimenti in materia di protezione interziole, nonchè per il contrasto dell’immigrazione illegale”), bensì sull’atteggiarsi dei criteri concernenti la valutazione di affidabilità del dichiarante alla luce del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 5: in altri termini, il decreto impugto è stato pronunciato in ragione della ritenuta ittendibilità delle dichiarazioni provenienti da A.N.U., ittendibilità rispetto alla quale la discipli sopravvenuta non rileva affatto. Dunque, l’accoglimento delle sollevate questioni di costituziolità non produrrebbe, di per sè, un concreto effetto nel giudizio a quo, satisfattivo della pretesa invece disattesa dal tribule.

3.2. Le prime due delle questioni suddette sono, altresì, manifestamente infondate, alla stregua delle argomentazioni tutte, qui condivise e da intendersi richiamate, già rinvenibili nella recente Cass. n. 17717 del 2018, pronunciatasi (anche) su eccezioni di incostituziolità affatto aloghe a quelle oggi sottoposte all’attenzione del Collegio, cui va aggiunto che Cass. n. 27700 del 2018 ha ulteriormente precisato che, “…essendo il principio del doppio grado di giurisdizione privo di copertura costituziole, il legislatore può sopprimere l’impugzione in appello al fine di soddisfare specifiche esigenze, massime quella della celerità, esigenza decisiva per i fini del riconoscimento della protezione interziole, dovendosi, altresì, considerare, per la verifica della compatibilità costituziole della elimizione del giudizio di appello, che il ricorso di cui trattasi è preceduto da u fase amministrativa destita a svolgersi dinzi ad un persole dotato di apposita preparazione, nell’ambito del quale l’istante è posto in condizioni di illustrare piemente le proprie ragioni attraversi il colloquio destito a svolgersi dinzi alle Commissioni territoriali, di guisa che la soppressione dell’appello si giustifica anche per il fatto che il giudice è chiamato ad intervenire in un contesto in cui è stato già acquisito l’elemento istruttorio centrale – per l’appunto il detto colloquio -, al fine dello scrutinio della fondatezza della domanda di protezione, il che concorre a far ritenere superfluo il giudizio di appello”.

3.3. Resta solo da sottolineare, che la terza delle già descritte questioni di legittimità costituziole sollevate dal ricorrente, riguardante la discipli derogatoria, introdotta con il D.L. n. 13 del 2017, della previsione generale, di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 74 e ss. in materia di patrocinio a spese dello Stato, che impone al giudice, nel provvedere alla liquidazione delle spese ex art. 82 del citato D.P.R., di indicare le ragioni per cui non ritiene le pretese del ricorrente manifestamente infondate, investe, in realtà, u normativa ed un procedimento (quello, appunto, D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 82) assolutamente estranei alla decisione dell’odier controversia (da ciò solo conseguendone la sua manifesta immissibilità in questa sede), e, in ogni caso, tale normativa appare evidentemente essere il frutto di u scelta del legislatore di contemperare gli opposti interessi in gioco, quali la necessità di assicurare alla parte non abbiente la difesa tecnica – garantita, per l’appunto, con la nomi del difensore – quella dell’incidenza del costo per il compenso dell’attività del legale sulla intera collettività.

4. Venendo, pertanto, allo scrutinio dei motivi di ricorso, il primo di essi, che lamenta la mancata acquisizione della documentazione in possesso della Commissione territoriale costituita dalla “storia persole del ricorrente”, dagli “attestati” di conoscenza della lingua italia L2, del 15 giugno 2007, e del corso di formazione per addetti al settore alimentare, dalle “fotocopie della carta di identità” dell’odierno ricorrente e di quella del padre, assumendo trattarsi di elementi di prova necessari, è, nel suo complesso, insuscettibile di accoglimento.

4.1. Giova, invero, premettere che il tribule triestino ha espressamente dato atto (cfr. pag. 2 del decreto impugto) di aver sentito persolmente A.N.U. in ordine ai fatti esposti a sostegno delle sue domande, non essendo disponibile la videoregistrazione dell’audizione avvenuta presso la Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione interziole di Gorizia.

