Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Sentenza n.24155 del 27/09/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – rel. Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 315/2017 proposto da:

C.O.A.F. – COOPERATIVA OPERAI AGRICOLI – FORESTALI DELLA LUNIGIANA SOCIETA’ COOPERATIVA AGRICOLAFORESTALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI VILLA SEVERINI 54 (c/o Studio Tinelli Associati), presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI CONTESTABILE, rappresentata e difesa dagli avvocati CARLO SALTO, ALESSANDRO MARRI, ALFONSO CELOTTO;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli Avvocati ANTONINO SGROI, EMANUELE DE ROSE, LELIO MARITATO, CARLA D’ALOISIO, GIUSEPPE MATANO, ESTER ADA VITA SCIPLINO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 186/2016 della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata il 28/06/2016 R.G.N. 551/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/05/2019 dal Consigliere Dott. GIULIO FERNANDES;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SANLORENZO Rita, che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito l’Avvocato ALESSANDRO MARRI;

udito l’Avvocato ANTONINO SGROI.

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza del 28 giugno 2016, la Corte d’appello di Genova confermava la decisione del Tribunale di Massa di rigetto della domanda proposta dalla C.O.A.F. – Cooperativa Operai Agricoli Forestali della Lunigiana Società Agricolo Forestale intesa al riconoscimento del suo diritto a ripetere nei confronti dell’Inps, in ragione della L. 25 luglio 1952, n. 991, art. 8, le somme versate a titolo di contributi per la quota parte a carico datoriale in relazione al proprio personale dipendente in forza a tempo determinato e indeterminato.

2. Ad avviso della Corte territoriale, per costante giurisprudenza di legittimità, “in tema di agevolazioni e benefici contributivi previsti per le imprese e i datori di lavoro aventi sede ed operanti nei comuni montani, la L. 25 luglio 1952, n. 991, art. 8 – già implicitamente abrogato per la parte relativa alle agevolazioni fiscali prima dal D.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 58 e 68 e, poi, dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, art. 9 e non più richiamato dal legislatore, per quel che riguarda i benefici contributivi in favore delle zone montane, a partire dalla L. 11 marzo 1988, n. 67, che ha fatto riferimento solo alla definizione di territori montani contenuta nel D.P.R. n. 601 del 1973, art. 9 – doveva considerarsi implicitamente abrogato, tanto più che la previsione di un regime generalizzato di totale esenzione contributiva era stato abbandonato dal legislatore a partire dalla citata L. n. 67 del 1988; pertanto, in conformità al D.Lgs. 1 dicembre 2009, n. 179, art. 1, comma 3, lett. d), il suddetto art. 8 non poteva essere incluso, atteso il carattere meramente ricognitivo dell’intervento legislativo, fra le norme “salvate” dal D.Lgs. n. 179, e la ricomprensione nell’Allegato 1 voce n. 1266 della L. n. 991 del 1952, tra le disposizioni specificamente indicate da “mantenere in vigore” si doveva considerare “tamquam non esser sulla base di una interpretazione rispettosa dell’art. 15 preleggi e costituzionalmente orientata, nel senso della coerenza e ragionevolezza dell’ordinamento (art. 3 Cost.), del rispetto dei principi e criteri direttivi della legge delega (art. 76 Cost.), e alla luce anche dell’art. 44 Cost., comma 2” (Cass. n. 19420 del 22/08/2013, orientamento confermato da Cass. 7976/2016 e da molte altre conformi).

3. Per la cassazione di tal decisione ha proposto ricorso la società affidato a due motivi, cui ha resistito l’INPS con controricorso.

4. Comunicata alle parti la proposta del relatore – unitamente al decreto di fissazione dell’udienza – ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., all’esito del deposito di memoria ex art. 380 bis c.p.c., da parte della ricorrente, la sesta sezione civile di questa Corte, con ordinanza interlocutoria n. 11721/2018 del 14 maggio 2018 ha rimesso la causa alla sezione semplice (quarta) per la trattazione in pubblica udienza ravvisandone l’opportunità in considerazione della pendenza innanzi alla Corte Costituzionale della questione di legittimità del D.Lgs. n. 179 del 2009, rilevante nella specie.

