Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Sentenza n.24375 del 30/09/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 9072-2016 proposto da:

F.M.A.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIUSEPPE FERRARI 12, presso lo studio dell’avvocato SERGIO SMEDILE, rappresentato e difeso dall’avvocato GIUSEPPE CALDAROLA;

– ricorrente –

contro

A.L.E.R. – AZIENDA LOMBARDA EDILIZIA RESIDENZIALE DI MLANO, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FEDERICO CONFALONIERI 5, presso lo studio dell’avvocato LUIGI MANZI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato GRAZIA CAPILLI;

– controricorrente –

e contro

FALLIMENTO ***** S.R.L. IN LIQUIDAZIONE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 335/2015 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 13/11/2015 R.G.N. 139/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18/06/2019 dal Consigliere Dott. LUCIA TRIA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SANLORENZO Rita, che ha concluso per l’accoglimento del primo motivo del ricorso;

udito l’Avvocato SERGIO SMEDILE, per delega verbale Avvocato GIUSEPPE CALDAROLA;

udito l’Avvocato CARLO ALBINI per delega Avvocato LUIGI MANZI.

FATTI DI CAUSA

1. La sentenza attualmente impugnata (depositata il 13 novembre 2015) in accoglimento dell’appello della ALER – Azienda Lombarda Edilizia Residenziale di Milano avverso la sentenza n. 710/2014 del Tribunale di Bergamo, revoca il decreto ingiuntivo opposto dall’Azienda e rigetta la domanda proposta dal F.M.A.S. nei confronti dell’appellante.

La Corte d’appello di Brescia, per quel che qui interessa, precisa che:

a) è pacifico che il lavoratore, dipendente dell’impresa ***** s.r.l., abbia lavorato presso un cantiere in ***** in esecuzione del contratto di appalto n. ***** di cui era committente la ALER, acquisito dalla datrice di lavoro per effetto del subentro alla originaria appaltatrice TIECI s.r.l. ed è anche incontestato che il 12 aprile 2013 la committente ha risolto il suddetto contratto per ritardi e carenze esecutive della *****;

b) con decreto n. 1158/2013 è stato ingiunto alla ALER il pagamento di una somma complessiva a titolo di competenze retributive non corrisposte al dipendente da agosto 2012 a marzo 2013;

c) il Tribunale di Bergamo ha respinto l’opposizione al suddetto decreto ingiuntivo proposta dalla ALER affermando l’applicabilità all’Azienda del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, comma 2, trattandosi di ente pubblico di natura economica dotato di personalità giuridica non ricompreso quindi nell’elenco tassativo delle pubbliche amministrazioni di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 1, comma 2;

d) la ALER, in appello, ha sostenuto l’inapplicabilità nei propri confronti della responsabilità solidale di cui al citato art. 29, ponendo l’accento sulla assoggettabilità dei contratti di appalto da essa conclusi al codice degli appalti pubblici;

e) l’appellante ha anche invocato l’applicazione dei principi affermati da Cass. n. 15432 del 2014;

f) in effetti come sostenuto dall’appellante il suindicato art. 29, comma 2, non può applicarsi nei confronti della ALER in base della citata sentenza della Corte di cassazione secondo cui l’elemento che porta alla suddetta inapplicabilità non è tanto la natura dell’ente (economico o meno) quanto il suo assoggettamento al codice degli appalti pubblici, salvo restando il possibile ricorso agli specifici strumenti previsto da tale codice a garanzia dei crediti retributivi e contributivi dei lavoratori che possono consentire ai dipendenti di ottenere direttamente dalla PA committente quanto dovuto, in corso d’opera;

g) anche se la ALER è un ente pubblico economico dotato di personalità giuridica e di autonomia, come indicato anche dalla L.R. Lombardia n. 27 del 2009, art. 11 (richiamato dal primo giudice) è indubbio che questa natura non incida sulla qualificazione dell’Azienda come “organismo di diritto pubblico” la cui azione contrattuale è disciplinata dal codice degli appalti pubblici (D.Lgs. n. 163 del 2006, ex art. 3, comma 26);

h) deve essere, infine, osservato che l’elencazione di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 1, comma 2, va letta “in senso dinamico” e ciò comporta che in essa deve farsi rientrare anche l’attuale ALER (“organismo di diritto pubblico”), visto che nell’elenco erano ricompresi i vecchi Istituti autonomi di case popolari;

