LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –
Dott. DI FLORIO Antonella – rel. Consigliere –
Dott. SCARANO Luigi A. – Consigliere –
Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –
Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 23751-2017 proposto da:
S.P., S.S., S.M., B.P., M.M., S.E., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CONTE ROSSO 5, presso lo studio dell’avvocato SALVATORE VITALE, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato EMANUELE ALUIGI;
– ricorrenti –
contro
UNIPOL BANCA SPA in persona del procuratore speciale Dott. L.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FEDERICO CESI 72, presso lo studio dell’avvocato ACHILLE BUONAFEDE, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato MICHELE SESTA;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 363/2017 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 06/03/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 06/06/2019 dal Consigliere Dott. ANTONELLA DI FLORIO.
RILEVATO
che:
1. S.P., E., M. e S. nonchè B.P. e M.M. ricorrono, affidandosi a tre motivi per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Ancona che, riformando solo parzialmente la pronuncia del Tribunale di Urbino, aveva confermato, accogliendo la domanda della UGF Banca Spa, la dichiarazione di inefficacia degli atti di donazione stipulati da S.P. in favore dei figli e della moglie B.P., nonchè quelli successivi con i quali, sugli stessi beni immobili, erano stati costituiti i fondi patrimoniali in favore loro e di M.M., coniuge della figlia E..
1.1. La Corte territoriale, per ciò che qui interessa, ha riformato la pronuncia di primo grado soltanto in punto di spese che venivano compensate nella misura di un terzo, confermando, per il resto, la sentenza di primo grado.
2. Ha resistito la UGF Spa, depositando anche memorie ex art. 380 bis c.p.c..
CONSIDERATO
che:
1.Con il primo motivo, i ricorrenti deducono, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, “la violazione e falsa applicazione delle norme di diritto – carenza di legittimazione passiva in capo a B.P.”.
Assumono che i coniugi S.P. e B.P. erano in regime patrimoniale di separazione dei beni e che, pertanto, la moglie – che non era debitrice della banca – era stata erroneamente considerata litisconsorte necessario: ciò era dimostrato anche dall’accoglimento della domanda limitatamente alle quote ed ai beni di proprietà esclusiva del marito.
1.1.Chiedono, vista la divergente giurisprudenza di legittimità applicata dalla Corte territoriale, che la questione venga rimessa alle sezioni unite di questa Corte.
1.2. Il Collegio osserva quanto segue.
Il motivo contiene una rubrica priva della indicazione delle norme che si assumono violate.
1.3. Nonostante che tale omissione non sia, di per se, preclusiva all’esame della censura proposta (cfr. Cass. SU 9652/2001; Cass.12127/2004; Cass. 1606/2005), è necessario verificare se la complessiva formulazione di essa possa ritenersi esaustiva, in termini di specificità.
E’ stato, infatti, affermato il principio secondo cui “il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 3 deve essere dedotto, a pena di inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, non solo con la indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a dimostrare motivatamente in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla Corte regolatrice di adempiere il suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione. Risulta, quindi, inidoneamente formulata la deduzione di “errori di diritto” individuati per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme pretesamente violate, ma non dimostrati per mezzo di una critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata mediante specifiche e puntuali contestazioni nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non attraverso la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata” (cfr. Cass. 24298/2016; Cass. 5353/2007).
1.4. Ed è stato altresì chiarito che “in tema di ricorso per cassazione per violazione o falsa applicazione di norme di diritto (sostanziali o processuali), il principio di specificità dei motivi, di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, deve essere letto in correlazione al disposto dell’art. 360-bis c.p.c., n. 1, essendo dunque inammissibile, per difetto di specificità, il motivo di ricorso che, nel denunciare la violazione di norme di diritto, ometta di raffrontare la “ratio decidendi” della sentenza impugnata con la giurisprudenza della S.C. e, ove la prima risulti conforme alla seconda, ometta di fornire argomenti per mutare orientamento” (cfr. Cass. 5001/2018).
1.5. Nel caso in esame, i ricorrenti lamentano genericamente che la Corte territoriale abbia ritenuto la B. litisconsorte necessario del marito, pur essendo in regime patrimoniale di separazione dei beni e quindi non direttamente coinvolta nella sua posizione debitoria: ma prospettano la censura dando atto che la statuizione era stata assunta aderendo alle coerenti affermazioni di questa Corte sulla specifica questione, e domandando una rimessione alle sezioni unite con riferimento a diversi arresti di legittimità, pronunciati oltretutto su questioni non sovrapponibili a quella in esame, senza spiegare quali sarebbero le ragioni valide per mutare l’orientamento seguito che risulta stabile, consolidato e che è pienamente condiviso da questo Collegio.