5. La ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE

6. Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 15 disp. gen., L. 25 luglio 1952, n. 991, art. 8, L. 11 marzo 1988, n. 67, art. 9, comma 5, L. 28 novembre 2005, n. 246, art. 14 e D.Lgs. 1 dicembre 2009, n. 179, art. 1, comma 1, all. 1, voce 1266 lamentandosi la non conformità a diritto dell’orientamento espresso dalla Corte territoriale in ordine all’intervenuta abrogazione della L. n. 991 del 1952, art. 8, nella parte in cui prevede l’esenzione totale dall’obbligo contributivo nei confronti del personale operaio dipendente da imprese agricole occupato nei territori qualificati montani. Con il secondo motivo viene denunciata violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e art. 24 Cost., comma 2, per avere la Corte d’appello, nel motivare la decisione sulla base del mero richiamo al precedente di questa Corte, omesso di pronunciarsi sulle ulteriori censure sollevate in sede di gravame avverso l’analoga conclusione cui era pervenuto il primo giudice con conseguente nullità dell’impugnata a sentenza.

7. Il primo motivo di ricorso è infondato alla luce della costante giurisprudenza di questa Corte (ex multis, Cass. n. 26275 del 14/12/2007; Cass. n. 15809 del 28 luglio 2005) secondo cui le sentenze di accoglimento di una questione di legittimità costituzionale pronunciate dalla Corte Costituzionale hanno effetto retroattivo, in quanto connesse a una dichiarazione di illegittimità che inficia fin dall’origine la dichiarazione colpita, con l’unico limite delle situazioni già consolidate, attraverso quegli eventi che l’ordinamento riconosce idonei a produrre tale effetto, tra i quali si collocano non solo la sentenza passata in giudicato (e l’atto amministrativo non più impugnabile), ma anche altri fatti rilevanti sul piano sostanziale o processuale, quali, ad esempio, la prescrizione e la decadenza.

8. La Corte Costituzionale, con sentenza n. 182 del 2018, ha, infatti, dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.Lgs. 1 dicembre 2009, n. 179, art. 1 (Disposizioni legislative statali anteriori al 1 gennaio 1970, di cui si ritiene indispensabile la permanenza in vigore, a norma della L. 28 novembre 2005, n. 246, art. 14), nella parte in cui dichiara, alla voce n. 1266 dell’Allegato 1, la permanenza in vigore della L. 25 luglio 1952, n. 991, art. 8 (Provvedimenti in favore dei territori montani), quanto all’esenzione dal pagamento dei contributi unificati in agricoltura perchè, al momento dell’adozione da parte del Governo del decreto legislativo “salva-leggi”, la L. n. 991 del 1952, art. 8, era già stato oggetto di abrogazione implicita, sicchè la norma impugnata che lo esclude dalla portata dell’effetto abrogativo di cui alla L. n. 246 del 2005, art. 14, comma 14-ter, si pone in contrasto con l’art. 14, comma 14, lett. a), della medesima legge ed è viziata, conseguentemente, per eccesso di delega.

9. Il giudice delle leggi ha, invero, chiarito:

– che il legislatore delegante, con il principio e criterio direttivo di cui alla L. n. 246 del 2005, art. 14, comma 14, lett. a), ha chiamato il Governo – nell’attività di ricognizione, prima, e di eventuale “salvezza”, poi, delle disposizioni legislative pubblicate anteriormente al 1 gennaio 1970 e ancora vigenti – a una reiterata valutazione, volta a volta, circa la compatibilità, o non, delle norme da “salvare” con norme successive, per escluderne la già avvenuta abrogazione tacita;

– che non poteva nutrirsi alcun dubbio sull’avvenuta abrogazione tacita, antecedentemente all’emanazione del D.Lgs. n. 179 del 2009, della L. n. 991 del 1952, art. 8, come ha già riscontrato la Corte di cassazione, dapprima con la sentenza 22 agosto 2013, n. 19420 e, poi, con la sentenza 20 aprile 2016, n. 7976 e con l’ordinanza 22 marzo 2018, n. 7214 i cui passaggi essenziali erano i seguenti: 1) il citato art. 8 aveva un duplice contenuto, prevedendo, da un lato, agevolazioni fiscali per i territori montani e, dall’altro, l’esenzione dal pagamento dei contributi agricoli unificati “per i terreni situati ad una altitudine non inferiore ai 700 metri sul livello del mare”; 2) del D.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 58 e 68 (Approvazione del testo unico delle leggi sulle imposte dirette), dettando una nuova disciplina in materia, avevano tacitamente abrogato il richiamato art. 8 per la parte relativa alle agevolazioni fiscali; 3) la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 370 del 1985, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del medesimo art. 8 nella parte in cui non prevedeva l’esenzione dal pagamento dei contributi unificati in agricoltura anche per i terreni compresi in territori montani ubicati ad altitudine inferiore ai 700 metri sul livello del mare; 4) la L. 11 marzo 1988, n. 67, art. 9, comma 5, recante “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 1988)” – anche nel testo frutto della sostituzione ad opera della L. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 9, comma 5 (Interventi correttivi di finanza pubblica) reca una generale disciplina di sgravi contributivi per le imprese agricole in territori montani, la quale ha implicitamente sostituito l’esenzione di cui alla L. n. 991 del 1952, art. 8, con tale sistema di sgravi contributivi;

