LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Antonio – Presidente –
Dott. BERRINO Umberto – rel. Consigliere –
Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –
Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –
Dott. GHINOY Paola – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 4-2014 proposto da:
VANITA’ S.R.L. IN LIQUIDAZIONE, C.F. *****, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ANAPO 20, presso lo studio dell’avvocato CARLA RIZZO, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati FABRIZIO DOMENICO MASTRANGELI, FRANCESCO DEL CIONDOLO;
– ricorrente –
contro
I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F.
*****, in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A.
Società di Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S. C.F. *****, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli avvocati ANTONINO SGROI, LELIO MARITATO, ESTER ADA SCIPLINO, CARLA D’ALOISIO;
– controricorrenti –
e contro
EQUITALIA CENTRO S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato MARIA GIOVANNA GALLIGARI;
– resistente con mandato –
avverso la sentenza n. 100/2013 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA, depositata il 17/08/2013, r.g.n. 2/2012.
RILEVATO
che:
Il Tribunale di Perugia, pronunziando sull’opposizione proposta dalla società Vanità s.r.l. avverso l’iscrizione a ruolo di somme per contributi e sanzioni concernenti rapporti lavorativi di addetti ad un punto vendita di ***** considerati dall’Inps di natura subordinata, nonostante la loro formale qualificazione di contratti di associazione in partecipazione, rigettò l’opposizione sulla base del rilievo che i motivi dedotti a suo sostegno riguardavano la situazione di altri soggetti impiegati nei diversi punti vendita di *****;
la Corte d’appello di Perugia, investita dall’impugnazione della predetta società, ha rigettato il gravame (sentenza del 17.8.2013) dopo aver rilevato che correttamente il Tribunale aveva respinto l’opposizione, in quanto questa faceva riferimento a posizioni lavorative dei punti vendita di *****, mentre il credito iscritto a ruolo dall’Inps riguardava la situazione dei contributi relativi al personale operante nel diverso punto vendita di *****, differente situazione, questa, ribadita dalla difesa dell’Istituto di previdenza in sede di costituzione nel giudizio di opposizione;
per la cassazione della sentenza ricorre la società s.r.l. Vanità in liquidazione con quattro motivi, illustrati da memoria;
resiste con controricorso l’Inps, mentre Equitalia Centro spa deposita memoria di costituzione.
CONSIDERATO
che:
1. col primo motivo la ricorrente denunzia quanto segue: violazione e falsa applicazione della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3; violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7; violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24; violazione e falsa applicazione del D.M. Finanze 28 giugno 1999; violazione del D.M. Finanze 3 settembre 1999, n. 321;
attraverso tale motivo la ricorrente pone in evidenza che i rapporti associativi da essa trattenuti erano stati oggetto di tre pronunce del Tribunale di Perugia che si era espresso nel senso della piena genuinità di tali rapporti e che la stessa Corte d’appello perugina aveva già confermato due di tali decisioni, una delle quali era passata anche in giudicato; quindi, la ricorrente si duole del fatto che rapporti associativi tra loro identici erano stati giudicati in maniera opposta dallo stesso organo giudiziario; inoltre, attraverso l’emissione di una cartella esattoriale assolutamente generica risultavano violate anche le citate disposizioni ministeriali contenenti precise regole sul contenuto minimo della cartella e sul modo di costituzione dei ruoli;
2. col secondo motivo, dedotto per violazione e falsa applicazione dell’art. 244 c.p.c., si censura la parte della decisione in cui la Corte di merito ha affermato che la società non poteva più porre in discussione i presupposti di fatto dei verbali ispettivi perchè nel ricorso in opposizione si erano contestate le risultanze delle conclusioni cui era pervenuto l’Inps in relazione ai rapporti associativi in Perugia, mentre la cartella riguardava il punto vendita di *****, per cui non potevano trovare spazio le prove testimoniali delle quali la difesa della ricorrente aveva chiesto l’ammissione; assume, invece, la ricorrente che tale decisione è illegittima in quanto i capitoli di prova articolati riguardavano in maniera indistinta tutti gli associati dei svariati punti vendita con cui era organizzata la sua attività societaria;
3. col terzo motivo, formulato per violazione e falsa applicazione dell’art. 2094 c.c., art. 2549 c.c. e segg., nonchè dell’art. 112 c.p.c. e art. 111 Cost., la ricorrente assume che la sentenza impugnata è illegittima, con evidenti lacune motivazionali, nella parte in cui è stata disconosciuta la genuinità dei rapporti associativi del negozio di ***** affermandosi erroneamente che tali rapporti avevano, in realtà, natura subordinata, quando, al contrario, era stato ben evidenziato che le parti avevano voluto concludere solo un contratto di associazione in partecipazione; si aggiunge che la stessa Corte d’appello, con la sentenza n. 96/13, resa fra le stesse parti del presente giudizio e relativa a rapporti associativi analoghi a quelli oggetto di causa, aveva, invece, affermato che i rapporti di cui trattasi non potevano essere qualificati in alcun modo come di natura subordinata;
