LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CURZIO Pietro – Primo Presidente f.f. –
Dott. VIVALDI Roberta – Presidente di sez. –
Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Consigliere –
Dott. SAMBITO Maria Giovanna – Consigliere –
Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –
Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –
Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –
Dott. GARRI Fabrizia – rel. Consigliere –
Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 29366-2018 proposto da:
P.L., elettivamente domiciliato in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato RICCARDO SENSI;
– ricorrente –
contro
PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE, MINISTERO DELLA GIUSTIZIA;
– intimati –
avverso la sentenza n. 113/2018 del CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA, depositata il 26/07/2018;
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 29/01/2019 dal Consigliere Dott. FABRIZIA GARRI;
udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale Dott. SALVATO LUIGI, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato Riccardo Sensi.
FATTI DI CAUSA
1. In data 6 ottobre 2016 la Procura Generale della Corte di Cassazione promuoveva l’azione disciplinare nei confronti del Dott. P.L. al quale contestava, ai sensi del D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 2, lett. d) di aver commesso, quale sostituto Procuratore della Repubblica di Pistoia e nell’esercizio delle relative funzioni, gravi scorrettezze nei confronti del Procuratore della Repubblica di Pistoia e dei suoi colleghi consistite:
I. nell’aver tenuto all’oscuro il Procuratore della Repubblica dell’iniziativa assunta in data 23.5.2016 con la quale indirizzava una lettera di censura a c.c. Pa.Pl., responsabile della sezione di P.G. della Procura della Repubblica di Pistoia, in relazione a fatti inerenti il servizio prestato, così trascurando le prerogative del Procuratore della Repubblica (art. 59 c.p.p., comma 2 ed art. 14 disp. att. c.p.p. (lett. B dell’incolpazione).
II. nell’aver assunto, nel corso della riunione convocata dal Capo dell’ufficio con tutti i sostituti a seguito dell’iniziativa sopra ricordata, un atteggiamento insolente e provocatorio tale da impedirne lo svolgimento (lettera C dell’incolpazione).
III. nell’aver inveito nei confronti di un collega, in presenza di altri colleghi e di personale di P.G., rinfacciando assegnazioni d’ufficio nei suoi confronti ritenute ingiustificate ed insisteva nonostante i richiami rivoltigli in tale atteggiamento scomposto e minaccioso (lettera D dell’incolpazione). In pari data il Procuratore Generale della Corte di Cassazione chiedeva il trasferimento provvisorio del Dott. P. ad altra sede con destinazione a funzioni diverse da quelle requirenti rivestite anche in relazione ad un ulteriore capo di incolpazione formulato, sulla base della nota del Procuratore della Repubblica del Tribunale di Parma in data 14 aprile 2016, per avere posto in essere, ai sensi del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 4, lett. d) e con riguardo agli artt. 110,610,612,635 e 582 c.p., una condotta idonea a ledere l’immagine di magistrato.
2. In data 16 novembre 2016 la sezione disciplinare del CSM accoglieva, con riguardo a tutti i capi di incolpazione la richiesta cautelare e disponeva il trasferimento del Dott. P. al Tribunale di Spoleto con funzioni di giudice.
2.1. In data 19 dicembre 2016 il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione disponeva la sospensione del procedimento disciplinare con riguardo al capo di incolpazione connesso al procedimento penale pendente mentre separava gli atti con riguardo agli altri tre capi di incolpazione. Quindi, interrogato il Dott. P. e sentito il Procuratore della Repubblica di Pistoia chiedeva la discussione orale del procedimento.
2.2. Il Dott. P. eccepiva la irregolarità della notifica e chiedeva la sospensione del procedimento in attesa della definizione del procedimento penale pendente. La sezione disciplinare respingeva le richieste e, in esito all’istruttoria testimoniale ed alla discussione orale, con sentenza n. 113 del 26 luglio 2018 il Consiglio Superiore della Magistratura irrogava al Dott. P. la sanzione disciplinare della censura e lo trasferiva d’ufficio al Tribunale di Spoleto con funzioni di giudice.
3.1. La sezione disciplinare accertava che, dall’istruttoria svolta, erano risultate confermate le gravi scorrettezze commesse nei confronti del Procuratore della Repubblica di Pistoia e dei Sostituti dello stesso ufficio, indicative di uno scarso controllo della impulsività e dell’aggressività verbale dell’incolpato, e ciascuna oggettivamente grave da giustificare la reazione disciplinare.
