LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Presidente –
Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –
Dott. RUSSO Rita – rel. Consigliere –
Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –
Dott. D’OVIDIO Paola – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 29433-2014 proposto da:
FINANZIARIA INDUSTRIALE F.LLI D. SRL, elettivamente domiciliato in ROMA, STUDIO GIANNI ORIGONI GRIPPO CAPPELLI & PARTNERS, VIA DELLE QUATTRO FONTANE 20, presso lo studio dell’avvocato MARIA GABRIELLA DODARO, rappresentato e difeso dall’avvocato GIANLUCA RUBINO;
– ricorrente –
contro
COMUNE DI CASTROLIBERO, elettivamente domiciliato in ROMA VIA GERMANICO 107, presso lo studio dell’avvocato MARIA ROMEO, rappresentato e difeso dall’avvocato ADELE GARRITANO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 738/2014 della COMM. TRIB. REG. di CATANZARO, depositata il 15/04/2014;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 22/05/2019 dal Consigliere Dott. RITA RUSSO.
RILEVATO
che:
1. – La Finanziaria Industriale F.lli D. & c. s.n.c. ha impugnato gli avvisi di accertamento in rettifica dell’ICI per gli anni 2003 e 2004, pretesa dal Comune di Castrolibero, entrambi per omessa dichiarazione di immobili e omesso versamento, nonchè altro avviso di accertamento (n. 26 del 2008) per maggiori valori catastali, emesso sempre dal Comune di Castrolibero.
2. – In primo grado il ricorso della contribuente è stato parzialmente accolto; proposto appello da parte del Comune, nonchè appello incidentale da parte della società, la CTR della Calabria, con sentenza depositata in data 15.4.2014, ha riformato la sentenza impugnata rigettando interamente il ricorso della contribuente.
3. – La società propone ricorso per cassazione affidandosi a tre motivi. Il Comune si è costituito in giudizio con controricorso.
CONSIDERATO
che:
4. – Con il primo motivo di ricorso, la società contribuente denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c. e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 49 e 61, in quanto il giudice d’appello avrebbe “del tutto omesso di considerare i motivi di legittimità e infondatezza dell’avviso di accertamento dedotti dalla società nel primo grado di giudizio, assorbiti nella decisione di primo grado, ma pure ri(con)fermati nell’atto di costituzione in appello”, in particolare per quanto riguarda il difetto assoluto di motivazione dell’atto impositivo posto a fondamento del ricorso originario.
Il motivo è inammissibile. Non è adeguatamente dedotto in ricorso come (e dove) la questione che si pretende sia rimasta “assorbita” nella decisione del giudizio di primo grado, sia stata specificamente riproposta in appello come richiesto dall’art. 346 c.p.c. limitandosi la parte a richiamare quanto dedotto nel ricorso di primo grado. Invero, più che di questione assorbita dovrebbe parlarsi di motivo di opposizione non accolto con il conseguente onere della parte di impugnazione specifica. Ci si richiama in merito dell’orientamento espresso da questa Corte secondo cui: “Il generico richiamo al contenuto degli scritti difensivi di primo grado non è idoneo a manifestare la volontà della parte di sottoporre nuovamente al giudice del gravame tutte le domande non accolte in primo grado e, quindi, a ritenere assolto l’onere previsto dall’art. 346 c.p.c. di specifica riproposizione in appello di quelle domande, a pena di rinuncia alle stesse” (Cass. n. 20520 del 2018; v. anche con specifico riferimento alla materia tributaria Cass., n. 14534/2018). Il ricorso per cassazione, come imposto dall’art. 366 c.p.c., deve contenere tutti gli elementi necessari alla ricostruzione della vicenda, senza che il giudice di legittimità debba fare ricorso ad elementi esterni e quindi il generico richiamo alle ragioni dedotte in primo grado, confermate nell’atto di costituzione in appello, non soddisfa i requisiti della specificità del ricorso.
5. – Con il secondo motivo di ricorso si denuncia la violazione della L. n. 342 del 2000, art. 74, per applicazione retroattiva di una rendita ad anni precedenti alla sua avvenuta notifica, e che l’ente resistente non ha dimostrato di avere notificato al soggetto intestatario: quest’ultimo profilo riferito alla censura di omesso esame di fatto decisivo. Si tratta in sostanza di due motivi unificati e che possono essere esaminati congiuntamente.
Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato. Non si evince dal ricorso se la società ha espressamente sottoposto al giudice d’appello la questione del difetto di prova della notifica: la parte richiama in ricorso quanto affermato a pagina 5 del ricorso introduttivo di primo grado, arrivando poi alla conclusione che per questa ragione sul punto vi è stata una discussione tra le parti, ma senza specificare – e dettagliatamente illustrare – quando e come la questione è stata oggetto di discussione in secondo grado. La parte parla di motivo di doglianza “assorbito” all’esito della prima decisione e che la società “ha avuto modo di ribadire il motivo, evidenziando ancora una volta l’omessa notifica” richiamandosi alle argomentazioni sopra esposte ed anche con riguardo a tale affermazione deve dirsi che non sono soddisfatti i requisiti di specificità del ricorso. La parte ripropone poi la questione della irretroattività della rendita catastale ai periodi precedenti la notifica dell’atto di variazione ma la questione è infondata. La censura contrasta con il costante orientamento di questa Corte che trova solido fondamento nella pronuncia a Sezioni Unite n. 3160 del 2011 dove in ordine alla interpretazione della L. n. 342 del 2000, cit. art. 74, comma 1, è stato affermato: “Tenuto conto dell’art. 3 Cost., invero, l’espressione “sono efficaci solo da decorrere dalla loro notificazione” va intesa nel senso che la notifica degli atti attributivi è soltanto condizione della loro efficacia: la valenza semantica, oltre che tecnico giuridica, dell’aggettivo “efficaci” invero, non consente di inferire nessuna volontà legislativa di attribuire alla notifica, “ai soggetti intestatari della partita”, del provvedimento attributivo della rendita una qualche forza costitutiva (una efficacia, cioè, ex nunc) e non (quale portato naturale proprio del provvedimento di attribuzione della rendita) meramente accertativa della concreta situazione “catastale” dell’immobile: il successivo inciso “solo a decorrere dalla loro notificazione” indica inequivocamente l’impossibilità giuridica di utilizzare una rendita se non notificata ma non esclude affatto la utilizzabilità della rendita (una volta) notificata a fini impositivi anche per annualità d’imposta per così dire “sospese”, ovverosia suscettibili di accertamento e/o di liquidazione e/o di rimborso” (nello stesso senso più recentemente Cass. n. 14402 del 2017). Tanto più in un caso come quello in esame nel quale la rendita cui è stato parametrato l’imponibile e quindi l’imposta oggetto dell’avviso di accertamento impugnato trova fondamento in una richiesta di variazione del classamento presentata dallo stesso contribuente, che pertanto ben conosceva la rendita in questione, prima ancora della notifica.
6. – Con il terzo (nella sostanza quarto) motivo di ricorso, la società contribuente denuncia la violazione della L. n. 212 del 2000, art. 10, con riferimento agli interessi e alle sanzioni irrogate nell’avviso di accertamento impugnato. Il motivo è inammissibile in quanto la società ricorrente – a prescindere dal fatto che essa conosceva la rendita posta a base dell’accertamento – non afferma di aver sollevato la questione nel ricorso originario e di averla sottoposta al vaglio del giudice di merito: questa Corte, infatti, ha chiarito che “in tema di sanzioni amministrative per violazioni di norme fiscali, sussiste il potere del giudice tributario di dichiarare la inapplicabilità delle sanzioni, anche in sede di legittimità, per errore sulla norma tributaria, in caso di obiettiva incertezza sulla portata e sull’ambito applicativo della stessa, solo in presenza di una domanda del contribuente formulata nei modi e nei termini processuali appropriati, che non può essere proposta per la prima volta nel giudizio di appello o nel giudizio di legittimità” (Cass. n. 14402 del 2016; v. anche Cass. n. 24060 del 2014).
Il ricorso è pertanto da rigettare con condanna della parte ricorrente alle spese della presente fase del giudizio.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in Euro 5.600,00 oltre accessori e rimborso spese forfetarie.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 22 maggio 2019.
Depositato in Cancelleria il 11 luglio 2019