4.1.1. Deve, poi, considerarsi che, per effetto della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012 (qui applicabile ratione temporis, risultando impugto un decreto reso il 16 febbraio 2018), oggetto del vizio di cui alla citata norma è oggi, esclusivamente, l’omesso esame circa un “fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti”: il mancato esame, dunque, deve riguardare un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, ossia un fatto principale, ex art. 2697 c.c., cioè un “fatto” costitutivo, modificativo impeditivo o estintivo, o anche un fatto secondario, vale a dire un fatto dedotto ed affermato dalle parti in funzione di prova di un fatto principale (cfr. Cass. n. 16655 del 2011; Cass. n. 7983 del 2014; Cass. n. 17761 del 2016; Cass. n. 29883 del 2017), e non, invece, gli elementi istruttori in quanto tali, quando il fatto storico da essi rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (cfr. Cass., SU, n. 8053 del 2014).

4.1.2. Il “fatto” il cui esame sia stato omesso deve, inoltre, avere carattere “decisivo”, vale a dire che se esamito avrebbe determito un esito diverso della controversia, e deve, altresì, essere stato “oggetto di discussione tra le parti”: deve trattarsi, quindi, necessariamente di un fatto “controverso”, contestato, non dato per pacifico tra le parti.

4.2. Alla stregua dei principi tutti fin qui esposti, il vizio motivaziole invocato nel motivo in esame non sussiste, investendo la formulata censura piuttosto che l’omesso esame di “fatti”, la mancata acquisizione di documentazione, relativa, peraltro, a circostanze direttamente ricavate, o comunque desumibili, dal tribule al momento dell’audizione del ricorrente, così privando di fondatezza anche l’affermazione di un’asserita violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 8. Ciò non senza rimarcare che, in ragione della sua specifica tipologia (“storia persole del ricorrente”; “attestati” di conoscenza della lingua italia L2, del 15 giugno 2007, e del corso di formazione per addetti al settore alimentare; “fotocopie della carta di identità” dell’odierno ricorrente e di quella del padre), quella documentazione risulterebbe tutt’altro che “decisiva” ai fini della composizione della lite.

5. I motivi secondo, terzo e quarto possono essere esamiti congiuntamente perchè connessi. Essi, come si è già riferito, investono, rispettivamente: la mancata acquisizione, da parte del tribule triestino, delle necessarie informazioni sulla situazione socio-politica-economica del Paese di provenienza del ricorrente e, in particolare, delle COI più recenti e maggiormente attinenti al caso in esame; la valutazione di non credibilità, offerta dal tribule, delle dichiarazioni e della documentazione offerta dal ricorrente stesso, ritenuta da quest’ultimo espressione di un giudizio soggettivo ed arbitrario, non fondato su elementi oggettivi; il non essersi fatto applicazione dei principi sull’onere della prova affermati costantemente dalla giurisprudenza sovraziole e di legittimità con riferimento alla materia della protezione interziole: specificamente, l’onere della prova condiviso, la valutazione della credibilità su base individuale e correlata alle prove, alle circostanze dei fatti, all’insieme degli elementi istruttori acquisiti e con applicazione del beneficio del dubbio in favore del richiedente asilo.

5.1. I riportati motivi sono, nel loro complesso, immeritevoli di accoglimento.

5.2. Ribadito, in relazione ai vizi motivazioli pure (almeno formalmente) prospettati nei motivi terzo e quarto, quanto si è già detto nei precedenti paragrafi da 4.1.1. a 4.2, con conseguente loro inconfigurabilità nella specie, rileva il Collegio che, come ancora recentemente chiarito da Cass. n. 16295 del 2018, in tema di valutazione della credibilità soggettiva del richiedente e di esercizio, da parte del giudice, dei propri poteri istruttori officiosi rispetto al contesto sociale, politico e ordimentale del Paese di provenienza del primo, la valutazione del giudice deve prendere le mosse da u versione precisa e credibile, benchè sfornita di prova (perchè non reperibile o non richiedibile), della persole esposizione a rischio grave alla perso o alla vita: tale premessa è indispensabile perchè il giudice debba dispiegare il suo intervento istruttorio ed informativo officioso sulla situazione persecutoria addotta nel Paese di origine (cfr. Cass. Cass. n. 21668 del 2015; Cass. n. 5224 del 2013. Principio affatto alogo è stato, peraltro, ribadito dalla più recente Cass. n. 17850 del 2018). Infatti, le dichiarazioni del richiedente che siano intrinsecamente ittendibili, alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 non richiedono un approfondimento istruttorio officioso, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (cfr. Cass. n. 16295 del 2018; Cass. n. 7333 del 2015). Ad avviso di questa Corte, peraltro, il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nel prevedere che “ciascu domanda è esamita alla luce di informazioni precise e aggiorte circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati…” deve essere interpretato nel senso che l’obbligo di acquisizione di tali informazioni da parte delle Commissioni territoriali e del giudice deve essere osservato in diretto riferimento ai fatti esposti ed ai motivi svolti in seno alla richiesta di protezione interziole, non potendo, per contro, addebitarsi la mancata attivazione dei poteri istruttori officiosi, in ordine alla ricorrenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione, riferita a circostanze non dedotte.