3.2. Escludeva di poter ravvisare nel comportamento del Procuratore della Repubblica un atteggiamento persecutorio nei confronti dell’incolpato.
3.3. Sottolineava che il Procuratore di Pistoia era stato sollecitato dal Procuratore Generale della Corte di appello di Firenze, a seguito di richiesta inoltrata dal Procuratore Generale della Cassazione, a fornire ogni informazione utile a delineare “un preciso inquadramento della vicenda sia nei suoi termini oggettivi sia, più in generale, nel contesto della ordinaria condotta del magistrato”.
3.4. Escludeva poi che i colleghi del Dott. P. avessero dolosamente ed a tavolino preordinato un piano a suo danno.
3.5. Verificava infatti che la segnalazione delle condotte tenute dal Dott. P. su iniziativa di tutti i sostituti dell’ufficio era risultata volta ad evitare che, per il protrarsi della situazione creatasi, ne risultasse compromessa la funzionalità dell’ufficio.
3.6. Sottolineava che i fatti erano stati tutti confermati dai Sostituti Procuratori sentiti nel corso del procedimento e dall’ufficiale di P.G. presente ad uno degli episodi contestati ed anch’esso sentito come teste nel procedimento.
3.7. Con specifico riferimento alla contestata inosservanza delle prerogative del Procuratore della Repubblica, attraverso l’indirizzo di una lettera di censura nei confronti del L.te. Pa. a firma del Dott. P. al responsabile dell’aliquota Carabinieri della sezione di P.G., solo successivamente comunicata al Procuratore, la sezione disciplinare verificava che il contenuto della nota era inequivocabilmente qualificabile come una vera e propria contestazione di un comportamento disciplinarmente rilevante essendo stato specificato il comportamento tenuto e preannunciato il provvedimento sanzionatorio.
3.8. In conclusione la sentenza riteneva che, tenuto conto dell’accertata abitualità della condotta intemperante ed aggressiva, non potesse ravvisarsi una lieve violazione e che perciò era proporzionata la sanzione della censura e quella accessoria del trasferimento d’ufficio, individuato in un ufficio di altro distretto con funzioni diverse da quelle requirenti già svolte.
4. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione il Dott. P. affidato a diciannove motivi. Il Ministero della Giustizia è rimasto intimato.
RAGIONI DELLA DECISIONE
5. Il primo motivo di ricorso, con il quale è denunciata la violazione del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 17 in relazione all’art. 178 c.p.p., lett. c), è infondato.
5.1. Va rammentato che a norma del D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 17 il fascicolo del dibattimento non si deve formare in contraddittorio con l’incolpato atteso che la disposizione richiamata si limita a stabilire che, una volta compiute le indagini, il P.G. formuli le richieste conclusive ed invii il fascicolo d’ufficio alla sezione disciplinare affinchè resti a disposizione dell’incolpato che può prenderne visione ed estrarre copie (cfr. Cass. Sez. U. 31/05/2011 n. 11964). E’ il presidente della sezione disciplinare che fissa, con suo decreto, il giorno della discussione orale, e ne da avviso ai testimoni, ai periti, ed almeno dieci giorni prima della data fissata per la discussione orale, al pubblico ministero e all’incolpato nonchè al difensore di questo ultimo, se già designato (oltre che, nelle ipotesi in cui l’azione disciplinare sia stata da lui promossa, ovvero ne sia stata integrata o modificata la contestazione, al Ministro della giustizia D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 17, commi 4 e 5).
5.2. La formulazione delle richieste conclusive del Procuratore Generale determina la chiusura delle indagini, segna il termine ultimo entro il quale possono essere contestati nuovi fatti (ai sensi dell’art. 14, comma 5) e la mancata comunicazione all’incolpato, ai sensi del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 15, comma 5, comporta, quale unica conseguenza, la nullità, soggetta a sanatoria, degli atti di indagini non preceduti da detta comunicazione e non già la nullità dell’intero procedimento e della sentenza (cfr. Cass. Sez. U. nn. 28046/2008, 7309/2014 e 20568/2014). Tanto premesso va rilevato che nel caso in esame, come risulta dagli atti del procedimento e dalla ordinanza pronunciata dalla sezione disciplinare, a fronte di una prima eccezione di nullità della notifica della citazione a giudizio la sezione disciplinare ne ha disposto la rinnovazione così sanando ogni eventuale nullità.
