Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.24164 del 27/09/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – rel. Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorse 14934-2018 proposto da:

M.G., M.M., in proprio e nella qualità

di eredi di A.A., elettivamente domiciliate in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 1, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO CAPOZZI, rappresentate e difese dagli avvocati PAOLA CIPULLO, ALDO CANTELLI;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELLA SALUTE *****, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1631/2017 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 11/04/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 11/04/2019 dal Consigliere Relatore Dott.ssa RUBINO LINA.

RILEVATO

che:

1. M.G. e M.M. hanno proposto ricorso per cassazione contro il Ministero della Salute, avverso la sentenza n. 1631/2017, emessa dalla Corte d’Appello di Napoli il 24.3.2017, con la quale si accoglieva l’appello del Ministero e, in riforma della sentenza di primo grado, si rigettava la domanda di risarcimento danni iure hereditario avanzata dalle signore M. per intervenuta prescrizione del diritto della loro dante causa.

2. La corte d’appello riteneva prescritto il diritto delle ricorrenti ad agire per il risarcimento del danno subito dalla madre per il contagio da virus HCV a seguito di emotrasfusione, ancorando la decorrenza della prescrizione al momento in cui, nel 1990, la stessa acquisiva conoscenza all’esito degli esami sierologici di laboratorio del contagio, pur in mancanza di una prova di una chiara riconducibilità causale dell’evento dannoso al fatto della trasfusione.

2. Il Ministero resiste con controricorso.

3. Essendosi ravvisate le condizioni per la trattazione ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., nel testo modificato dal D.L. n. 168 del 2016, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 197 del 2016, è stata formulata dal relatore designato proposta di definizione del ricorso con declaratoria di manifesta fondatezza dello stesso. Il decreto di fissazione dell’udienza camerale e la proposta sono stati comunicati.

CONSIDERATO

che:

1. Il Collegio condivide le conclusioni contenute nella proposta del relatore nel senso dell’accoglimento del ricorso.

2. Questa la vicenda: nel 1978 A.A., madre delle ricorrenti, venne sottoposta ad un’unica trasfusione a seguito di una gravidanza extrauterina. Sottopostasi ad esami per un ittero, nel 1990 la A. scopriva di essere positiva al virus HCV ma, in mancanza di altri elementi atti a farle ricondurre il contagio all’unica trasfusione, solo nel 1999, a seguito del clamore mediatico suscitato dal propagarsi di casi di contagio di HCV da trasfusioni, presentò domanda alla Commissione Medico Ospedaliera per ottenere la corresponsione dell’indennizzo di cui alla L. n. 210 del 1992, e nel 2002 agì in giudizio per il risarcimento dei danni dapprima nei confronti della ASL, e successivamente, estendendo la domanda di responsabilità extracortrattuale nei confronti del Ministero, il 12.8.2003.

3. il giudizio veniva iniziato a S. Maria Capua Vetere, riassunto a Napoli a seguito della incompetenza territoriale determinata dalla chiamata in causa del Ministero in ragione della sussistenza del foro erariale, si interrompeva per morte dell’ A. e veniva proseguito dalle figlie. Perveniva alta decisione in primo grado nel 2013 con l’accoglimento della domanda risarcitoria per oltre 300.000,00 Euro. Il tribunale rigettava l’eccezione di prescrizione del Ministero facendo decorrere la prescrizione dalla presentazione della domanda amministrativa di cui alla L. n. 210 del 1992.

4. La corte d’appello, come si è detto, riteneva la domanda prescritta collegando il decorso della prescrizione dalla data diversa e antecedente, risalente al 1991, di conoscenza del referto di laboratorio.

5. I due motivi possono essere trattati congiuntamente in quanto connessi, e sono fondati. Con essi le ricorrenti denunciano la violazione ci numerose norme di legge (artt. 2697,2727,2729,2934,2935,2946 e 2947 c.c.) per aver la corte d’appello esplicitamente rifiutato di conformarsi ai precedenti di legittimità in tema di exoraium praescriptionis, ritenendo sintomatico di una completa diagnosi di epatite il solo referto di positività sierologica all’HCV del 1991, e ritenendo che la vittima, all’epoca avrebbe potuto e dovuto collegare il contagio alla trasfusione subita usando l’ordinaria diligenza.

Il ricorso è fondato, essendosi la corte d’appello discostata, senza una convincente motivazione in ordine alla preferibilità di una diversa soluzione, all’orientamento consolidato nella giurisprudenza di legittimità in tema di exordium praescriptionis che non può essere fatto decorrere da un momento antecedente a quello in cui possa ritenersi conseguita, o conseguibile con l’ordinaria diligenza in capo alla vittima, la riconducibilità causale della malattia alla sua causa scatenante, e quindi ai possibili responsabili (v. sul punto, recentemente, Cass. n. 2789 del 2019, Cass. n. 33169 del 2018, Cass. n. 13745 del 2018, Cass. n. 22045 del 2017).

