LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –
Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –
Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –
Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –
Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 20859-2017 proposto da:
B.D., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE PARIOLI 63, presso lo studio dell’avvocato FOTI GIOVANNI, rappresentata e difesa dall’avvocato STARVAGGI PAOLO;
– ricorrente –
contro
B.S., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE BRUNO BUOZZI 53, presso lo studio dell’avvocato GIUFFRIDA CARMELA, rappresentata e difesa dall’avvocato CACCIOLA FRANCESCO;
– controricorrente –
contro
L.B.;
– intimato –
avverso la sentenza n. 722/2017 della CORTE D’APPELLO di MESSINA, depositata il 03/07/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 20/09/2018 dal Consigliere Dott. CARRATO ALDO.
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
La sig.ra B.D. ha proposto ricorso per cassazione, articolato in due motivi, avverso la sentenza della Corte di appello di Messina n. 722/2017, pubblicata il 3 luglio 2017 (e non notificata), con la quale era stata dichiarata l’inammissibilità dell’appello, dalla stessa formulato, nei confronti della sentenza del Tribunale di Patti n. 162/2015, perchè ritenuto tardivo, siccome formulato oltre la scadenza del termine breve di cui all’art. 325 c.p.c., in concreto applicabile per effetto dell’avvenuta rituale notificazione della decisione di primo grado.
L’intimata B.S. ha resistito con controricorso (mediante il quale – previa eccezione di improcedibilità del ricorso – ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità o, comunque, il rigetto dello stesso), mentre l’altro intimato L.B. non ha svolto attività difensiva nella presente fase di legittimità.
Con il primo motivo di ricorso la ricorrente ha denunciato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e falsa applicazione degli artt. 139 e 140 c.p.c. in relazione alla L. n. 890 del 1982, artt. 7 e 8, sull’asserito presupposto che, nella fattispecie, sarebbe stato applicabile il termine lungo di cui all’art. 327 c.p.c. per la proposizione dell’appello a causa della nullità e/o inesistenza e/o inefficacia della notificazione della sentenza di primo grado eseguita nell’interesse della B.S. a mezzo posta poichè sul relativo plico non era stato indicato il numero civico dello stabile presso cui effettuare la notifica, con omissione dell’allegazione del certificato di residenza e con attestazione della relativa immissione del Cadcon avviso di ricevimento in apposita cassetta senza specificare di quale abitazione.
Con la seconda censura la ricorrente ha dedotto – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, c.p.c. – il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia prospettato dalle parti sulla nullità c/o inefficacia della stessa notificazione della sentenza di primo grado n. 162/2015 del Tribunale di Patti.
Su proposta del relatore, il quale riteneva che il primo motivo formulato con il ricorso potesse essere dichiarato manifestamente infondato ed il secondo inammissibile, con la conseguente definibilità nelle forme dell’art. 380-bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, nn. 1) e 5), il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio, in prossimità della quale la difesa della ricorrente ha depositato memoria ai sensi del citato art. 380-bis c.p.c., comma 2.
Osserva il collegio che, in via pregiudiziale, va rigettata l’eccezione di improcedibilità del ricorso avanzata dalla controricorrente perchè risulta, ex actis, che il difensore della ricorrente ha ritualmente depositato l’istanza di trasmissione del fascicolo d’ufficio alla cancelleria di questa Corte diretta alla cancelleria del giudice di appello prevista dall’art. 369 c.p.c., comma 3.
Ciò premesso, rileva il collegio che il primo motivo ricorso deve essere respinto siccome del tutto infondato ed il secondo va, invece, ritenuto inammissibile, in tal senso trovando conferma la proposta già formulata dal relatore ai sensi del citato art. 380-bis c.p.c., comma 1. La prima censura è priva di fondamento perchè – diversamente dalla ricostruzione della difesa della ricorrente – la notificazione della sentenza di primo grado del Tribunale di Patti (quale presupposto idoneo a far decorrere il “termine breve” di cui all’art. 325 c.p.c. per la proposizione dell’appello) deve ritenersi ritualmente compiuta nel pieno rispetto delle formalità previste dall’art. 140 c.p.c., sussistendone tutte le condizioni per come riscontrato ex actis. Ed infatti, dalla relata di notifica effettuata dall’agente postale emerge che egli aveva proceduto a tutti i necessari accertamenti del caso presso il recapito indicato sul plico e, non avendo rinvenuto alcuno nel luogo di residenza dell’attuale ricorrente (come risultante dall’inerente certificato anagrafico), ha eseguito gli ulteriori adempimenti contemplati dal citato art. 140 del codice di rito, con la conseguente immissione nella relativa cassetta postale della destinataria della comunicazione di avvenuto deposito dell’atto giudiziario spedita dall’Ufficio postale di Patti. Deve, peraltro, precisarsi a tal proposito che, in tema di notificazione ai sensi di detta norma, la raccomandata cosiddetta informativa, poichè non tiene luogo dell’atto da notificare, ma contiene la semplice “notizia” del deposito dell’atto stesso nella casa comunale, non è soggetta alle disposizioni di cui alla L. 20 novembre 1982, n. 890, sicchè occorre per la stessa rispettare solo quanto prescritto dal regolamento postale per la raccomandata ordinaria (cfr. Cass. n. 3685/2006 e Cass. n. 26864/2014).