5.2.1. Nella specie, il tribule triestino ha espresso un giudizio negativo sulla credibilità del richiedente (cfr., amplius, pag. 5-6 del decreto impugto) sulla base di plurimi elementi ritenuti rilevatori di ignoranza della situazione dei luoghi da cui affermava di provenire, nonchè dell’inverosimiglianza ed incoerenza della sua rrazione, in maniera del tutto conforme ai parametri cui l’autorità amministrativa e, in sede di ricorso, quella giurisdiziole, sono tenute ad attenersi ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5. Inoltre, ha giudicato dirimente, nel senso dell’ittendibilità complessiva del ricorrente, “la circostanza che, come rilevato dalla Commissione, il ricorrente, che pure ha dichiarato di vivere e lavorare nei pressi del bazar di Bara, ha mostrato di non conoscere la circostanza che tale bazar è stato chiuso per ben 7 anni per motivi di sicurezza” (cfr. pag. 5 del medesimo decreto), osservando, altresì, “che la Commissione ha rilevato che le fonti disponibili (aliticamente indicate) non offrono notizie sullo scontro a fuoco tra talebani e khassadar di cui parla il ricorrente, scontro che, per la sua entità, dovrebbe verosimilmente essere seglato (sono asseritamente morti 4 talebani ed il padre del ricorrente, e sono stati feriti due khassadar ed un talebano)” (cfr. pag. 5-6 del citato decreto).

5.3. Si tratta, come appare evidente, di accertamenti in fatto, che non possono essere in questa sede messi in discussione se non denunciando, ove ne ricorrano i presupposti (qui, invece, insussistenti per quanto si è già detto), il vizio di omesso esame ex art. 360 c.p.c., n. 5.

5.4. In relazione, infine, alla censura di mancata valutazione del generale contesto politico e ordimentale del Paese di provenienza, deve rilevarsi che, in ogni caso, la riferibilità soggettiva ed individuale del rischio di subire persecuzioni o danni gravi rappresenta un elemento costitutivo del rifugio politico e della protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, ex lett. a) e b) escluso il quale dal punto di vista dell’attendibilità soggettiva, non può riconoscersi il relativo status.

5.5. In definitiva, il provvedimento oggi impugto ha compiutamente esamito la situazione fattuale, operato la ricostruzione della realtà sociopolitica del Paese di provenienza del richiedente, onde i motivi in esame sono insuscettibili di accoglimento, in quanto, sostanzialmente, sono volti ad ottenere la ripetizione del giudizio di fatto, attività qui preclusa in virtù della funzione di legittimità, mentre la stessa ritenuta non credibilità dell’odierno ricorrente è, di per sè, idonea al rigetto delle sue richieste, posta la ritenuta ittendibilità delle dichiarazioni effettuate dallo straniero ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e considerato che, come si è già detto, la mancanza di attendibilità delle dichiarazioni del richiedente la protezione interziole comporta che neppure sorga il dovere di ricerca di riscontri d’ufficio (cfr. Cass. n. 17850 del 2018; Cass. n. 16925 del 2018; Cass. n. 21668 del 2015; Cass. n. 5224 del 2013).

6. Il quinto motivo, che lamenta il mancato riconoscimento della protezione sussidiaria asseritamente avvenuto alla stregua di u ricognizione incompleta delle informazioni disponibili, riverberatasi in un omesso esame di elementi decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, è, del pari, manifestamente infondato nel suo complesso.

6.1. L’intrinseca ittendibilità del racconto del ricorrente, affermata dai giudici di merito, costituisce, infatti, ragione sufficiente anche per negare la protezione di cui trattasi, che, come ancora recentemente chiarito da Cass. n. 16925 del 2018, deve ovviamente poggiare su specifiche e plausibili ragioni di fatto (cfr. Cass. 27438 del 2016), legate alla situazione concreta ed individuale del richiedente (cfr. Cass. 4455 del 2018, parag. 7).