6. Anche il secondo motivo di ricorso, con il quale è denunciata la violazione D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 15, comma 8 e la contraddittorietà e illogicità della motivazione con riguardo alla chiesta sospensione del procedimento disciplinare oltre che la violazione delle norme codicistiche sulla formazione del fascicolo del dibattimento e sull’utilizzabilità degli atti ai fini della decisione, è infondato.
6.1. Osserva infatti il collegio che non vi sono elementi per ritenere che il capo di incolpazione stralciato avesse una qualche influenza sulla valutazione delle altre incolpazioni. Era onere del ricorrente, poi, allegare e dimostrare specificatamente che dalla trattazione separata delle incolpazioni sarebbe derivato un pregiudizio, chiarendo per quale ragione decisiva la valutazione avrebbe dovuto essere unitaria e contestuale. In assenza di alcuna documentata interferenza, la separazione dei giudizi si giustifica con l’esigenza di definire sollecitamente le altre incolpazioni senza attendere l’esito di un giudizio penale sulle stesse ininfluente. Quanto al materiale stralcio dei documenti relativo al capo di incolpazione separato, va rilevato che in mancanza di allegazione e di prova di una loro utilizzazione non è ravvisabile un pregiudizio ed ancor prima un interesse alla loro materiale espunzione.
7. Con il terzo motivo di ricorso è denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e) in relazione all’art. 495 c.p.p. per avere il Collegio disciplinare rigettato la richiesta di sequestro della documentazione contenuta nel P.C. del Procuratore Canessa, due originali tra loro difformi (un verbale della riunione consegnato dal Procuratore ai sostituti ed un verbale della stessa riunione allegato alla segnalazione disciplinare che riportano anche un diverso orario di chiusura della riunione). Inoltre si duole della mancata ammissione dei testi ulteriori indicati che avrebbero potuto confermare la stima e l’apprezzamento del magistrato nel foro di Pistoia ed anche in quello di Spoleto, dove era stato trasferito d’ufficio.
7.1. Osserva al riguardo il Collegio che la sentenza non è incorsa nella denunciata violazione di legge. La sezione disciplinare ha dato conto delle ragioni per le quali sono state ritenute irrilevanti le discrasie tra i verbali della riunione del 30 maggio del 2016 (v. pag. 12 terzultimo e penultimo capoverso) e non necessaria la misura del sequestro richiesta. Va rammentato che ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. e), in tema di responsabilità disciplinare dei magistrati, il sindacato della Corte di cassazione sulle decisioni della Sezione disciplinare del CSM è limitato al controllo della congruità, adeguatezza e logicità della motivazione, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito, perchè è estraneo al sindacato di legittimità il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali, pur dopo la modifica dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), introdotta dalla L. n. 46 del 2006 (cfr. Cass. Sez. U. 19/03/2019 n. 7691, 27/12/2011n. 28813).
7.2. Quanto alla richiesta di ammissione di ulteriori testi va rilevato che il diritto all’ammissione delle prove indicate a discarico sui fatti costituenti oggetto delle prove a carico, che l’art. 495 c.p.p., comma 2 riconosce all’imputato, incontra limiti precisi nell’ordinamento processuale, secondo il disposto degli artt. 188,189 e 190 c.p.p. e, pertanto, deve armonizzarsi con il potere-dovere, attribuito al giudice, di valutare la liceità e la rilevanza della prova richiesta, ancorchè definita “decisiva” dalla parte, onde escludere quelle vietate dalla legge e quelle manifestamente superflue o irrilevanti (cfr. Cass. 21/12/2004 n. 2350). Va rilevato allora che, con riguardo alla decisività delle prove ulteriori rispetto a quelle già ammesse, lo stesso ricorrente dà atto che il diniego era dovuto alla sufficienza delle prove ammesse e, ad una mera lettura delle circostanze riferite nel ricorso, si comprende come la sezione disciplinare le abbia ritenute prive di decisività. Si tratta infatti di circostanze che attengono ad elementi di contorno inidonei a dimostrare l’insussistenza del contrasto esistente nell’ufficio (sulla necessaria decisività e specificità della prova v. Cass., 40098 del 12.11.2010 e n. 15673 del 19/12/2011).
8. Neppure, poi, la sentenza è incorsa nella nullità, denunciata con il quarto motivo di ricorso, quale conseguenza di una limitazione della difesa ed assistenza tecnica dell’incolpato.
8.1. Il ricorrente deduce la violazione dell’art. 139 c.p.p. in relazione all’art. 178 c.p.p., comma 1, lett. c) per non avere potuto visionare all’udienza del 12 marzo 2008 le trascrizioni dei verbali della precedente udienza, relativi alla fonoregistrazione dell’esame dei testi escussi, che non erano state depositate e ne era stata impedita la confutazione tenuto conto del fatto che nel procedimento disciplinare non viene disposto il verbale in forma riassuntiva.
