Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.28825 del 08/11/2019

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20222-2018 proposto da:

R.E., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA DEGLI STROZZI 34, presso lo studio dell’avvocato FABRIZIO DE LORENZO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

L.M., ALLIANZ SPA, INA ASSITALIA SPA, DISTASIO ANNARITA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 275/2018 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 12/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 26/09/2019 dal Consigliere Dott. MARILENA GORGONI.

FATTI DI CAUSA

R.E., avvalendosi di due motivi, ricorre per la cassazione della decisione n. 275/2018 della Corte d’Appello di Bari del 12 febbraio 2018.

Resistono con autonomi controricorsi, illustrati da memoria, Generali Italia S.p.A. e Allianz S.p.A, cui il ricorrente ha replicato.

R.E. espone in fatto di avere convenuto in giudizio, innanzi al Tribunale di Foggia, sez. distaccata di Cerignola, L.M. e la Ras Assicurazioni, oggi Allianz Assicurazioni, quale impresa designata dal Fondo di garanzia delle vittime della Strada per la Regione Puglia, al fine di ottenerne la condanna in via solidale al ristoro dei danni derivanti dal sinistro stradale, verificatosi il *****, provocato dal conducente dell’auto di proprietà di P.M., a quest’ultima rubata lo stesso giorno, dileguatosi dal luogo dell’incidente. All’interno dell’auto i carabinieri rinvennero un contrassegno di Assitalia Assicurazioni relativo ad una polizza r.c.a. valevole dal 23 giugno al 23 dicembre 2003.

Nell’incidente risultarono danneggiati anche P.D., alla guida dell’auto di P.P., e D.A. alla guida della propria autovettura.

La compagnia di assicurazioni convenuta eccepiva il proprio di detto di legittimazione passiva per carenza dei presupposti di cui alla L. n. 990 del 1969, art. 19, lett. a e lett. b e chiedeva l’integrazione del contraddittorio nei confronti di Assitalia Assicurazioni, litisconsorte necessario L. n. 990 del 1969, ex art. 23.

L.M. veniva dichiarata contumace.

Chiamata in causa, Assitalia S.p.a. si costituiva solo il 7 dicembre 2005, eccependo la propria estraneità al rapporto assicurativo, perchè non risultava aver mai stipulato la polizza, il cui contrassegno era stato trovato a bordo dell’auto investitrice.

Disposta la riunione del procedimento promosso dall’odierno ricorrente con quelli avviati da D.S.A. e D. e P.P., per connessione soggettiva ed oggettiva, il GOT, cui era stata assegnata la causa, concedeva alle parti i termini di cui all’art. 190 c.p.c.

Stante il rapporto di affinità del GOT e il procuratore dell’odierno ricorrente, quest’ultimo formulava verbalmente istanza di astensione ex art. 51 c.p.c., comma 1, n. 2. Il GOT, riconosciuto il rapporto di affinità, non si asteneva, limitandosi a rimettere la causa al titolare del ruolo.

La sentenza di primo grado, risultata emessa dal GOT, e non dal magistrato di ruolo presso cui si era svolta l’udienza di precisazione delle conclusioni, dichiarava inammissibili le domande proposte nei confronti di Allianz per carenza di legittimazione passiva e, riconosciuta la esclusiva responsabilità del conducente dell’auto rimasto ignoto, condannava la proprietaria dell’auto, L.M., al pagamento a favore dell’odierno ricorrente di Euro 25.824,00, oltre ad interessi legali, alla rifusione delle spese di lite e di CTU.

La decisione veniva impugnata da D.A. e dall’odierno ricorrente per violazione dell’art. 51 c.p.c., comma 1, n. 2, per aver ritenuto erroneamente il difetto di legittimazione passiva di Allianz S.p.A.

Con appello incidentale la Compagnia Assitalia S.p.A. lamentava di essere stata individuata come legittimata passiva al posto della Compagnia Generali S.p.a.

La Corte d’Appello, con la sentenza qui impugnata, rigettava gli appelli e condannava l’odierno ricorrente e D.A. al pagamento delle spese di lite.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 161 e 162 c.p.c.