4. col quarto motivo, proposto per violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., art. 111 Cost. e art. 132 c.p.c., si sostiene che la sentenza impugnata è altresì illegittima nella parte in cui la decisione è basata sui soli accertamenti ispettivi, senza che sia stato dato spazio ad altro incombente istruttorio;
5. i quattro motivi, che per ragioni di connessione possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati, in quanto non scalfiscono la “ratio decidendi” sulla quale è incentrata l’impugnata sentenza, vale a dire la ravvisata prospettazione di questioni di merito attinenti a posizioni lavorative realizzatesi nei diversi punti vendita di Perugia rispetto a quello di *****, in relazione al quale fu invece eseguito l’accertamento ispettivo che diede origine al credito poi fatto iscrivere a ruolo dall’Inps;
6. al riguardo la Corte di merito ha anche precisato che era infondata la tesi dell’appellante, secondo la quale la cartella esattoriale non consentiva di comprendere che la contribuzione si riferisse ai lavoratori di *****, atteso che l’Inps, nel costituirsi in giudizio, aveva enunciato espressamente le ragioni del proprio credito, per cui la ricorrente avrebbe potuto chiedere alla prima udienza successiva di essere rimessa nei termini per effettuare le contestazioni del caso, la qual cosa non era però avvenuta; comunque, ha aggiunto la Corte di merito, la pretesa dell’Inps non era affatto incomprensibile, in quanto dal contenuto della cartella, così come riportato nell’atto di opposizione, si evincevano i diversi periodi cui si riferivano gli importi dei contributi, periodi ed importi che erano identici a quelli riportati negli allegati al verbale ispettivo riguardante precisamente il punto vendita di *****, per cui la società era stata messa in grado di comprendere sin dall’inizio le effettive ragioni della pretesa dell’istituto previdenziale;
7. in ogni caso, secondo la Corte territoriale, le doglianze concernenti la qualificazione dei rapporti operata dal Tribunale potevano astrattamente aver rilievo solo nella parte in cui attenevano a questioni giuridiche, ogni contestazione di fatto essendo preclusa alla società per effetto della mancata contestazione nel ricorso in opposizione, e, comunque, le stesse erano infondate, avendo il primo giudice tratto le esatte conseguenze dalle circostanze di fatto note, una volta appurata la reale natura subordinata dei rapporti di lavoro di cui trattasi;
8. in particolare, con argomentazione in punto di fatto adeguatamente motivata ed immune da vizi logici o giuridici, la Corte territoriale ha evidenziato che in sede ispettiva era stato accertato che i lavoratori per cui è causa non ricevevano rendiconto, elemento, quest’ultimo, rappresentante uno dei principali tratti caratterizzanti l’associazione in partecipazione; inoltre, dalle dichiarazioni dei lavoratori raccolte in quella sede era emersa una realtà caratterizzata dall’osservanza di un orario di lavoro, dalla necessità di un’autorizzazione aziendale per le ferie, dall’esistenza di disposizioni specifiche per l’espletamento delle mansioni – trasmesse anche tramite ordini di servizio – e dall’attuazione, in qualche caso, di forme di reprimenda, tutti elementi, questi, che denotavano l’eterodirezione della prestazione, l’assoggettamento dei lavoratori al potere gerarchico dell’impresa ed il loro pieno inserimento nell’organizzazione aziendale;
9. tra l’altro, è anche corretto il significativo rilievo conferito dalla Corte di merito alle conseguenze derivanti dalla riscontrata mancanza di un obbligo di rendiconto, posto che si è al riguardo avuto occasione di precisare (Cass. Sez. Lav. n. 1692 del 29.1.2015) che “La riconducibilità del rapporto di lavoro al contratto di associazione in partecipazione con apporto di prestazione lavorativa da parte dell’associato ovvero al contratto di lavoro subordinato con retribuzione collegata agli utili, esige un’indagine del giudice di merito volta a cogliere la prevalenza, alla stregua delle modalità di attuazione del concreto rapporto, degli elementi che caratterizzano i due contratti, tenendo conto, in particolare, che, mentre il primo implica l’obbligo del rendiconto periodico dell’associante e l’esistenza per l’associato di un rischio di impresa, il secondo comporta un effettivo vincolo di subordinazione più ampio del generico potere dell’associante di impartire direttive e istruzioni al cointeressato, con assoggettamento al potere gerarchico e disciplinare di colui che assume le scelte di fondo dell’organizzazione aziendale”;
10. sono, inoltre, inammissibili le censure attraverso le quali, sotto l’apparente denunzia di vizi di violazione di legge, la ricorrente tenta, in realtà, di sindacare le scelte istruttorie o le valutazioni di merito della Corte territoriale allorquando la stessa ha operato la qualificazione dei rapporti di lavoro di cui trattasi sulla base degli atti di causa con motivazione congrua e sottratta ai rilievi di legittimità, così come sono inconferenti le censure attraverso le quali vengono richiamati gli esiti dei procedimenti riguardanti gli accertamenti giudiziali che hanno avuto ad oggetto l’esame delle posizioni lavorative di punti vendita diversi da quello del presente giudizio;
10. in definitiva il ricorso va rigettato; le spese del presente giudizio seguono la soccombenza della ricorrente e vanno liquidate come da dispositivo; ricorrono i presupposti per la condanna della soccombente al pagamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese nella misura di Euro 8.200,00, di cui Euro 8.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 29 aprile 2019.
Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2019
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