8.2. Va rilevato infatti che ai sensi dell’art. 178 c.p.p. è prescritta a pena di nullità l’osservanza delle disposizioni concernenti ” (…) c) l’intervento, l’assistenza e la rappresentanza dell’imputato e delle altre parti private nonchè la citazione in giudizio della persona offesa dal reato e del querelante” e non la mera difficoltà ad accedere a documentazione (nello specifico i verbali d’udienza) ovvero il diniego di differimento dell’udienza che va valutato con riguardo anche a quanto disposto dal D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 19 che impone la concentarzione del procedimento laddove dispone che la sezione delibera “immediatamente dopo l’assunzione delle prove le conclusioni del pubblico ministero e della difesa dell’incolpato”.
9. Il quinto motivo di ricorso, con il quale si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) e del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 1, lett. d) in relazione all’art. 370 c.p.p., ed il sesto motivo con il quale è denunciata la violazione dell’art. 606 c.p.p., dell’art. 59c.p.p., comma 2 e dell’art. 14 disp. att. c.p.p., possono essere trattati congiuntamente e devono essere rigettati.
9.1. Le censure investono entrambe l’incolpazione che ha ad oggetto la contestata grave scorrettezza commessa nei confronti del Procuratore della Repubblica, in violazione delle sue prerogative, in occasione dell’episodio riguardante il L.te Pa. (lettera di censura inviata dal P.).
9.2. Si afferma infatti che il provvedimento di revoca della delega alle indagini era stato legittimamente assunto nell’ambito delle funzioni di pubblico ministero in un procedimento a lui assegnato e che perciò non era ravvisabile alcuna arbitrarietà nell’iniziativa nè, tantomeno, una usurpazione dei poteri su cui era stata fondata la condanna ma piuttosto un legittimo esercizio delle funzioni proprie del sostituto.
9.3. Va al contrario rilevato che, come correttamente ritenuto dalla sezione disciplinare, è stato accertato che il comportamento si è concretizzato in un richiamo disciplinare all’agente di p.g. e che a norma dell’art. 17 disp att. c.p.p.”l’azione disciplinare è promossa dal procuratore generale presso la corte di appello nel cui distretto l’ufficiale o l’agente presta servizio. Dell’inizio dell’azione disciplinare è data comunicazione all’amministrazione dalla quale dipende l’ufficiale o l’agente di polizia giudiziaria.” L’addebito deve essere contestato all’incolpato per iscritto e la contestazione, che indica succintamente il fatto e la specifica trasgressione della quale l’incolpato è chiamato a rispondere, è notificata all’incolpato e contiene l’avviso che, fino a cinque giorni prima dell’udienza, egli può presentare memorie, produrre documenti e richiedere l’audizione di testimoni (art. 17, comma 2). Tanto premesso, non v’è dubbio allora che il sostituto, nell’inviare una lettera di censura, abbia travalicato i suoi poteri e sia incorso nella violazione che gli è stata contestata. Va rammentato che per l’allontanamento dei dirigenti dei servizi di polizia giudiziaria o di specifici settori o articolazioni di questi, le amministrazioni dalle quali essi dipendono devono ottenere il consenso del procuratore generale presso la corte di appello e del procuratore della Repubblica presso il tribunale. Inoltre a norma dell’art. 59 c.p.p. l’ufficiale preposto ai servizi di polizia giudiziaria è responsabile verso il procuratore della Repubblica presso il tribunale dove ha sede il servizio dell’attività di polizia giudiziaria svolta da lui stesso e dal personale dipendente.
10. Con il settimo motivo di ricorso è denunciata la violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e) e del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 1, lett. d) sempre con riguardo al capo B) di incolpazione relattivo all’omessa comunicazione al Procuratore della Repubblica della corrispondenza con L.te Pa. e si sostiene che la sentenza avrebbe travisato le prove assunte e non avrebbe considerato che la nota indirizzata al L.te Pa. era stata in pari data comunicata per conoscenza anche al Procuratore Capo così come era stato a lui inviato anche il pregresso carteggio intercorso con l’ufficiale di p.g. (tanto sostiene sarebbe emerso anche nel corso del giudizio dalle dichiarazioni rese dal Procuratore al P.G. della Cassazione e dal teste B. sentito in udienza).