i) quanto alla tutela prevista dall’art. 1676 c.c., sicuramente applicabile nei confronti delle Pubbliche Amministrazioni, va osservato che il presupposto indefettibile di tale applicazione nella specie è carente visto che le risultanze processuali portano ad escludere che, all’epoca della domanda avanzata dal lavoratore con il ricorso monitorio (settembre 2013), la ALER avesse un debito nei confronti della società *****, datrice di lavoro del dipendente (e nel frattempo fallita);

l) infatti, la ALER aveva in precedenza risolto il contratto di appalto con tale impresa ad aprile 2013 e poco dopo ha contrapposto a quanto ancora dovuto alla ***** (mai rivendicato dall’interessata) i propri, ben più cospicui, crediti per penali, completamento dei lavori non finiti, risarcimento dei danni per quelli male eseguiti.

2. Il ricorso di F.M.A.S., illustrato da memoria, domanda la cassazione della sentenza per tre motivi; resiste, con controricorso, la ALER – Azienda Lombarda Edilizia Residenziale di Milano.

3. In seguito a rinvio a nuovo ruolo la discussione della causa stata nuovamente fissata per l’odierna udienza.

4. In prossimità della presente udienza anche la ALER ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c.

RAGIONI DELLA DECISIONE

I – Profili preliminari.

1. Preliminarmente va respinta l’eccezione della controricorrente ALER di inammissibilità del ricorso ex art. 360-bis c.p.c., n. 1, , sull’assunto secondo cui sentenza impugnata è conforme alla giurisprudenza di legittimità e, in particolare, alla richiamata Cass. n. 15432 del 2014 e il ricorrente non offre argomenti validi per modificare il suddetto indirizzo.

Deve essere, infatti, precisato che, per costante orientamento di questa Corte, le situazioni di inammissibilità indicate nell’art. 360 bis c.p.c., comma 1, non integrano dei nuovi motivi di ricorso accanto a quelli previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, in quanto sono state configurate dal legislatore come strumenti utili alla specifica funzione di “filtro”, dei ricorsi per cassazione di agevole soluzione, sicchè sarebbe contraddittorio trarne la conseguenza di ritenere ampliato il catalogo dei vizi denunciabili (vedi, per tutte: Cass. 29 ottobre 2012, n. 18551; Cass. 8 aprile 2016, n. 6905).

1.1. In particolare, quanto all’ipotesi di cui all’art. 360-bis c.p.c., n. 1 – che viene qui in considerazione – le Sezioni Unite di questa Corte hanno precisato che la funzione di filtro dell’ipotesi di inammissibilità prevista dalla disposizione consiste nell’esonerare la Corte dall’esprimere compiutamente la sua adesione al persistente orientamento di legittimità, così consentendo una più rapida delibazione dei ricorsi “inconsistenti” (Cass. SU 21 marzo 2017, n. 7155).

1.2. Il presente ricorso non risponde a tale schema, tanto più che la fattispecie esaminata dall’indicata sentenza n. 15432 del 2014 è diversa da quella di cui si discute nel presente giudizio, come si dirà in seguito (spec. punto 6).

II – Sintesi dei motivi di ricorso.

2. Il ricorso è articolato in tre motivi.

2.1. Con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, erronea e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 1, comma 2, e del D.L. n. 76 del 2013, art. 9 sbagliata configurazione della ALER come Pubblica Amministrazione.

Si sostiene che la ALER – ente pubblico di natura economica non compreso nell’elenco di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 1 – non rientra tra le Pubbliche Amministrazioni alle quali non si applica il D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29.

2.2. Con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, insufficiente e contraddittoria motivazione con riguardo al mancato riconoscimento della legittimità ed esperibilità dell’azione ex art. 1676 c.c., omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti.

2.3. Con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c. per essere stata respinta l’eccezione del ricorrente di inammissibilità della produzione della controparte, nel corso del giudizio di appello, del provvedimento DIGE/14/840 del 23 dicembre 2014 dal quale la Corte d’appello ha tratto elementi per affermare l’insussistenza del credito della società ***** verso la committente dei lavori in appalto.

III – Esame delle censure.

3. L’esame del ricorso porta all’accoglimento del primo motivo e alla dichiarazione di assorbimento degli altri due motivi.

4. Con il primo motivo, come si è detto, si contesta la statuizione con la quale la Corte d’appello ha affermato che la ALER rientra tra le Pubbliche Amministrazioni – elencate nel D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 1, comma 2, alle quali non si applica il D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29.