R.E. imputa al giudice a quo di non aver disposto la rimessione della controversia al Tribunale, ai sensi dell’art. 161 c.p.c., dopo aver dichiarato la nullità della pronuncia per essere il giudice che aveva emesso la sentenza diverso da quello presso cui si era svolta l’udienza di precisazione delle conclusioni. Il giudice, a suo avviso, ai sensi dell’art. 162 c.p.c., avrebbe dovuto disporre la rinnovazione degli atti ai quali la nullità si estendeva, limitandosi a rimettere le parti dinanzi al primo giudice; non avrebbe, invece, dovuto decidere nel merito la controversia, anche in ragione del fatto che la nullità non riguardava solo la sentenza, ma anche l’ordinanza del 31 maggio 2002 che aveva rimesso la causa al GOT, non essendosi quest’ultimo astenuto, in quanto mai notificata alle parti. Il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c.

La decisione di primo grado assunta da un giudice diverso da quello dinanzi al quale sono precisate le conclusioni, in violazione dell’art. 276 c.p.c., comma 1, è causa di nullità della sentenza, riconducibile al vizio di costituzione del giudice ai sensi dell’art. 158 c.p.c. ed è soggetta al relativo regime, con la conseguenza che il giudice d’appello che rilevi detta nullità è tenuto a trattenere la causa e a deciderla nel merito, provvedendo alla rinnovazione della decisione come naturale rimedio contro la rilevazione della nullità e non deve, invece, rimettere la causa al primo giudice che ha pronunciato la sentenza affetta da nullità, in quanto non ricorre nella specie alcuna delle ipotesi di rimessione tassativamente previste dall’art. 354 c.p.c., dovendosi escludere che il vizio in oggetto sia assimilabile al difetto assoluto di sottoscrizione della sentenza, contemplato dall’art. 161, comma 2 codice di rito, per il quale, invece, detta rimessione è imposta dallo stesso art. 354 c.p.c. (Cass. 08/06/2012, n. 9369). Gli artt. 353 e 354 c.p.c. sulla remissione della causa al primo giudice hanno il carattere di disposizioni eccezionali, rispetto al principio generale, secondo cui la nullità della sentenza appellabile si traduce in motivo di impugnazione e non dispensa il giudice di appello dalla trattazione e dalla decisione nel merito, e, quindi, sono suscettibili di interpretazione estensiva ma non anche di applicazione analogica all’infuori dei casi espressamente e tassativamente elencati (Cass. 29/09/2015, n. 19214).

Nessun rilievo autonomo assume la richiesta di rinnovazione degli atti con riferimento alla ordinanza del 31 maggio 2012 con cui la causa era stata rimessa al GOT precedentemente incaricato.

2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 990 del 1969, art. 7 e dell’art. 2697 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La Corte di merito avrebbe dovuto tener conto del fatto che il contrassegno rinvenuto nell’auto investitrice era stato falsificato e come tale non aveva creato alcun legittimo affidamento circa la ricorrenza di un rapporto assicurativo; di conseguenza, non avrebbe dovuto pretendere, dalla compagnia assicuratrice, il cui contrassegno era stato falsificato, la prova di non aver tenuto un comportamento colposo.

Il motivo è inammissibile perchè sì pone in contrasto con un orientamento consolidato di questa Corte, la quale ha precisato in più occasioni che:

– in forza del combinato disposto della L. n. 990 del 1969, art. 7 (attuale D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 127) e dell’art. 1901 c.c., il rilascio del contrassegno assicurativo vincola l’assicuratore a risarcire i danni causati dalla circolazione del veicolo, quand’anche il premio assicurativo non sia stato pagato, ovvero il contratto di assicurazione non sia efficace, giacchè, nei confronti del danneggiato, ai fini della promovibilità dell’azione diretta nei confronti dell’assicuratore del responsabile, rileva l’autenticità del contrassegno e non la validità del rapporto assicurativo;

– posto che la disciplina del citato art. 7 mira alla tutela dell’affidamento del danneggiato e copre anche l’ipotesi dell’apparenza del diritto, per escludere la responsabilità dell’assicuratore in ipotesi di contrassegno contraffatto o falsificato occorre che risulti esclusa l’apparenza del diritto, e cioè che l’assicuratore non abbia tenuto alcun comportamento colposo idoneo ad ingenerare l’affidamento in ordine alla sussistenza della copertura assicurativa (Cass. 27/8/2014, n. 18307; Cass. 13/12/2010, n. 25130);

– il principio della c.d. apparenza del diritto si ha quando una situazione giuridica, in realtà inesistente, appare esistente ad un soggetto non a causa di un suo comportamento colposo, ma per il comportamento colposo del soggetto, nei cui confronti l’apparenza è invocata: in tale ipotesi è tutelata la posizione del soggetto, al quale la situazione giuridica sia apparsa, senza sua colpa, esistente.