10.1. Con l’ottavo motivo di ricorso è denunciata ancora la violazione dell’art. 606 lett. e) c.p.p. e dell’art. 2 comma 1 lett. d) D.Lgs. n. 109 del 2006 sempre con riferimento all’omessa comunicazione della corrispondenza intercorso con il L.te Pa. e, ancodra una volta sarebbero stati travisati i fatti accertati e non si sarebbe tenuto conto che nella specie si trattava proprio di una revoca della delega di indagini a cui il sostituto era legittimato senza alcun obbligo di preavvertire il superiore gerarchico nè di essere autorizzato.
10.2. Con il nono motivo, è denunciata di nuovo la violazione dell’art. 606 lett. e) c.p.p. e dell’art. 2 comma 1 lett. d) D.Lgs. n. 109 del 2006 sempre con riguardo all’omessa comunicazione corrispondenza con il Pa. e si sostiene che non si comprenderebbe da cosa la sentenza avrebbe inferito che la nota era stata consegnata al Procuratore della repubblica il giorno dopo la sua redazione mentre al Pa. il giorno stesso. Sottolinea il ricorrente che la nota era stata redatta e consegnata alla segretaria che poi aveva provveduto all’inoltro e che non vi era alcuna certezza che i termini di invio fossero proprio quelli accertati nella sentenza.
10.3. Con il decimo motivo ci si duole, sempre con riguardo al capo B) di incolpazione, dell’erroneità nell’interpretazione della nota come censura disciplinare. Sottolinea il ricorrente che nella lettera non era stata formulata alcuna specifica accusa disciplinare. Non era stato indicato il fatto contestato, la violazione di legge addebitata nè era stata indicata la data di inizio dell’azione disciplinare per l’amministrazione di appartenenza. Insiste il ricorrente nel sostenere che si era trattato di una mera revoca di delega di indagini che doveva essere necessariamente motivata.
10.4. Nell’undicesimo motivo di ricorso, poi, si afferma che il giudice disciplinare avrebbe, sempre con riguardo alla condotta di cui al capo B) di incolpazione, travisato il significato dell’espressione “impregiudicate le ulteriori iniziative e determinazioni di competenza” che sarebbero state intese come una minaccia di altri provvedimenti sanzionatori e che invece sottintendevano la riserva di valutare la proposizione di querela contro l’Ufficiale di p.g. in relazione alle aspre critiche, diffamatorie, mosse alle richieste formulate dal pm e trasmesse anche a terzi.
11. Le censure possono essere esaminate congiuntamente e sono infondate.
11.1. Il comportamento addebitato al P. nel capo B) di incolpazione si è concretizzato in una sorta di richiamo disciplinare formulato nei confronti di un agente di polizia giudiziaria e, come si è già rammentato più sopra (sub 9), a norma dell’art. 17 disp att. c.p.p. l’azione disciplinare rientra nelle competenze del PG della Corte di appello nel cui distretto l’agente presta servizio sicchè non v’è dubbio che il sostituto che abbia inteso formulare un addebito all’agente di P.G. abbia travalicato i suoi poteri. La dipendenza funzionale della polizia giudiziaria incide anche sulla organizzazione delle sezioni di tal che prima di distogliere un componente della p.g. dai propri ruoli è opportuno attendere il nulla osta del procuratore rapportato a quella sezione.
11.2. Tanto premesso va rilevato che non è ravvisabile nella specie il denunciato travisamento delle prove (di cui ai motivi 7 e 8 del ricorso) atteso che nella sentenza si dà atto che la nota è stata si comunicata al procuratore ma gli è stata consegnata solo il giorno dopo il suo inoltro all’agente di P.G. che ne era il primo destinatario. Si precisa poi, condivisibilmente, che rientrava nella competenza del Procuratore della Repubblica, e non del sostituto l’invio delle censure. Quest’ultimo, si chiarisce, semmai, poteva revocare la delega ma non formulare addebiti per iscritto.
11.3. Il nono motivo, con il quale si deduce che non sarebbe stato chiarito dal giudice disciplinare come era stato accertato che la comunicazione era del giorno successivo, non coglie il senso della motivazione della sentenza che tratta la condotta nel suo complesso e considera la tempistica delle comunicazioni come un elemento ulteriore che ne conferma l’irritualità.
11.4. Quanto al decimo e all’undicesimo motivo va rilevato che la sentenza ha motivatamente accertato che non di revoca di una delega di indagini si era trattato ma, piuttosto, di un vero e proprio richiamo disciplinare. La motivazione della sentenza disciplinare sul punto non solo non è mancante ma neppure presenta profili di manifesta illogicità.