5. Tale statuizione, nella sentenza impugnata, si basa sui seguenti argomenti:

a) condivisione della tesi prospettata in appello dalla ALER, dell’inapplicabilità nei propri confronti della responsabilità solidale di cui al citato art. 29, derivante dalla assoggettabilità dei contratti di appalto da essa conclusi al codice degli appalti pubblici;

b) fondamento di tale tesi nei principi affermati da Cass. n. 15432 del 2014, nella quale – come sostenuto dalla ALER – l’elemento determinante per la suddetta inapplicabilità non sarebbe stato considerato la natura dell’ente (economico o meno) quanto il suo assoggettamento al codice degli appalti pubblici, salvo restando il possibile ricorso agli specifici strumenti previsti da tale codice a garanzia dei crediti retributivi e contributivi dei lavoratori che possono consentire ai dipendenti di ottenere direttamente dalla PA committente quanto dovuto, in corso d’opera;

c) anche se la ALER è un ente pubblico economico dotato di personalità giuridica e di autonomia, come indicato anche dalla L.R. Lombardia n. 27 del 2009, art. 11 (richiamato dal primo giudice) è indubbio che questa natura non incida sulla qualificazione dell’Azienda come “organismo di diritto pubblico” la cui azione contrattuale è disciplinata dal codice degli appalti pubblici (D.Lgs. n. 163 del 2006, ex art. 3, comma 26);

d) infine, l’elencazione di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 1, comma 2, deve essere letta “in senso dinamico”, il che comporta che in essa deve farsi rientrare anche l’attuale ALER (“organismo di diritto pubblico”), visto che nell’elenco figurano i vecchi Istituti autonomi di case popolari;

6. Tale statuizione e gli argomenti su cui essa si basa non sono condivisibili.

6.1. In primo luogo deve essere chiarito che – come si è accennato sopra (vedi punto 1.1) – la fattispecie esaminata dall’indicata sentenza 7 luglio 2014, n. 15432 è diversa da quella di cui si discute nel presente giudizio, anche se in la questione centrale in entrambi i casi riguarda l’ambito di applicabilità soggettiva del D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, art. 29, comma 2, (Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla L. 14 febbraio 2003, n. 30), disposizione che, fin dalla sua originaria versione – molte volte modificata nel corso del tempo, ma senza intaccare il principio di base – ha introdotto nel nostro ordinamento il principio della responsabilità solidale fra committente e appaltatore in ordine alla corresponsione ai lavoratori dei trattamenti retributivi e dei contributi previdenziali dovuti, solidarietà che la Legge Finanziaria 2007 (L. 27 dicembre 2006, n. 296), art. 1, comma 911, ha esteso, ai trattamenti retributivi e previdenziali dovuti ai dipendenti anche di ciascuno degli eventuali ulteriori subappaltatori, così ulteriormente rafforzando la tutela dei lavoratori.

6.2. Tuttavia, la questione applicativa della suddetta norma esaminata nella sentenza n. 15432 del 2014 è del tutto diversa rispetto a quella che deve essere esaminata nel presente giudizio.

6.3. Infatti, nel caso deciso dalla citata sentenza si trattava di stabilire se la responsabilità solidale tra committente e appaltatore e, quindi, gli obblighi posti in capo al committente dall’art. 29, comma 2, cit. potessero valere anche negli appalti pubblici nei quali il ruolo di committente sia di ente da configurare – pacificamente – come Pubblica Amministrazione, quale, in quel caso, il Ministero della Giustizia.

E tale questione è stata risolta nel senso dell’inapplicabilità, ponendosi l’accento – oltre che sull’ordinanza della Corte costituzionale n. 5 del 2013, che nella specie veniva in considerazione (mentre non interessa nel presente giudizio) e sulla pacifica applicabilità dell’art. 1676 c.c. anche ai contratti di appalto delle Pubbliche Amministrazioni – sui seguenti ulteriori elementi:

a) il D.L. 28 giugno 2013, n. 76, art. 9, comma 1, (convertito dalla L. 9 agosto 2013, n. 99) – non applicabile ratione temporis alla fattispecie all’epoca esaminata, ma comunque utilizzato ai fini interpretativi – che, fra l’altro, ha espressamente stabilito: “Le disposizioni di cui al D.Lgs. n. 10 settembre 2003, n. 276, art. 29, comma 2, e successive modificazioni…. non trovano applicazione in relazione ai contratti di appalto stipulati dalle Pubbliche Amministrazioni di cui al D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 1, comma 2”;