1.6.E’ stato, infatti, reiteratamente affermato che “in tema di azione revocatoria, nel giudizio promosso dal creditore personale di uno dei coniugi per la declaratoria di inefficacia dell’atto di costituzione di un fondo patrimoniale stipulato da entrambi i coniugi, sussiste litisconsorzio necessario del coniuge non debitore, ancorchè non sia neppure proprietario dei beni costituiti nel fondo stesso, in quanto beneficiario dei relativi frutti, destinati a soddisfare i bisogni della famiglia, e, quindi, destinatario degli eventuali esiti pregiudizievoli conseguenti all’accoglimento della domanda” (cfr. ex multis Cass. 19330/2017; Cass. 21494/2011).
1.7. Il motivo, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile per difetto di specificità, non essendo state affatto indicate le ragioni per le quali il convincente orientamento seguito dovrebbe essere superato da una diversa, quanto apodittica, soluzione.
2. Con la seconda censura, i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione dell’art. 2901 c.c., art. 115 c.p.c. ed artt. 2697,2727 e 2729 c.c.: lamentano che la Corte aveva erroneamente affermato che non c’erano dubbi sulle ragioni di credito della banca, mentre il S. aveva contestato le sue richieste. Assumono inoltre che il decreto ingiuntivo dal quale traeva origine il loro credito era stato richiesto dopo oltre otto mesi dagli atti compiuti, ragione per cui non sussisteva il requisito “dell’anteriorità”, visto che le operazioni in “prodotti derivati” erano state commesse nel maggio/giugno del 2008.
2.1. Il motivo è infondato.
Questa Corte ha reiteratamente affermato che l’azione revocatoria è ammissibile anche per i crediti litigiosi: è stato, al riguardo, affermato che “l’art. 2901 c.c. ha accolto una nozione lata di credito, comprensiva della ragione o aspettativa, con conseguente irrilevanza dei normali requisiti di certezza, liquidità ed esigibilità, sicchè anche il credito eventuale, nella veste di credito litigioso, è idoneo a determinare – sia che si tratti di un credito di fonte contrattuale oggetto di contestazione in separato giudizio sia che si tratti di credito risarcitorio da fatto illecito – l’insorgere della qualità di creditore che abilita all’esperimento dell’azione revocatoria ordinaria avverso l’atto di disposizione compiuto dal debitore” (cfr. Cass. 5619/2016; Cass. 5618/2017; Cass. 1893/2012).
2.2. La Corte ha fatto corretta applicazione di tale principio (cfr. pag. 5 terzo cpv), confermando la sentenza del Tribunale che lo aveva pure richiamato, dando conto di aver esaminato la documentazione prodotta.
2.3. Tali argomentazioni soddisfano, in termini logici, anche il rilievo riguardante l’anteriorità del credito.
3. Con il terzo motivo, infine, i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione dell’art. 10 c.p.c., degli artt. 26 e 42 Cost., e del D.M. n. 55 del 2014. Contestano l’entità sproporzionata della condanna alle spese ed assumono che il valore di riferimento doveva essere quello effettivo della controversia.
3.1. Il motivo è complessivamente infondato.
La censura, infatti, è inammissibile nella parte in cui ritiene sproporzionata l’entità della condanna, dimenticando che la quantificazione delle spese, all’interno dei valori, fra il minimo ed il massimo fissati dalla normativa applicabile e tenendo conto della percentuale in aumento o in diminuzione consentita, è insindacabile in sede di legittimità, così come la misura della compensazione (cfr. ex multis Cas. 17692/2003; Cass.2397/2008; Cass. 20477/2011); ed è infondata rispetto al valore di riferimento richiesto, perchè non tiene conto della specifica disciplina prevista dal D.M. n. 55 del 2014, art. 5 che, per le azioni revocatorie, prevede come parametro “l’entità economica della ragione di credito alla cui tutela l’azione è diretta”, escludendo con ciò che la liquidazione possa essere riferita al “valore effettivo della controversia, anche in relazione agli interessi perseguiti dalle parti” (valore ricondotto dai ricorrenti allo scaglione “indeterminabile”), in quanto esso rappresenta un criterio residuale, subordinato alla circostanza – che non ricorre nel caso in esame, non essendo stata neanche compiutamente allegata – che il valore della causa risulti “manifestamente diverso da quello presunto a norma del codice di procedura civile o alla legislazione speciale” (cfr. D.M. n. 55 del 2014, art. 5).
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.
Le spese seguono la soccombenza.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente alle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 10.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi oltre ad accessori e rimborso forfettario spese generali nella misura di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della terza sezione civile, il 6 giugno 2019.
Depositato in Cancelleria il 24 settembre 2019
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