Va in particolare richiamato il principio di diritto espresso da Cass. n. 13745 del 2018: “Il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da parte di chi assume di aver contratto per contagio da emotrasfusioni una malattia per fatto doloso o colposo di un terzo decorre dal giorno in cui tale malattia venga percepita – o possa essere percepita usando l’ordinaria diligenza e tenendo conto della diffusione delle conoscenze scientifiche – quale danno ingiusto conseguente al comportamento del terzo. Incorre, pertanto, in un errore di sussunzione e, dunque, nella falsa applicazione dell’art. 2935 c.c., il giudice di merito che, ai fini della determinazione della decorrenza del termine di prescrizione, ritenga tale conoscenza conseguita o, comunque, conseguibile, da parte del paziente, pur in difetto di informazioni idonee a consentirgli di collegare causalmente la propria patologia alla trasfusione. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto che la dichiarazione anamnestica con la quale il paziente privo di conoscenze mediche – rispondendo ad una non meglio identificata interrogazione del sanitario ed in mancanza di specifiche indicazioni nel referto circa la causa della malattia epatica diagnosticatagli aveva fatto riferimento ad una trasfusione a cui si era sottoposto quindici anni prima, non integrasse il presupposto, rilevante ai fini della decorrenza del termine di prescrizione, della percezione, da parte dello stesso paziente, della riconducibilità causale della patologia alla trasfusione).”.

Alla luce di tali principi il “fatto”, per come ricostruito dalla Corte territoriale, deve essere ricostruito in termini di percezione ed anche solo della percepibilità da parte della signora A. – in occasione della diagnosi di epatite C, del 1991 – della riconducibilità sul piano causale della malattia diagnosticatale alla trasfusione alla quale si era a suo tempo dovuta sottoporre e, dunque, ad un evento che poteva consentirle di individuare come responsabile il Ministero.

Se è ben vero che il dies a quo della prescrizione non può essere identificato, unitariamente e per tutti i soggetti che hanno subito il contagio, nel giorno della presentazione della domanda per la corresponsione dell’indennizzo, in quanto esso costituisce solo il momento ultimo di decorrenza inziale del termine di prescrizione, in corrispondenza del quale è ragionevole attendersi che il soggetto contagiato, proprio perchè si è attivato a richiedere l’indennizzo, disponga delle necessarie informazioni per ricondurre causalmente il contagio verificatosi all’evento scatenante, d’altro canto è sbagliato equiparare la mera diagnosi (nel nostro caso, di epatite c) alla consapevolezza in capo alla vittima della riferibilità di essa alla trasfusione, in mancanza di altri elementi e senza alcun ulteriore approfondimento riguardo al fatto se, in occasione della predetta diagnosi, la vittima fosse stata in qualche modo messa sull’avviso circa una qualche importanza, se non della rilevanza, della pregressa trasfusione, in relazione alla condizione che dopo l’anamnesi e la eventuale visita le si diagnosticò.

Nulla è dato sapere dalla sentenza impugnata, una volta comunicata la diagnosi, riguardo alla percepibilità da parte della A. della ascrivibilità della malattia diagnosticatale alla trasfusione. Ciò sarebbe potuto accadere solo se fossero state fornite dal sanitario nel referto informazioni atte a consentire all’interessata il collegamento con la causa della patologia o se ella fosse stata posta in condizione di assumere tali conoscenze. In mancanza di tali informazioni ha errato in iure la Corte territoriale a desumere dal dato dell’anamnesi l’acquisizione da parte della vittima della consapevolezza; essa, pur in mancanza di tali informazioni, sarebbe stata configurabile solo se l’ A. avesse avuto e si fosse dimostrato che avesse un livello di conoscenze mediche tali da porla in condizione di ricollegare la malattia diagnosticatale alla trasfusione. In tale ambito va sottolineato che la biopsia è precedente alla stessa L. n. 210 del 1992, con le necessaria ricadute:n termini di conoscibilità della patologia e della sua riconducibilità alla trasfusione.

Va quindi ribadito che la consapevolezza idonea a far decorrere il termine di prescrizione è da apprezzarsi tenendo conto che per il quivis de populo il naturale mediatore della conoscibilità della riconducibilità, allorquando non si dimostri una sua particolare attitudine ad acquisirla, non può che essere l’indicazione del medico e, pertanto, di norma, deve ritenersi che occorra che il collegamento sia frutto di tale specifica indicazione. Del tutto centrate sulla peculiarità del caso concreto e pertanto, non contrastante è Cass. n. 18521 del 2018.

5. Il ricorso va pertatIto accolto, la sentenza cassata e la causa rinviata alla Corte d’Appello di Napoli in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese, affinchè si uniformi al principio di diritto sopra enunciato.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Napoli in diversa composizione anche per le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di cassazione, il 11 aprile 2019.

Depositato in cancelleria il 27 settembre 2019

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