LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – rel. Presidente –
Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –
Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –
Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –
Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 19635-2015 proposto da:
C.B.E., B.M.C., rappresentati e difesi dagli avvocati ANGELO COSENTINO, VITTORIO COSENTINO;
– ricorrenti –
BI.CA., rappresentato e difeso dall’avvocato VINCENZO VICECONTE;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 655/2015 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 15/05/2015;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/07/2019 dal Consigliere Dott. LUIGI GIOVANNI LOMBARDO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto del 1-2-3 motivo, accoglimento 4-5 motivo, assorbito il 6 motivo del ricorso;
udito l’Avvocato COSENTINO Angelo, difensore dei ricorrenti che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito l’Avvocato VICECONTE Vincenzo, difensore del resistente che ha chiesto il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
1. – Bi.Ca. convenne in giudizio i coniugi C.N. e B.M.aria, proprietari di un fondo confinante con quello dell’attore, chiedendo che gli stessi fossero condannati al ripristino del confine (alterato a seguito della recinzione dai medesimi eseguita) e al rilascio del terreno occupato.
I convenuti resistettero alla domanda attorea, chiedendone il rigetto per insussistenza del preteso sconfinamento; eccepirono, in subordine, l’usucapione del terreno ex art. 1159 c.c.
Il Tribunale di Castrovillari accolse la domanda attorea, accertò il confine e condannò i convenuti al rilascio del terreno occupato.
2. – La Corte di Appello di Catanzaro, respingendo il gravame proposto dai convenuti, confermò la pronuncia di primo grado.
3. – Per la cassazione della sentenza di appello ha proposto ricorso B.M. sulla base di sei motivi.
Ha resistito con controricorso Bi.Ca..
Successivamente, C.B.E., nella qualità di erede di C.N. (nel frattempo deceduto), ha depositato atto di intervento, chiedendo l’accoglimento del ricorso proposto dalla B..
La ricorrente e l’interveniente hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Preliminarmente, va esaminata l’ammissibilità dell’intervento spiegato nel presente giudizio da C.B.E., nella qualità di erede di C.N., mediante deposito di apposito atto nella cancelleria di questa Corte, non notificato alle parti.
L’atto di intervento, del tutto irrituale, risulta affetto da nullità originaria per non essere stato notificato alle parti ai fini della instaurazione di regolare contraddittorio; tuttavia, tale nullità è rimasta sanata, in quanto le controparti, appositamente interpellate nella pubblica udienza, hanno accettato il contraddittorio senza sollevare eccezioni (Cass., Sez. 6 – L, n. 3471 del 22/02/2016; Cass., Sez. 3, n. 7441 del 31/03/2011).
2. – Superata la questione della ammissibilità dell’intervento, può passarsi all’esame dei motivi.
Con i sei motivi di ricorso, la ricorrente deduce:
1) violazione degli artt. 948 e 950 c.c., per avere la Corte territoriale erroneamente qualificato la domanda del Bi. come azione di regolamento di confini, piuttosto che rivendica;
2) vizio della motivazione della sentenza impugnata, in relazione alla qualificazione della domanda del Bi. come azione di regolamento di confini, piuttosto che rivendica;
3) violazione degli artt. 948 e 2697 c.c., per carenza di prova della proprietà del terreno oggetto della contesa;
4) violazione dell’art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia su apposito motivo di appello col quale si contestava la valutazione delle prove acquisite;
5) violazione dell’art. 196 c.p.c. e vizio della motivazione della sentenza impugnata in relazione al supplemento di C.T.U.;
6) violazione degli artt. 1158 e 1159 c.c. ed omessa pronuncia, in relazione alla proposta eccezione di usucapione.
3. – Nessuna delle censure dedotte può trovare accoglimento.
3.1. – Il primo e il secondo motivo sono infondati.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, l’azione di regolamento dei confini (art. 950 c.c.) presuppone che l’incertezza, oggettiva o soggettiva, cada sul confine tra due fondi, non sul diritto di proprietà degli stessi, anche se oggetto di controversia è la determinazione quantitativa delle rispettive proprietà; essa, pertanto, non muta natura, trasformandosi in azione di rivendica, nel caso in cui l’attore sostenga che il confine di fatto non sia quello esatto per essere stata parte del suo fondo usurpata dal vicino (Cass. n. 15304/06; analogamente e fra le altre, Cass. nn. 15507/00 e 3101/05). Al contrario, è azione di rivendica della proprietà (art. 948 c.c.) quella fondata e contrastata in base ai rispettivi titoli di acquisto (Cass. nn. 1204/98, 12139/97, 9900/95 e 2857/95). Ne deriva che vi è conflitto fra titoli quando (a livello di allegazione) un medesimo bene, o una sua porzione, risulti in due atti traslativi della proprietà attribuito a soggetti diversi, di talchè l’un acquisto non possa coesistere con l’altro perchè in rapporto di contraddizione giuridica.
