LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DORONZO Adriana – Presidente –
Dott. LEONE Maria Margherita – Consigliere –
Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –
Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –
Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 17818-2018 proposto da:
M.A.L., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MORESE GERARDO;
– ricorrente –
contro
NAVITA SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in BARI, VIALE MAZZINI 73, presso lo studio dell’avvocato AUGUSTO VINCENZO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato D’ADDABBO ROBERTO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 399/2018 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 16/02/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 07/05/2019 dal Consigliere Relatore Dott. SPENA FRANCESCA.
RILEVATO
che con sentenza in data 8- 16 febbraio 2018 numero 399 la Corte d’Appello di Bari, giudice del reclamo L. n. 92 del 2012, ex art. 1, comma 58, e ss., confermava la sentenza del Tribunale di Foggia, che aveva respinto l’opposizione proposta da M.A.L. avverso la pronuncia della prima fase, che aveva dichiarato inammissibile l’impugnazione del licenziamento intimato al MASUCCI in data 11 dicembre 2014 dal datore di lavoro, NAVITA Srl, per decadenza dalla impugnazione stragiudiziale, ai sensi della L. n. 604 del 1966, art. 6;
che a fondamento della decisione la Corte territoriale osservava che correttamente il Tribunale aveva ritenuto superflua ogni attività istruttoria volta a superare la presunzione di conoscenza da parte del lavoratore della lettera di licenziamento, spedita con lettera raccomandata esitata per compiuta giacenza.
Il fatto che il lavoratore nel medesimo periodo avesse ricevuto altra corrispondenza proveniente dalla parte datoriale lasciava ritenere, che in quel periodo egli potesse ricevere la posta, contrariamente a quanto dedotto. Prive di rilievo erano le due denunce- querele allegate dall’istante: la prima in quanto risalente all’anno 2005, la seconda in quanto successiva ai fatti di causa di alcuni mesi.
Soltanto in sede di reclamo il lavoratore aveva chiesto di provare, attraverso l’amministratore del condominio, che nel dicembre 2014 e nel gennaio 2015 lo sportello della cassetta della posta era rotto e che egli si era attivato per farlo riparare: la richiesta di prova era tardiva ed inammissibile.
Le prove orali non erano indispensabili alla decisione; con il ricorso in opposizione l’istante aveva chiesto di provare il fatto della effrazione dello sportello della cassetta postale; per fronteggiare le conseguenze del danneggiamento della cassetta il M. avrebbe dovuto avanzare formale segnalazione a Poste Italiane spa.
Ma, soprattutto, egli non aveva dimostrato nè chiesto di dimostrare un fatto tale da spezzare il collegamento tra il luogo di recapito e la sua persona, come il fatto specifico del furto dell’avviso di giacenza della lettera raccomandata o, comunque, della corrispondenza;
che avverso la sentenza ha proposto ricorso M.A.L., articolato in un unico motivo, cui ha opposto difese la società NAVITA Srl con controricorso;
che la proposta del relatore è stata comunicata alle parti -unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale- ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..
CONSIDERATO
che con l’unico motivo la parte ricorrente ha dedotto- ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. nonchè vizio di motivazione in riferimento alla mancata ammissione dei mezzi istruttori.
Ha censurato la sentenza per non avere dato ingresso alle istanze istruttorie formulate in primo grado e ribadite nel reclamo.
Egli aveva articolato mezzi istruttori al fine di provare l’incolpevole mancata ricezione della lettera di licenziamento ed, in particolare: che la cassetta postale alla data di accesso dell’agente postale (11/12/2014) si presentava priva dello sportello di chiusura; che gli si era attivato per il ripristino.
Non si comprendeva il ragionamento logico-giuridico che aveva indotto la Corte territoriale a dubitare della circostanza ed a porre a suo carico un onere di segnalazione a Poste Italiane piuttosto che all’amministratore del condominio, per la sistemazione della cassetta postale. Stante la effrazione della cassetta postale, la raccomandata avrebbe dovuto essere restituita al mittente.
Quanto alla tardività della prova testimoniale indicata nel reclamo, il rigoroso sistema delle preclusioni nel rito del lavoro avrebbe dovuto trovare un temperamento nell’esigenza di ricerca della verità materiale, attraverso il potere-dovere del giudice di ammettere i nuovi mezzi di prova indispensabili alla decisione;
che ritiene il Collegio si debba dichiarare il ricorso inammissibile;
che, invero, in entrambi i gradi i giudici del merito hanno ritenuto insussistente la esimente di cui all’art. 1334 c.c. ovvero non raggiunta la prova, a carico del destinatario, di essere stato senza sua colpa nell’impossibilità di avere notizia della raccomandata di licenziamento pervenuta al suo indirizzo.
Trattasi di un apprezzamento incensurabile in questa sede, in quanto il giudizio conforme in fatto preclude la deducibilità del vizio di motivazione, secondo il disposto dell’art. 348-ter c.p.c. Invero la mancata ammissione dei mezzi istruttori è sindacabile in sede di legittimità unicamente attraverso la deduzione del vizio di motivazione, sub specie di omesso esame dei fatti decisivi che i mezzi istruttori erano diretti a veicolare nel giudizio (Cass., sez. lav. 14 ottobre 2015 n. 20693; Cass. n. 66/2015; Cass. n. 5377/2011; Cass. n. 4369/1999).
Quanto alla mancata ammissione d’ufficio dei mezzi istruttori tardivamente dedotti, la parte non ha specificamente allegato di avere sollecitato l’esercizio del potere di cui all’art. 437 c.p.c. laddove, come ripetutamente affermato da questa Corte, “il mancato esercizio da parte del giudice dei poteri ufficiosi ex art. 421 c.p.c., preordinato al superamento di una meccanica applicazione della regola di giudizio fondata sull’onere della prova, non è censurabile con ricorso per cassazione ove la parte non abbia investito lo stesso giudice di una specifica richiesta in tal senso, indicando anche i relativi mezzi istruttori” (Cassazione civile sez. lav., 23/10/2014, n. 22534; Cass. 12 marzo 2009 n. 6023, Cass. 26 giugno 2006 n. 14731);
che, pertanto, essendo condivisibile la proposta del relatore, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con ordinanza in camera di consiglio ex art. 375 c.p.c.;
che le spese di causa, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;
che, trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 (che ha aggiunto D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater) – della sussistenza dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione integralmente rigettata.
P.Q.M.
La Corte dichiara la inammissibilità del ricorso. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 200 per spese ed Euro 3.000 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater ,dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 7 maggio 2019.
Depositato in Cancelleria il 16 ottobre 2019
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