– l’accertamento degli elementi oggettivi idonei a giustificare nel terzo la ragionevole convinzione della corrispondenza, a quella reale, della situazione apparente, costituisce tipica valutazione di fatto, riservata al giudice del merito e censurabile in sede di legittimità solo per vizi di motivazione (Cass. 28/8/2007,N. 18191);

– Di tali principi la Corte distrettuale ha fatto piena e corretta applicazione.

Evocando specificamente il precedente costituito da Cass. 13/12/2010, n. 25130, il giudice a quo ha posto a base della propria decisione l’accertamento effettuato in esplicazione dei propri poteri, ponendo in rilievo come, nel caso di specie, nonostante risultasse dal rapporto dei carabinieri l’esistenza di documentazione assicurativa anche se contraffatta, non fosse stata fornita prova dell’insussistenza di un comportamento colposo da parte della compagnia assicuratrice, essendosi quest’ultima limitata a produrre due lettere del Gruppo Generali Liquidazione danni S.p.A., per conto di Assitalia, datate 10 febbraio 2004 e 9 febbraio 2005, nelle quali la compagnia dichiarava che l’auto investitrice, individuata tramite il numero di targa, non risultava tra quelle garantite. Aveva fatto difetto, invece, la prova, ad esempio, che al numero di contrassegno rinvenuto corrispondeva altro contratto assicurativo o che il numero della polizza non corrispondeva alla numerazione tipica dei contratti r.c.a. di Assitalia.

Oltre a doversi sottolineare che risulta inammissibile la richiesta di rivalutazione delle emergenze probatorie, stante che solo al giudice di merito spetta individuare le fonti del proprio convincimento e a tale fine valutare le prove, controllarne la attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, giova rilevare, quanto all’argomentazione difensiva fondata sul mancato esame da parte del giudice a quo della nota del Gruppo Generali Liquidazione danni del 3 febbraio 2004 – che affermava l’inesistenza della polizza individuata dal numero indicato nel contrassegno e la sua non rispondenza ai criteri identificativi dei contratti Assitalia e, perciò, l’impossibilità di effettuare alcun controllo presso gli archivi informatici di Assitalia – che la Corte territoriale ha ritenuto che agli atti del giudizio risultavano depositati solamente il rapporto redatto dai Carabinieri nonchè due missive della GGL liquidazione sinistri per conto di Assitalia S.p.a., datate 10 febbraio 2004 e 9 febbraio 2005.

La Corte territoriale, dunque, ha ritenuto non presente in atti il documento del cui mancato esame il ricorrente si duole; perciò il ricorrente avrebbe dovuto, posto che assume di averlo depositato, far valere tale errore in sede di revocazione ai sensi dell’art. 385 c.p.c., n. 4, ove ne risultassero integrati i presupposti (Cass. 11/06/2018, n. 15043).

Ad ogni modo, essendo la nota non esaminata, benchè asseritamente prodotta, proveniente, come le altre due missive, dalla GGL S.p.A., ad essa deve ritenersi estesa la statuizione della Corte d’Appello secondo “cui trattandosi di atti provenienti dalla stessa parte sulla quale incombeva l’onere di provare il fatto modificativo e/o estintivo della pretesa creditoria, ai sensi dell’art. 2697 c.c.” dovevano essere considerate “mere allegazioni di parte, sfornite di prova”. Tale statuizione che fa applicazione di un principio generale che esclude il valore, anche soltanto indiziario degli scritti provenienti dalla parte che contengano fatti favorevoli al dichiarante, non è stata attinta dalle censure del ricorrente.

3. In conclusione, il ricorso è inammissibile.

4. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

5. Si dà atto della ricorrenza dei presupposti per porre a carico del ricorrente l’obbligo di pagamento del doppio del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese, in favore di ciascuno dei controricorrenti, liquidandole in Euro 2.900,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza civile della Corte di Cassazione, il 26 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2019

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472