6.2. Quanto oggi esposto da A.N.U., argomentando la censura in esame, si risolve, sostanzialmente – benchè formalmente prospettato come vizio motivaziole e di violazione di legge – in u critica al complessivo governo del materiale istruttorio operato dal giudice a quo, cui il primo intenderebbe opporre u diversa valutazione delle medesime risultanze istruttorie utilizzate dal già menzioto tribule: ciò non è ammesso, però, nel giudizio di legittimità, che non può essere surrettiziamente trasformato in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugta, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (cfr. Cass. n. 21381 del 2006, nonchè la più recente Cass. n. 8758 del 2017).

7. Infondato, infine, è anche il sesto motivo di ricorso, che critica il decreto impugto per aver disatteso la richiesta di positivo accertamento dei presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria sul presupposto della irrilevanza delle buone prospettive di integrazione del ricorrente in Italia, e si ascrive al tribule di non aver tenuto conto di tutti gli elementi attestanti la situazione di vulnerabilità del ricorrente in caso di rientro nel suo paese.

7.1. In proposito, infatti, è sufficiente ribadire che, alla stregua della giurisprudenza di legittimità già richiamata (cfr. Cass. n. 16925 del 2018; Cass. n. 4455 del 2018, parag. 7; Cass. 27438 del 2016), l’intrinseca ittendibilità del racconto del ricorrente, affermata dai giudici di merito, costituisce motivo sufficiente per negare anche la protezione di cui trattasi, altresì precisandosi che questa Corte ha già avuto occasione di chiarire, nella recente sentenza n. 4455 del 2018 (successivamente riaffermandolo in Cass. n. 17072 del 2018 ed in Cass. n. 22979 del 2018), che, se assunto isolatamente, il contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani nel paese di provenienza non integra, di per sè solo ed astrattamente considerato, i seri motivi di carattere umanitario, o derivanti da obblighi interzioli o costituzioli, cui la legge subordi il riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria, in quanto “il diritto al rispetto della vita privata – tutelato dall’art. 8 CEDU (…) – può soffrire ingerenze legittime da parte dei pubblici poteri per il perseguimento di interessi statuali contrapposti, quali, tra gli altri, l’applicazione ed il rispetto delle leggi in materia di immigrazione, particolarmente nel caso in cui lo straniero (…) non goda di uno stabile titolo di soggiorno nello Stato di accoglienza, ma vi risieda in attesa che venga definita la sua domanda di determizione dello status di protezione interziole (cfr. Corte EDU, sent. 08.04.2008, ric. 21878/06, caso Nnyan.zi c. Regno Unito, par. 72 ss.)”. In altri termini, la riscontrata non individualizzazione dei motivi umanitari non può esser surrogata dalla situazione generale del Paese, perchè, altrimenti, si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma, piuttosto, quella del suo Stato d’origine in termini del tutto generali ed astratti, e tenuto conto che il parametro dell’inserimento sociale e lavorativo dello straniero in Italia può essere valorizzato, come presupposto della protezione umanitaria, non come fattore esclusivo, bensì come circostanza che può concorrere a determire u situazione di vulnerabilità persole (cfr. Cass. n. 4455 del 2018), che, tuttavia, nella specie, è stata esclusa.

7.2. Miglior sorte, infine, nemmeno toccherebbe, eventualmente, al motivo in esame alla stregua del testo del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, come recentemente modificato dal D.L. n. 113 del 2018, tuttora in fase di conversione in legge, non recando la prospettazione dell’odierno motivo di ricorso alcun riferimento alle specifiche previsioni di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 19, commi 1 e 1.1, come modificato dal citato D.L. n. 113 del 2018.

8. Il ricorso, dunque, va respinto, restando le spese del giudizio di legittimità regolate dal principio di soccombenza, altresì rilevandosi che, dagli atti, il processo risulta esente dal contributo unificato, sicchè non trova applicazione il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condan il ricorrente al pagamento, nei confronti del Ministero controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.200,00 per compensi professioli, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima civile della Corte Suprema di Cassazione, il 15 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 5 dicembre 2018

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