b) la non paragonabilità – ai sensi dell’art. 3 Cost. – della situazione delle Pubbliche Amministrazioni committenti rispetto a quella dei committenti privati, confermata dalla previsione di un’apposita e articolata disciplina per le PA committenti, nel cui ambito è espressamente inclusa una normativa di tutela dei lavoratori occupati negli appalti o subappalti intercorsi con committenti pubblici, che offre loro specifici strumenti che, se attivati nei tempi e nei modi prescritti, consentono agli interessati di avere direttamente dall’Amministrazione committente il pagamento delle retribuzioni dovute dal loro datore di lavoro anche in corso d’opera e che, al contempo, può consentire alla PA committente di applicare le opportune sanzioni (se crede) al datore di lavoro inadempiente ed ottenere un ristoro pieno del proprio credito per le retribuzioni corrisposte ai lavoratori;

c) la finalizzazione di tale speciale normativa prevista nell’ambito della disciplina in materia di appalti pubblici a sanzionare in modo più efficace, rispetto agli appalti privati, il mancato pagamento delle retribuzioni dei lavoratori essendo tale condotta considerata, dal legislatore, più grave dell’analogo comportamento posto in essere nell’ambito di un appalto privato, perchè la questione non riguarda solo i lavoratori, ma anche l’appaltatore inadempiente, nel suo rapporto con il committente pubblico; infatti, negli appalti pubblici il disvalore dello scorretto comportamento tenuto dal datore di lavoro – in violazione del principio di cui all’art. 36 Cost. – non ha rilievo soltanto nel rapporto interno tra privati, ma comporta anche la lesione degli interessi pubblici alla cui migliore perseguimento è preordinata la complessiva disciplina regolatrice degli appalti pubblici.

6.4. Ne consegue che, nell’anzidetta sentenza, non è certamente stato affermato il principio – riportato nella sentenza impugnata, in adesione alle argomentazioni della ALER – secondo cui l’elemento che porta alla suddetta inapplicabilità dell’art. 29, comma 2, cit. non è tanto la natura dell’ente economica o meno – quanto il suo assoggettamento al codice degli appalti pubblici, ma anzi si è fatto riferimento alla disciplina del codice stesso per precisare che la mancata applicabilità dell’art. 29, comma 2, cit. alle Pubbliche Amministrazioni – sancita in modo espresso dal sopravvenuto del D.L. 28 giugno 2013, n. 76, art. 9, comma 1, – non lascia senza tutele i lavoratori impiegati negli appalti e subappalti intercorsi con committenti pubblici perchè il pagamento delle loro retribuzioni è garantito da strumenti speciali, che, se attivati nei tempi e nei modi prescritti, possono essere molto efficaci (vedi, in tal senso: Cass. 10 ottobre 2016, n. 20327; Cass. 19 aprile 2018, n. 9741).

6.5. Neppure, nella suddetta sentenza, è stato affermato – nè da essa può desumersi – che a tutte le Amministrazioni pubbliche e agli enti cui si applica il codice dei contratti pubblici – indicati, all’epoca della pronuncia, nel D.P.R. n. 5 ottobre 2010, n. 207, art. 3, comma 1, lett. b), e oggi nel D.Lgs. n. 18 aprile 2016, n. 50, art. 3 (Codice di contratti pubblici), come modificato dal D.Lgs. 19 aprile 2017, n. 56 – per tale esclusiva ragione non si applica il D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, comma 2.

Anzi nella sentenza stessa, pure attraverso il richiamo al D.L. 28 giugno 2013, n. 76, art. 9, comma 1, – il cui testo è univoco – si è considerato scontato che la suddetta inapplicabilità può riguardare esclusivamente i contratti di appalto stipulati dalle Pubbliche Amministrazioni di cui al D.Lgs. n. 30 marzo 2001, n. 165, art. 1, comma 2.

Peraltro, come si è detto, non era questo il problema che la Corte è stata chiamata a risolvere con la suindicata sentenza, visto che era ricorrente il Ministero della Giustizia, la cui qualità di Pubblica Amministrazione è indubitabile.