Inoltre, la giurisprudenza di questa Corte (v. Cass. n. 15200/2005 e Cass. n. 10107/2014) ha chiarito che nell’ipotesi in cui – come nel caso di specie – la notifica venga eseguita, nel luogo indicato nell’atto da notificare e nella richiesta di notifica, secondo le forme previste dall’art. 140 c.p.c., è da presumere che in quel luogo si trovi la dimora del destinatario e, qualora quest’ultimo intenda contestare in giudizio tale circostanza al fine di far dichiarare la nullità della notificazione stessa, ha l’onere di fornirne la prova (invece, nella fattispecie, non offerta dalla B.), non potendosi egli limitare ad allegare – come ha fatto l’odierna ricorrente – che, sul plico oggetto di notificazione a mezzo posta, mancava il numero civico dello stabile e che il cad (con avviso di ricevimento) poteva essere stato immesso in una cassetta postale diversa da quella riferibile all’abitazione del soggetto destinatario.
Oltretutto, occorre aggiungere che, nella notificazione a mezzo del servizio postale, l’attività legittimamente delegata dall’ufficiale giudiziario all’agente postale in forza del disposto della L. n. 890 del 1982, art. 1, gode della stessa fede privilegiata dell’attività direttamente svolta dall’ufficiale giudiziario stesso ed ha il medesimo contenuto, essendo egli, ai fini della validità della notifica, tenuto a controllare il rispetto delle prescrizioni del codice di rito sulle persone a cui l’atto può essere legittimamente notificato, e ad attestare la dichiarazione resa dalla persona che riceve l’atto, indicativa delle propria qualità; ne consegue che, anche nel caso di notificazione eseguita dall’agente postale, la relata di notificazione fa fede fino a querela di falso (nel caso in esame non proposta) per le attestazioni che riguardano l’attività svolta, trattandosi di circostanza frutto della diretta percezione del pubblico ufficiale nella sua attività di identificazione del soggetto cui è rivolta la notificazione dell’atto (v. Cass. n. 11452/2003; Cass. n. 19417/2004 e Cass. n. 2421/2014).
Per le spiegate ragioni la Corte messinese ha ritenuto legittimamente che la proposizione dell’appello da parte della B. fosse tardiva, dovendo essere valutata la sua tempestività in relazione all’osservanza del termine breve previsto dall’art. 325 c.p.c., che era, tuttavia, già decorso all’atto della formulazione del gravame (non potendo, invero, trovare applicazione il c.d. “tetinine lungo” di cui all’art. 327 c.p.c. in dipendenza della ravvisata ritualità della notificazione della sentenza di primo grado da impugnare).
Il secondo motivo – relativo ad un supposto vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione – è inammissibile perchè, al di là della circostanza che non è più deducibile in sede di legittimità (cfr., tra le tante, Cass. S.U. n. 8053/2014 e Cass. n. 23940/2017), ai sensi del novellato (ad opera del D.L. n. 83 del 2012, conv., con, modif., nella L. n. 134 del 2012) dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (“ratione temporis” applicabile nella fattispecie), con la doglianza in questione risulta dedotta un’asserita violazione processuale che avrebbe dovuto costituire oggetto di una censura propriamente riferibile allo stesso art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, non potendo essere essa sussunta nel vizio di (eventuale) carenza motivazionale della pronuncia impugnata (v., tra le tante, Cass. n. 13683/2012 e Cass. n. 22952/2015).
Alla stregua delle argomentazioni complessivamente svolte il ricorso deve, quindi, essere rigettato, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese della presente fase di legittimità, che si liquidano nei sensi di cui in dispositivo. Non vi è luogo a provvedere sulle spese per la posizione dell’altra parte intimata, che non ha svolto attività difensiva in questa sede.
Sussistono, inoltre, le condizioni per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 1, comma 17, che ha aggiunto al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1- quater – dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, della spese della presente fase di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 2.700,00, di cui curo 200,00 per esborsi, oltre contributo forfettario ed accessori nella misura e sulle voci come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della6-2 Sezione civile della Corte di cassazione, il 20 settembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 13 dicembre 2018