– che la conclusione cui era giunto il giudice della nomofilachia doveva essere, per questa parte, integralmente condivisa in quanto sussisteva, in effetti, assoluta incompatibilità tra le norme ricavabili, per un verso, dalla L. n. 991 del 1952, art. 8 e, per un altro, dalla L. n. 67 del 1988, art. 9, comma 5: per una medesima fattispecie – i contributi dovuti dai datori di lavoro agricolo – le due norme ponevano conseguenze giuridiche inconciliabili, tali che l’applicazione dell’una non poteva che comportare la non applicazione dell’altra;

– la norma risalente al 1952 prevedeva, infatti, un regime di esenzione totale dal pagamento di tali contributi a favore dei datori di lavoro agricolo operanti in territori montani (senza che più rilevasse, all’indomani della sentenza n. 370 del 1985 di questa Corte, la quota altimetrica del territorio montano); la più recente norma del 1988, anche nel testo risultante dalla sostituzione ad opera della L. n. 537 del 1993, art. 11, ha introdotto, invece, una disciplina non di esenzione, ma in base alla quale “i premi ed i contributi relativi alle gestioni previdenziali ed assistenziali, dovuti dai datori di lavoro agricolo per il proprio personale dipendente, occupato a tempo indeterminato e a tempo determinato nei territori montani”, sono fissati in misura ridotta rispetto a quella ordinaria.

10. Inoltre, la Corte Costituzionale ha anche precisato come non potesse essere sostenuto che la richiamata giurisprudenza di legittimità non avrebbe tenuto conto della “necessaria distinzione tra le varie categorie di dipendenti precisata dal legislatore nelle due disposizioni” perchè, nella prospettiva della parte privata, la L. n. 991 del 1952, art. 8, avrebbe trovato applicazione soltanto in relazione agli operai che svolgevano l’attività nei territori montani, in quanto “categoria maggiormente penalizzata dalla particolare situazione di quel territorio”, mentre per le altre categorie di lavoratori, che erano già soggette a contribuzione, la L. n. 67 del 1988, art. 9, comma 5, avrebbe introdotto il sistema di sgravi contributivi. Invero, il richiamato art. 8, contrariamente a quanto sostenuto dalla società agricola, prevedeva l’esenzione dal pagamento dei contributi unificati in agricoltura non in riferimento ai soli operai, ma a tutto il personale dipendente delle imprese operanti in territori montani; la L. n. 67 del 1988, art. 9, comma 5, a sua volta, si riferisce ai contributi dovuti dai datori di lavoro agricolo per il personale dipendente nei territori montani, senza fare alcuna distinzione tra categorie di lavoratori, ma anzi espressamente precisando che il regime di favore vale per il personale occupato tanto a tempo determinato quanto a tempo indeterminato.

11. Destituito di fondamento è anche il secondo motivo avendo la Corte territoriale, correttamente richiamato l’orientamento giurisprudenziale prevalente espresso da questa Corte in merito alla vigenza o meno della L. n. 991 del 1952, art. 8, condividendone le argomentazioni riportate in motivazione (Cass. n. 11508 del 03/06/2016; Cass. n. 13708 del 03/07/2015).

12. Il ricorso, pertanto, va rigettato.

13. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura di cui al dispositivo.

14. Sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013) trovando tale disposizione applicazione ai procedimenti iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, quale quello in esame (Cass. n. 22035 del 17/10/2014; Cass. n. 10306 del 13 maggio 2014 e numerose successive conformi).

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese del presente giudizil liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 10.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese forfetario nella misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto del sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 15 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 settembre 2019

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