7. Nel presente giudizio, invece, la principale questione controversa riguarda proprio l’interpretazione del combinato disposto del suindicato D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 1, comma 2, insieme con il D.L. n. 76 del 2013, art. 9, comma 1 e con l’art. 29, comma 2, cit., onde stabilire se la ALER possa rientrare tra gli enti committenti di appalti pubblici che sono sottratti all’applicazione del regime di solidarietà previsto dall’art. 29, comma 2, pur non essendo una Pubblica Amministrazione.

Si tratta, quindi, di una questione per la cui soluzione è essenziale la definizione della natura della ALER, committente dell’appalto in oggetto, mentre dalla menzionata sentenza n. 15432 del 2014 può trarsi esclusivamente conferma del principio – oggi esplicitamente affermato dal legislatore – secondo cui alle Pubbliche Amministrazioni indicate D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 1, comma 2, non si applica l’art. 29, comma 2, cit. Nulla altro.

8. Con riguardo a tale specifica problematica, nella sentenza oggi impugnata sono contenute due principali statuizioni:

a) anche se la ALER è un ente pubblico economico dotato di personalità giuridica e di autonomia, come indicato anche dalla L.R. Lombardia n. 27 del 2009, art. 11 è indubbio che questa natura non incida sulla qualificazione dell’Azienda come “organismo di diritto pubblico” la cui azione contrattuale è disciplinata dal codice degli appalti pubblici (si cita il D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 3, comma 26);

b) l’elencazione di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 1, comma 2, va letta “in senso dinamico” e ciò comporta che in essa deve farsi rientrare anche la attuale ALER (“organismo di diritto pubblico”), visto che l’elenco ricomprende anche i vecchi Istituti autonomi di case popolari.

9. Entrambe tali affermazioni non sono condivisibili per le seguenti ragioni.

9.1. In primo luogo deve essere ricordato che, come di recente sottolineato dalla Corte costituzionale (sentenze n. 27 e n. 254 del 2017), l’art. 29, comma 2, cit. è una disposizione che prevede una responsabilità del committente – solidale con quella dell’appaltatore e di eventuali subappaltatori, ma rispetto a questi ultimi soltanto nel limite, decadenziale, di due anni dalla cessazione dell’appalto – per i crediti ivi indicati, che è di carattere eccezionale rispetto alla disciplina ordinaria della responsabilità civile – che esige di correlarsi alla condotta di un soggetto determinato – e che è diretta “ad evitare il rischio che i meccanismi di decentramento, e di dissociazione fra titolarità del contratto di lavoro e utilizzazione della prestazione, vadano a danno dei lavoratori impiegati in appalti di opere o di servizi”.

Data la finalità della norma – posta a tutela di diritti fondamentali dei lavoratori, che trovano riscontro anche in norme costituzionali, a partire dall’art. 36 Cost. – le ipotesi di non applicazione devono essere limitate e giustificate dalla presenza di altri interessi di pari rango da tutelare – a partire da quelli di cui all’art. 97 Cost. – per tale ragione il legislatore e la giurisprudenza hanno fatto riferimento, come unico criterio di possibile esclusione, alle Pubbliche Amministrazioni di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 1, comma 2, che stipulino contratti di appalto.

9.2. In tale ultima disposizione tra queste Amministrazioni sono compresi anche gli Istituti autonomi case popolari (IACP) – come rileva la Corte d’appello – ma questo non autorizza ad effettuare una lettura “in senso dinamico” della norma, che consenta di considerare ivi inclusa anche la attuale ALER di Milano, che pur non essendo una Pubblica Amministrazione tuttavia come “organismo di diritto pubblico” è assoggettata al Codice degli appalti pubblici.

Invero, la suddetta menzione degli IACP nell’art. 1, comma 2, cit. risale al D.Lgs. n. 29 del 1993 e il fatto che figuri anche nel testo attualmente vigente del D.Lgs. n. 165 del 2001 non può certamente portare alla conclusione cui è pervenuta la Corte d’appello, ma deve essere interpretato alla luce dell’evoluzione del settore.