La Corte territoriale si è attenuta a tali principi, spiegando che l’attore non ha contestato il titolo di proprietà dei convenuti, ma solo la correttezza della attuale linea di confine.
Va peraltro ricordato che l’interpretazione della domanda giudiziale, consistendo in un giudizio di fatto, è incensurabile in sede di legittimità e che la Corte di cassazione è abilitata all’espletamento di indagini dirette al riguardo soltanto allorchè il giudice di merito abbia omesso l’indagine interpretativa della domanda, ma non se l’abbia compiuta ed abbia motivatamente espresso il suo convincimento in ordine all’esito dell’indagine (Cass., Sez. 1, n. 5876 del 11/03/2011).
3.2. – E’ inammissibile anche il terzo motivo, che risulta non specifico e non supera la soglia dell’assoluta genericità.
In ogni caso, la Corte territoriale ha accertato il confine tenendo conto dei titoli di proprietà e delle mappe catastali, nonchè del riscontro eseguito in loco dal C.T.U. Non sussiste, pertanto, la pretesa violazione degli artt. 948 e 2697 c.c.
3.3. – Non sussiste poi il vizio di omessa pronuncia su motivo di appello (con quale si lamentava il mancato esame di taluni elementi di prova), dedotto col quarto motivo ex art. 360, n. 4 in relazione all’art. 112 c.p.c.
La Corte territoriale ha rinnovato il giudizio di fatto, riesaminando gli elementi di prova acquisiti (C.T.U. e deposizioni testimoniali) e pervenendo autonomamente alle medesime conclusioni cui era pervenuto il giudice di primo grado. Non sussiste pertanto la pretesa omessa pronuncia.
3.4. – Il quinto motivo – col quale si censura che la Corte territoriale abbia ritenuto la nullità delle indagini suppletive esperite dal C.T.U. a seguito di telegramma inviatogli dal C. in violazione del contraddittorio – è inammissibile.
Il ricorrente non prende in esame il precetto contenuto nella norma di cui lamenta la violazione (art. 196 c.p.c.) nè indica le affermazioni in diritto, contenute nella sentenza gravata, che si porrebbero in contrasto con tale norma.
Sul punto va ribadito che, quando nel ricorso per cassazione, è denunziata violazione o falsa applicazione di norme di diritto, il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, deve essere dedotto, a pena di inammissibilità, non solo mediante la puntuale indicazione delle norme asseritamente violate, ma anche mediante specifiche argomentazioni, intese motivatamente a dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto, contenute nella sentenza gravata, debbono ritenersi in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla dottrina e dalla prevalente giurisprudenza di legittimità (Cass., Sez. 6 – 5, n. 635 del 15/01/2015).
Inammissibile è poi anche il dedotto vizio di motivazione, alla stregua del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5.
3.5. – Anche il sesto motivo (omessa pronuncia su motivo col quale si riproponeva l’eccezione di usucapione) risulta inammissibile, in quanto con esso si deduce una questione “nuova”, non proposta nel giudizio di appello con apposito motivo di gravame (non essendo la questione trattata in alcun modo nella sentenza impugnata nè indicata nelle conclusioni ivi epigrafate) (Cass., Sez. 2, n. 8206 del 22/04/2016).
Lo stesso ricorrente, peraltro, precisa di aver dedotto la questione solo nella comparsa conclusionale di appello e, quindi, del tutto tardivamente e inammissibilmente.
4. – il ricorso va, pertanto, rigettato.
Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza della parte ricorrente e vanno poste, in solido, anche a carico della interveniente, che ha aderito al ricorso risultato infondato.
5. – Parte ricorrente è tenuta a versare – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater – un ulteriore importo a titolo contributo unificato pari a quello dovuto per la proposizione dell’impugnazione.
PQM
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente e la intervenuta C.B.E., in solido, al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 (tremila) per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione seconda Civile, il 5 luglio 2019.
Depositato in Cancelleria il 18 settembre 2019
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