Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.16776 del 21/06/2019

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Gli accessi e il passaggio che il proprietario deve permettere ex art. 843 c.c., costituiscono obbligazioni propter rem, il cui soggetto passivo è solo il proprietario o il titolare di altro diritto reale del bene gravato.

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Cassazione civile sez. VI, 21/06/2019, (ud. 07/03/2019, dep. 21/06/2019), n.16776

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4243-2018 proposto da:

M.A., M.M.G., M.D.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DI RIPETTA 142, presso lo

studio dell’avvocato BRUNO POGGIO, rappresentati e difesi

dall’avvocato NATALE POLIMENI;

– ricorrenti –

contro

R.G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

ROMEO PALAMARA;


– Controricorrente –

avverso la sentenza n. 897/2017 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 19/09/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 07/03/2019 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE

TEDESCO.


FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

Con ricorso ex art. 700 c.p.c., R.G., proprietario di un fabbricato in Lipari, chiedeva al tribunale di Barcellona Pozza di Gotto, sezione distaccata di Lipari, di accedere nel limitrofo fondo di M.A., M.D. e M.M.G., per il tempo necessario per l’esecuzioni di lavori.

Il ricorso era accolto a il provvedimento era confermato dal tribunale con la sentenza emessa a conclusione della fase di merito, seguita alla fase cautelare.


La Corte d’appello di Messina confermava la sentenza.

Essa rilevava che legittimati passivi rispetto all’azione proposta non era solo la R., quale proprietaria del fondo, ma anche i figli di lei.

Secondo la corte di merito a costoro doveva riconoscersi, anche in considerazione del comportamento tenuto inizialmente e poi nel corso del procedimento, la qualità di compossessori del bene.

In punto di diritto la corte rilevava che la domanda ex art. 843 c.c., poteva essere proposta non solo nei confronti del proprietario, ma anche del possessore e del titolare del diritto personale di godimento.

Ciò posto la corte, in replica al motivo di censura con i quali gli appellanti avevano eccepito l’inutilità dell’iniziativa giudiziaria, negava che la richiesta del vicino avesse trovato il preventivo consenso della proprietaria, argomentando che la risposta data con il telegramma del 18 settembre 2004 non conteneva una attestazione di disponibilità, ma esprimeva piuttosto un atteggiamento ostruzionistico e comunque dilatorio.

La corte rigettava la domanda degli appellanti, di condanna al risarcimento del danno per la mancata utilizzazione del fondo, in assenza di prova del pregiudizio; rigettava inoltre la domanda si risarcimento del danno per lite temeraria e revocava il provvedimento di ammissione degli appellanti al gratuito patrocinio.


Per la cassazione della sentenza M.A., M.D. e M.M.G. hanno proposto ricorso affidato a cinque motivi, cui il R. ha resistito con controricorso.

Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso potesse essere rigettato per manifesta fondatezza del primo motivo e manifesta infondatezza del secondo e del terzo motivo e assorbimento dei restanti, con la conseguente possibilità di definizione nelle forme di cui all’art. 380-bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.

Con primo motivo si censura la sentenza per avere la corte di merito riconosciuto, rispetto alla pretesa ex art. 843 c.c., fatta valere dal R., la legittimazione passiva non solo della proprietaria, ma anche di figli, in quanto compossessori dell’immobile interessato dall’accesso.

Il motivo è palesemente fondato.

Gli accessi e il passaggio che il proprietario deve permettere ex art. 843 c.c., costituiscono obbligazioni propter rem (Cass. n. 2274/1995; n. 7694/1997; n. 10474/1998), il cui soggetto passivo è solo il proprietario o il titolare di altro diritto reale del bene gravato (Cass. n. 2282/1970; n. 1131/1981).


La corte, ispirata dall’idea che la legittimazione competa non solo al proprietario ma anche al titolare del diritto personale di godimento e al possessore, non si è evidentemente attenuta a tale principio.

Con il secondo motivo, proposto in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, i ricorrenti censurano la decisione perchè la corte non avrebbe inteso correttamente il contenuto del telegramma del 18 settembre 2004, scambiando per atteggiamento ostruzionistico legittime richieste della proprietaria sulla legittimità dell’intervento a cui l’accesso risultava funzionale.

Si sostiene che con il suddetto telegramma la proprietaria aveva consentito l’accesso, rendendo quindi superflua l’azione giudiziaria.

La censura è inammissibile, in quanto si risolve nella richiesta di una diversa valutazione degli stessi elementi considerati dal giudice di merito. Ciò in cassazione non è consentito (Cass. n. 16063/2003, n. 2465/2015).

Con il terzo motivo i ricorrenti censurano la sentenza nella parte in cui la corte ha negato il risarcimento del danno conseguente all’accesso.

Essi ipotizzano l’esistenza di un principio di giurisprudenza secondo cui l’indennizzo dovuto al proprietario che subisce l’accesso, da liquidare in via equitativa, spetti anche in assenza di prova del danno. Si cita al riguardo Cass. n. 1908 del 2009.


Il motivo è infondato.

L’obbligo dell’indennizzo prescinde dall’esistenza della colpa, ma resta comunque correlato al prodursi del danno a causa dell’accesso o del passaggio (Cass. n. 3796/1968).

La pronuncia citata dai ricorrenti non afferma nulla di diverso. In base ad essa si consente liquidazione equitativa dell’indennizzo, ma pur sempre nel concorso di elementi dai quali si possa desumere, anche in via presuntiva, che un danno si sia prodotto (cfr. Cass. n. 1908/2009).

La corte di merito ha negato l’esistenza di pregiudizi e in relazione a tale valutazione in fatto i ricorrenti propongono una censura (omessa e insufficiente motivazione) che non rientra fra i motivi di ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 nel testo applicabile ratione temporis (Cass., S.U., n. 8053/2014).

E assorbito il quarto motivo, con il quale si censura la decisione per la corte avere rigettato la richiesta di condanna di controparte per lite temeraria, ed è assorbito anche il quinto motivo, con il quale si censura la sentenza nella parte in cui è stato revocato il provvedimento di ammissione degli attuali ricorrenti al gratuito patrocinio.


Pertanto, accolto il primo motivo, rigettati il secondo e il terzo motivo, assorbiti i restanti, la sentenza deve essere cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte d’appello di Messina in diversa composizione affinchè provveda a considerare la posizione dei figli della proprietaria del fondo, oggetto della richiesta di accesso, in applicazione del principio di cui sopra e liquidi le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo; rigetta il secondo e il terzo motivo; dichiara assorbiti il quarto e il quinto motivo; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto; rinvia alla Corte d’appello di Messina in diversa composizione anche per le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 6 – 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 7 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 giugno 2019.

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