9.3. Tale evoluzione ha comportato che – in attuazione del D.P.R. n. 24 luglio 1977, n. 616, artt. 13 e 93 e secondo i principi stabiliti dalla L. 8 giugno 1990, n. 142, per quanto di competenza – a partire dalla seconda metà degli anni ‘90 sono state emanate dalle Regioni specifiche normative, che, riformando il settore dell’edilizia residenziale pubblica, hanno determinato prevalentemente la trasformazione degli enti pubblici preesistenti in enti economici con l’istituzione di una molteplicità di enti riformati, cui sono state attribuite svariate denominazioni (Aziende, Agenzie etc.) e molteplici configurazioni, tutte dirette a porre in risalto il nuovo ruolo imprenditoriale loro attribuito (vedi, sul punto: Cass. 6 febbraio 2014, n. 2756 per una ricognizione dell’assetto costituzionale della complessa materia della “edilizia residenziale pubblica”, in cui si inserisce l’attività svolta dagli IACP e dagli altri enti o strutture che li hanno sostituiti, come l’Azienda attualmente ricorrente; vedi anche: Cass. 4 marzo 2016, n. 4275; Cass. 25 febbraio 2019, n. 5429).

Il descritto processo evolutivo, peraltro, è stato caratterizzato anche dalla persistenza, in alcune Regioni o Comuni, di enti che hanno mantenuto la denominazione di IACP e sono configurati come enti pubblici non economici strumentali rispetto alla Regione di appartenenza che ne esercita la vigilanza e il controllo (ad esempio in Campania solo con la L.R. 18 gennaio 2016, n. 1 è stato disposta l’istituzione dell’ACER – Agenzia Campana per l’Edilizia Residenziale, disciplinando il contestuale riordino degli IACP, destinati ad essere incorporati nella neo istituita Agenzia e anche in altre Regioni e/o Comuni persistono enti denominati IACP).

Inoltre, va tenuto presente che da sempre la materia dell’edilizia residenziale pubblica è caratterizzata dall’intrecciarsi di competenze dell’apparato statale e delle amministrazioni regionali, al precipuo scopo di evitare squilibri e disparità nel godimento del diritto alla casa da parte delle categorie sociali disagiate (Corte Cost. sentenza n. 166 del 2008).

Questo, in particolare, si manifesta anche nella gestione del patrimonio immobiliare di edilizia residenziale pubblica di proprietà degli Istituti autonomi per le case popolari o degli altri enti che a questi sono stati sostituiti ad opera della legislazione regionale (Corte Cost. sentenze n. 94 del 2007 e n. 121 del 2010).

Tale peculiare situazione ha dato luogo a notevoli difficoltà per stabilire quanto, nei nuovi enti, sia rimasto pubblico e quanto invece sia privato.

E un indicatore considerato utile per valutare la “oscillazione” verso il privato – secondo FEDERCASA (vedi il relativo sito “internet” ufficiale, consultabile in questa sede Cass. 2 dicembre 2011, n. 25813 e Cass. 29 dicembre 2009, n. 27630) – è costituito dalla “possibilità per gli enti pubblici economici di partecipare o costituire società per l’esercizio dei compiti istituzionali o per altre attività imprenditoriali nel settore” (vedi Cass. n. 2756 del 2014 cit.).

9.4. Ovviamente l’indicata “commistione” tra pubblico e privato si rinviene anche per la ALER di Milano, attuale contro ricorrente.

Infatti, la L.R. Lombardia 4 dicembre 2009, n. 27, art. 11 (Testo unico delle leggi regionali in materia di edilizia residenziale pubblica) – che ha abrogato la L.R. 10 giugno 1996, n. 13 – dopo aver precisato che le ALER lombarde “sono enti pubblici di natura economica, dotati di personalità giuridica, di autonomia imprenditoriale e organizzativa, patrimoniale e contabile e di proprio statuto approvato dalla Regione”, aggiunge che, “le ALER per l’esercizio delle funzioni di verifica e controllo dei requisiti di accesso, permanenza e pagamento dei canoni di edilizia residenziale pubblica sono equiparate agli enti pubblici, anche ai fini della disciplina del trattamento dei dati”.

Inoltre, il successivo art. 12 delinea la particolare fisionomia delle ALER come operatori economici “speciali” in quanto:

a) al comma 1 attribuisce alle ALER “il compito di soddisfare il fabbisogno di edilizia residenziale pubblica, nel quadro della programmazione regionale, provinciale e comunale, anche mediante la realizzazione di attività imprenditoriali, purchè prevalentemente finalizzate a tale funzione sociale”;

b) e al comma 2 prevede che: “le ALER possono partecipare, previa autorizzazione della Giunta regionale, con altri soggetti pubblici e privati, consorzi di imprese ed associazioni, a società o ad altri enti che abbiano come oggetto attività inerenti all’edilizia, nel rispetto dell’ordinamento vigente. L’autorizzazione regionale determina i limiti delle attività, le modalità di rendicontazione della stessa e gli indirizzi di reimpiego nell’ambito delle finalità istituzionali dell’ente”, così dimostrando la presenza dell’elemento considerato da FEDERCASA come indicativo della “oscillazione verso il privato.

