LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –
Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –
Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –
Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –
Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 21525-2018 proposto da:
B.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CASSIODORO 1/A, presso lo studio dell’avvocato SILVIA ODDI, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
G.2 EVENTI SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VITTORIA COLONNA 39, presso lo studio dell’avvocato MARCO PASSALACQUA, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati VALERIA GIUDICE, GIULIO PONZANELLI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2541/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 23/05/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 30/05/2019 dal Consigliere Relatore Dott. SCRIMA ANTONIETTA.
FATTI DI CAUSA
B.M. propose opposizione al decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Milano nei sui confronti e a favore di G.2 Eventi S.p.a. per il pagamento della somma di Euro 417.565,23, oltre interessi e spese di procedura, a titolo di corrispettivo per l’attività di organizzazione di una cena per circa 6.000 persone effettuata su richiesta ed a favore dell’ingiunto, nell’ambito della campagna elettorale di quest’ultimo.
Il Tribunale adito, con sentenza n. 14459/2015, accolse l’opposizione, revocò il d.i. opposto e compensò tra le parti le spese di lite.
Avverso la sentenza di primo grado G.2 Eventi S.r.l. propose appello del quale l’appellato chiese il rigetto.
La Corte di appello di Milano, con sentenza n. 1683/2018, pubblicata il 23 maggio 2018, in riforma della sentenza impugnata, rigettò l’opposizione proposta da B.M. avverso il predetto d.i. e, per l’effetto, confermò lo stesso e condannò il B. al pagamento delle spese del doppio grado del giudizio di merito.
Avverso la sentenza della Corte di merito B.M. ha proposto ricorso per cassazione, basato su due motivi e illustrato da memoria, cui ha resistito G.2 Eventi S.r.l. con controricorso.
La proposta del relatore è stata ritualmente comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo, rubricato “Violazione dell’art. 2721 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – limiti di legge relativi alla prova dei contratti richiedenti la forma scritta”, il ricorrente sostiene che “la prova per testimoni della sussistenza di un rapporto contrattuale… non è ammissibile laddove il contratto inter partes richieda la forma scritta “ad substantiam” o “ad probationem”” e che, pertanto, nella specie la Corte di merito avrebbe volato l’art. 2721 c.c. laddove ha erroneamente ammesso la prova per testimoni e ha fondato la sua decisione proprio su tale, a suo avviso, inutilizzabile prova ammessa, ed evidenzia, altresì, che la predetta Corte ha ritenuto che dalle prove emergerebbe l’onerosità del contratto, sicchè – sempre ad avviso del ricorrente – era necessaria per lo stesso la forma scritta ad substantiam.
2. Con il secondo motivo, rubricato “Violazione dell’art. 2721 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio”, il ricorrente sostiene che “la Corte d’Appello ha affermato che il B. avrebbe dovuto provare la gratuità dell’evento elettorale da cui il decreto ingiuntivo di controparte traeva origine, ritenendo che, in base alle risultanze “probatorie”, l’evento fosse a titolo oneroso ed organizzato in favore del B. (con conseguenti oneri a suo carico)”. Ad avviso del ricorrente, “laddove si ritenesse l’evento come “oneroso”, il contratto alla base, di conseguenza, sarebbe non più gratuito ma oneroso, con conseguente onere della prova di tale onerosità a carico dell’azienda. Di conseguenza, sempre in base all’art. 2721 c.c., la società avrebbe dovuto provare la sussistenza di accordo scritto inter partes (prescindendo dal fatto che lo stesso sia richiesto “ad substantiam” o “ad probationem”)”. Deduce, quindi, il B. che, non essendovi “alcuna traccia di contratto scritto tra le parti”, sarebbe inutilizzabile ogni prova raccolta e che, “mancando valida prova della onerosità del contratto, discende che la Corte di Appello ha ulteriormente errato”.
3. I due motivi, che, essendo strettamente connessi, ben possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati, per quanto attiene alle dedotte violazioni di legge, e risultano inammissibili con riferimento alle censure motivazionali, pure proposte con il secondo mezzo.
3.1. Va osservato, infatti, che la Corte di merito, in base ad un accertamento in fatto (peraltro fondato sui documenti prodotti), come tale insindacabile in questa sede, ha ritenuto che non vi è prova della gratuità della prestazione di cui si discute in causa (v. sentenza impugnata p. 18) e va, altresì, rilevato che non risulta in contestazione la qualificazione del contratto intervenuto tra le parti come appalto di servizi, peraltro espressamente dedotta dall’appellante nei motivi di appello riportati a p. 15 e 16 della sentenza impugnata.
Non essendo richiesta per la stipulazione del contratto di appalto privato la forma scritta nè ad substantiam nè ad probationem e ben potendo lo stesso essere concluso per facta concludentia (Cass. 5/08/2016, n. 16530), risulta non pertinente il richiamo ai principi espressi da questa Corte con la sentenza 19/02/2015, n. 3336 e di cui a p. 12 del ricorso, sicchè non sono invocabili nella specie i limiti di prova stabiliti dall’art. 2725 c.c. per i contratti per i quali sia richiesta la forma scritta ad substantiam o ad probationem, e neppure i limiti di valore previsti dall’art. 2721 c.c., comma 1, per la prova testimoniale, atteso che la Corte di merito ha ammesso nel caso all’esame la prova testimoniale proprio avvalendosi della previsione dell’art. 2721 c.c., comma 2 (e, all’evidenza, anche di quanto previsto dall’art. 2724 c.c.), come si desume chiaramente dalla motivazione resa sul punto dalla Corte di merito alle pagine 18 e 19 della sentenza impugnata.
Quanto alle censure motivazionali pure dedotte con il secondo motivo, le stesse sono – come già anticipato – inammissibili, evidenziandosi che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (Cass., sez. un., 7/04/2014, n. 8053; Cass. 8/03/2017, n. 5795; Cass. 13/08/2018, n. 20718; Cass. ord. 29/10/2018, n. 27415), e che, nella specie, neppure è stato precisato il fatto storico di cui sarebbe stato omesso l’esame da parte della Corte di merito e neppure ne è stata dedotta la decisività
4. Il ricorso va, pertanto, rigettato.
5. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo tra le parti costituite.
6. Va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della società controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 3 della Corte Suprema di Cassazione, il 30 maggio 2019.
Depositato in Cancelleria il 25 settembre 2019