11.5. Nella sostanza il ricorrente oppone una sua lettura soggettiva dei documenti e formula censure che presentano perciò evidenti profili di inammissibilità (cfr. cass. Sez. U. 20/12/2018 n. 33017).
12. Anche i motivi da dodici a quindici possono essere trattati congiuntamente e sono in parte inammissibili ed in parte infondati.
12.1. Con il dodicesimo motivo di ricorso il ricorrente, in relazione al capo di incolpazione sub C), il P. deduce che la sentenza avrebbe travisato lo scopo della riunione, tenutasi il 30 maggio 2016, ed osserva che le risultanze processuali, se rettamente interpretate, avrebbero contraddetto l’assunto della sentenza che la riunione serviva a chiarire a tutti i sostituti le prerogative del capo dell’ufficio sui procedimenti disciplinari: Sottolinea infatti che nel corso dell’istruttoria era emerso che, pur a fronte di un generico ordine del giorno (organizzazione ufficio e gestione fascicoli delegati) la finalità era proprio quella di censurare coram populo il P. e ricorda al riguardo che la nota di richiamo dell’ufficiale di P.G. era stata inviata dall’incolpato al solo Procuratore della Repubblica di tal che questa non poteva essere conosciuta dagli altri sostituti. Rileva invece il ricorrente che era emerso che i colleghi erano a conoscenza dei fatti già prima della riunione. Inoltre dalla lettera inviata dai sostituti dell’ufficio al Procuratore della Repubblica si evinceva che vi erano stati incontri ristretti nel corso dei quali era stato chiesto di relazionare sui rapporti col collega.
12.2. Con il tredicesimo motivo di ricorso poi il ricorrente si duole di un travisamento delle prove con riguardo all’esistenza di atteggiamenti insolenti e provocatori nei confronti del Procuratore e degli altri colleghi nel corso della riunione. I testi escussi (in particolare il Procuratore C.) non hanno riferito di specifiche frasi ed atteggiamenti. Inoltre il verbale della riunione inviato era succinto e generico e non riferiva delle condotte addebitate al P.. Osserva allora il ricorrente che sarebbe illogico e incongruente ritenere che le omissioni di verbalizzazione erano dovute all’intento di evitare altre intemperanze. Rileva che è solo dalla nota a firma dei colleghi che emergono i dettagli e che, comunque nessuna prova era stata offerta della condotta scorretta tenuta nei confronti del ricorrente dal sostituto G. nel corso della riunione. Sottolinea che tale comportamento avrebbe dovuto essere invece riportato e valutato proprio nel contesto dei dissidi esistenti nell’ufficio.
12.3. Il quattordicesimo motivo investe, ancora una volta con riguardo alla violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e) e del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 1, lett. d) la valutazione data dalla sentenza disciplinare all’interruzione della riunione del 30 maggio 2016 che si è ritenuto essere conseguenza dell’atteggiamento insolente e provocatorio del ricorrente laddove invece era emerso nel corso del giudizio disciplinare che la riunione durata dalle 15,05 alle 16,00 (come risulta dal verbale) e dunque per quasi un’ora. Si sottolinea che in atti risultano depositati due verbali di cui uno reca un orario diverso ed incompatibile con la riunione stessa (ora di chiusura 13,40) e l’interpretazione data dalla sezione disciplinare a tali circostanze sarebbe, ad avviso del ricorrente, illogica laddove ha ritenuto che in concreto si era trattato della correzione di un errore materiale.
12.4. Con il quindicesimo motivo di ricorso, poi, è denunciato un travisamento del fatto e delle prove con riguardo alle diversità di contenuto dei due verbali della medesima riunione e si sostiene che sebbene non sia richiesta la forma scritta tuttavia, una volta che la si sia scelta, con la sottoscrizione del verbale l’atto non è più modificabile se non attraverso un documento che lo richiami per sostituirlo restando irrilevante l’esistenza di eventuali diverse prassi dell’ufficio(predisposizione a cura del sostituto segretario e successiva firma da parte del procuratore) che, peraltro, nella specie non era stato accertato che fossero state nello specifico rispettate. Sottolinea inoltre che il verbale nelle sue due versioni risulta altresì diverso nel contenuto atteso che solo uno dei due riporta l’espressione “quanto meno per il futuro” riferita alla necessità di preavvertire il procuratore di iniziative nei confronti della polizia giudiziaria.