Si tratta però di una “oscillazione” che resta caratterizzata da profili pubblicistici in considerazione delle suddette finalità delle attività delle ALER, che comportano, in linea generale, la sottoposizione degli organi e degli atti delle Aziende alla vigilanza e al controllo della Giunta regionale (L.R. n. 27 del 2009, art. 24 cit.).

9.5. Viceversa, per quel che concerne il rapporto con i propri dipendenti, per la ALER di cui si tratta – così come per tutte le Aziende del settore cui è stata attribuita analoga configurazione – si è affermata la natura propriamente privatistica del rapporto, in quanto parallelamente alle anzidette trasformazioni degli enti, il loro personale dipendente è passato dal Comparto di contrattazione collettiva delle Regioni e Autonomie locali a quello degli Enti pubblici economici del settore dell’edilizia, cioè a quello dei Dipendenti delle aziende per l’edilizia residenziale pubblica aderenti a FEDERCASA (vedi, per le ALER lombarde, L.R. n. 27 del 2009, art. 25 cit.).

9.6. Le delineate caratteristiche dimostrano con tutta evidenza che la ALER di cui si tratta – al pari degli enti del settore aventi analoga configurazione – non può certamente essere esclusa dall’applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, comma 2, per molteplici ragioni:

a) la suddetta esclusione riguarda soltanto le Pubbliche Amministrazioni e certamente la ALER – come anche la Corte d’appello sembra riconoscere – non può essere così qualificata, ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2003, art. 1, comma 2;

b) la menzione degli Istituti autonomi case popolari nell’ambito del suddetto art. 1, comma 2, non può essere riferita agli enti del settore dell’edilizia residenziale pubblica che hanno abbandonato la configurazione squisitamente pubblicistica e si sono trasformati in enti economici di vario tipo cui sono state attribuite svariate denominazioni (Aziende, Agenzie etc.);

c) diversamente da quanto affermato dalla Corte territoriale, il fatto che alle ALER si applichi il Codice degli appalti pubblici, nella loro qualità di “organismi di diritto pubblico”, conferma che ad essi debba applicarsi anche l’art. 29, comma 2, cit.;

d) infatti, la qualificazione delle Aziende come enti pubblici economici dotati di personalità giuridica e di autonomia, diversamente da quanto afferma la Corte territoriale, insieme con le finalità pubblicistiche della relativa attività contrattuale, è determinante per la qualificazione delle Aziende come “organismi di diritto pubblico”, ai fini dell’applicazione del codice degli appalti ed anche del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, comma 2.

9.7. A tale ultimo riguardo va ricordato che la figura degli “organismi di diritto pubblico” è stata creata in ambito UE per dare risposta al fenomeno degli “smembramenti amministrativi” – sul tipo di quello verificatosi nel settore nazionale dell’edilizia residenziale pubblica – avutisi a partire dagli anni ‘90, caratterizzato dalla ampia e disorganica privatizzazione degli enti, da un lato, e dalla stessa ibridazione dei modelli di organizzazione amministrativa, dall’altro lato, con il conseguente prodursi di una situazione di incertezza, nella quale non sempre risultava chiaro quale dovesse essere il regime da applicare a determinati operatori del mercato.

A fronte del dilagare di apparati amministrativi di natura ibrida ed incerta, non riconducibili ai tradizionali schemi dell’organizzazione amministrativa italiana, la giurisprudenza della Corte di Giustizia UE – a partire dalla nota sentenza della 15 gennaio 1998, Mannesmann, C-44/96 – ha individuato nell’organismo di diritto pubblico la figura che poteva risolvere tali problematiche e garantire che i principi Europei e le regole dell’evidenza pubblica non fossero elusi (vedi, fra le tante: CGUE 10 novembre 1998, BFI Holding, C-360/96; CGUE 10 maggio 2001, Agorà c. Ente Autonomo Fiera Internazionale di Milano, C-223/99).