13. Osserva il Collegio che la sentenza alle pagine da otto a tredici si preoccupa di ricostruire gli eventi alla luce delle risultanze istruttorie raccolte sia testimoniali che documentali e, con un percorso logico congruo e aderente alle stesse non solo ha accertato la sussistenza del fatto contestato ma ha del pari escluso l’esistenza di una macchinazione in danno del P..
13.1. Inammissibilmente, perciò, il ricorrente nel dolersi di una errata interpretazione delle risultanze processuali pretende da questa Corte una non consentita rivisitazione dei fatti di causa che sono stati tutti esaminati dalla sentenza che si è preoccupata di ricostruire gli eventi (modalità di svolgimento della riunione e oggetto della stessa) e, con un percorso logico congruo e aderente alle dichiarazioni testimoniali ed alla documentazione acquisita, ha accertato la sussistenza del fatto contestato ed ha, del pari, escluso l’esistenza di una macchinazione in danno del P..
13.2. Nè appare illogica la spiegazione offerta dell’esistenza di verbali con orari di chiusura diversi. La sentenza disciplinare offre una spiegazione del tutto ragionevole della parziale difformità riscontrata dalla quale, in mancanza di elementi di segno contrario, non vi è ragione di discostarsi. Ai sensi dell’art. 606 c.p.c., lett. e) è censurabile la motivazione ove sia mancante o manifestamente illogica. Va allora rammentato che “il sindacato del giudice di legittimità sulla motivazione del provvedimento impugnato deve essere volto a verificare che quest’ultima: a) sia “effettiva”, ovvero realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non sia “manifestamente illogica”, perchè sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica; c) non sia internamente “contraddittoria”, ovvero esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute; d) non risulti logicamente “incompatibile” con “altri atti del processo” (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi posti a sostegno del ricorso) in misura tale da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico quando il vizio risulti dal testo del provvedimento impugnato.” (cfr. Cass. Sez. 1 19/10/2011 n. 41738 Cc.).
14. Con il sedicesimo motivo di ricorso si lamenta – in relazione all’art. 606 c.p.p., lett. b) ed al D.Lgs. n. 109 del 2006 e con riguardo all’incolpazione formulata al capo D), relativo alla contestata grave scorrettezza commessa il ***** nei confronti del sostituto Cu. – che la sezione disciplinare non avrebbe considerato che la condotta non era stata tenuta nell’esercizio delle funzioni e durante l’attività giurisdizionale ma in occasione di rapporti di ufficio e di mera condivisione. Inoltre si evidenzia che il denunciato atteggiamento minaccioso non era risultato provato e che la gravità della condotta non può essere ravvisata nel carattere acceso e concitato della discussione. Sostiene il ricorrente che la contestazione sull’assegnazione del vice procuratore onorario (vpo) non era pretestuosa ed è risultata nel merito fondata tanto che era stata poi rivista e si era provveduto ad assegnargli un vpo più esperto.
14.1. La censura è infondata. La previsione di cui al D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 2, comma 1, lett. d), – la quale dà rilievo come illecito disciplinare ai “comportamenti abitualmente e gravemente scorretti” tenuti nei confronti, tra i diversi soggetti menzionati, anche “di altri magistrati” – deve essere interpretata nel senso che tali comportamenti non debbono necessariamente essere frutto dell’esercizio delle funzioni attribuite al magistrato, potendo riferirsi anche ai rapporti personali tra colleghi all’interno dell’ufficio, atteso che la formulazione normativa appare prescindere del tutto dalla funzionalità della scorrettezza (Cass. Sez. U. 21/03/2013 n. 7042). Il concetto di “funzione”, cui si riferisce norma, va inteso in senso dinamico, in quanto connesso alto status di magistrato, dovendosi considerare quale scorrettezza funzionale grave, ai sensi della lett. d) della predetta norma, anche quella correlata a comportamenti che, pur se non compiuti direttamente nell’esercizio delle funzioni, sono inscindibilmente collegati a contegni precedenti o anche solo “in fieri”, involgenti l’esercizio delle funzioni giudiziarie, al punto da divenire tutti parte di un “modus agendi” contrario ai doveri del magistrato (Cass. s.u. 09/11/2018 n. 28653).
15. Il diciassettesimo motivo di ricorso è inammissibile non ravvisandosi nella sentenza una carenza di motivazione tale da doverne escludere l’effettività e non essendo la stessa, nel suo argomentare manifestamente illogica, contraddittoria o incompatibile con atti specifici del processo (cfr. Cass. n. 41738 del 2011 cit.).