9.8. Sulla base dell’indicata giurisprudenza della Corte di Giustizia, la disciplina degli organismi di diritto pubblico ha poi trovato la propria naturale sedes materiae dapprima nelle direttive n. 17 e 18 del 2004 (recepite sul piano nazionale con il D.Lgs. n. 163 del 2006) e più di recente nelle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE del 26 febbraio 2014, il cui contenuto è stato pressochè fedelmente riprodotto nel vigente D.Lgs. n. 50 del 2016, art. 3 (Codice degli appalti pubblici).

In base a tale ultima disposizione, si intendono per:

“d) “organismi di diritto pubblico”, qualsiasi organismo, anche in forma societaria, il cui elenco non tassativo è contenuto nell’allegato IV:

1) istituito per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale;

2) dotato di personalità giuridica;

3) la cui attività sia finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico oppure la cui gestione sia soggetta al controllo di questi ultimi oppure il cui organo d’amministrazione, di direzione o di vigilanza sia costituito da membri dei quali più della metà è designata dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico”.

9.9. Come costantemente affermato dalla giurisprudenza nazionale dei Giudici amministrativi e di questa Corte possono essere considerati organismi di diritto pubblico anche enti soggettivamente connotati dalla forma privatistica, in quanto la mera forma non può, di per sè, essere idonea ad escludere la sostanziale ed oggettiva natura pubblicistica di un ente, ai suddetti fini (vedi, fra le prime: C.d.S., sez. VI, sentenza 20 maggio 1995, n. 498).

Di conseguenza, è stato precisato che le Aziende per l’edilizia residenziale – pubblica, qualificate dalla legislazione regionale di riferimento quali enti pubblici economici strumentali della Regione, dotati di personalità giuridica e di economia imprenditoriale, patrimoniale, finanziaria e contabile – come, nella specie, la ALER di Milano – si configurano comunque come “organismi di diritto pubblico”, poichè svolgono un servizio pubblico di interesse generale (vedi: Cass. SU 21 dicembre 1999, n. 916 e Cass. 20 giugno 2017, n. 15196), ferma restando la natura privatistica del rapporto con i propri dipendenti.

La natura di ente pubblico economico acquisita dagli enti comporta che essi possono ricorrere a strumenti di diritto privato per il raggiungimento delle finalità istituzionali cui sono preposti, ma anche che, quali “organismi di diritto pubblico”, essi sono assoggettati alla disciplina prevista dal Codice dei contratti pubblici, con ciò che ne consegue (Cass. 20 giugno 2017, n. 15196 e Cass. 2 dicembre 2016, n. 24640).

9.10. Ne deriva che la pacifica ricomprensione della ALER controricorrente tra gli “organismi di diritto pubblico” di cui si è detto conferma ulteriormente la loro non assimilabilità alle Pubbliche Amministrazioni, da nessun punto di vista, e, tanto meno, al fine della non applicabilità nei loro confronti del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, comma 2, posto a presidio di diritti fondamentali dei lavoratori impiegati – come l’attuale ricorrente – negli appalti pubblici (nello stesso senso, da ultimo: Cass. SU 8 luglio 2019, n. 18270).

IV – Conclusioni.

10. In sintesi, per le indicate ragioni, il primo motivo di ricorso deve essere accolto e questo comporta l’assorbimento degli altri due motivi.

La sentenza impugnata deve essere, quindi, cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Brescia, che si atterrà, nell’ulteriore esame del merito della controversia, a tutti i principi su affermati e quindi anche al seguente:

“con riferimento ai contratti d’appalto stipulati dalle Aziende per l’edilizia residenziale pubblica, qualora dette Aziende siano state qualificate dalla legislazione regionale di riferimento quali enti pubblici economici strumentali della Regione, dotati di personalità giuridica e di economia imprenditoriale, patrimoniale, finanziaria e contabile, esse, pur rientrando tra “organismi di diritto pubblico”, D.Lgs. n. 50 del 20116, ex art. 3 (Codice degli appalti pubblici) – perchè svolgono un servizio pubblico di interesse generale – non sono sottratte all’applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, comma 2 e s.m.i., in quanto in base al D.L. 28 giugno 2013, n. 76, art. 9, comma 1, (convertito dalla L. 9 agosto 2013, n. 99) le disposizione di cui al citato art. 29, comma 2, non trovano applicazione esclusivamente in relazione ai contratti di – appalto stipulati dalle Pubbliche Amministrazioni di cui al D.Lgs. n. 30 marzo 2001, n. 165, art. 1, comma 2".

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri. Cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Brescia, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione lavoro, il 18 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2019

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