15.1. Alcuna decisività ha, in tal senso la circostanza che tra la condotta e la nota di contestazione da parte del Procuratore sia trascorso del tempo atteso che la sentenza ne trae solo argomenti per asseverare la abitualità della condotta intemperante ed irrispettosa ed ha chiarito perchè il dissidio tra i due magistrati non rientrava affatto in un fisiologico seppur aspro andamento dei rapporti tra colleghi ma rivelava piuttosto una “abituale carenza di controllo della impulsività ed aggressività verbale da parte del P. non consona con l’obbligo di esercitare le sue funzioni, nei molteplici aspetti di cui si compone, con “la dovuta ponderazione ed autocontrollo e con il necessario equilibrio”.
16. Quanto alla violazione e falsa applicazione ex art. 606, lett. e) del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 3 bis con riguardo alla mancata applicazione della tenuità del fatto sostiene il ricorrente che la motivazione sarebbe illogica e che la ritenuta serialità della condotta sarebbe in contrasto con i capi di incolpazione. Osserva infatti che l’episodio svoltosi nel 2015 (relativo all’assegnazione del vpo) non aveva in sè rilievo disciplinare tanto che non aveva avuto seguito immediato. La condotta tenuta nell’ambito della riunione era rimasta ad essa interna ed era addebitabile semmai all’isolamento patito dal P.. Aggiunge infine che in ogni caso, in disparte il suo comportamento, la riunione aveva raggiunto lo scopo prefissosi sicchè nulla poteva essere rimproverato al P. ex post e la sezione disciplinare aveva trascurato di considerare che il suo comportamento era risultato di marginale incidenza.
16.1. Anche questa censura presenta profili di inammissibilità laddove pretende una rivisitazione dei fatti secondo una ricostruzione ed un apprezzamento diverso senza considerare che la lettura datane dalla sentenza impugnata è coerente con le risultanze istruttorie ed è comunque infondata in quanto la statuizione della sentenza non si pone in contrasto con le citate disposizioni di legge.
16.2. La previsione di cui al D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 3-bis (aggiunta dalla L. 24 ottobre 2006, n. 269, art. 1), secondo cui l’illecito disciplinare non è configurabile quando il fatto è di scarsa rilevanza, risulta applicabile – sia per il suo tenore letterale che per la sua collocazione sistematica – a tutte le ipotesi illecito disciplinare, allorchè la fattispecie tipica risulta essere stata realizzata ma il fatto, per particolari circostanze anche non riferibili all’incolpato, non risulti in concreto capace di ledere il bene giuridico tutelato, secondo una valutazione che costituisce compito esclusivo della Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, soggetta a sindacato di legittimità soltanto ove viziata da un errore di impostazione giuridica oppure motivata in modo insufficiente o illogico (cfr. Cass. Sez. U. 13/07/2017 n. 17327, 29/10/2015 n. 22092 e 29/03/2013n. 7934).
17. L’ultimo motivo di ricorso che investe il capo della decisione con il quale è stata irrogata la sanzione d’ufficio deve essere rigettato.
17.1. L’applicazione della sanzione accessoria del trasferimento d’ufficio, salvo il necessario presupposto rappresentato dall’irrogazione di una sanzione principale (diversa dall’ammonimento e dalla rimozione), è rimessa ad un apprezzamento di fatto della sezione disciplinare del C.S.M., non sindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato (cfr. Cass. Sez. u. 27/04/2017 n. 10415). La ratio del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 13, comma 1, non è quella di sanzionare ulteriormente il magistrato, ma di impedire che il contesto ambientale in cui esso opera, rispetto al quale sono rilevanti sia la sede che le funzioni svolte, determini ulteriori violazioni disciplinari lesive del buon andamento della giustizia, tutelando, pertanto, un interesse pubblico riconducibile all’art. 97 Cost. ed all’intero titolo IV della Costituzione (Cass. Sez. U. 14/07/2017 n. 17551).
17.2. Di tali principi ha fatto corretta applicazione la sentenza disciplinare a conclusione della sua articolata ricostruzione dei fatti e della ponderata valutazione della loro incidenza.
18. In conclusione, per i motivi esposti, il ricorso deve essere rigettato. Non occorre provvedere sulle spese del giudizio poichè gli intimati non si sono costituiti.
PQM
La Corte, rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili della Corte Suprema di Cassazione, il 29 gennaio 2019.
Depositato in Cancelleria il 17 luglio 2019
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