Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.28890 del 08/11/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. LEONE Maria Margherita – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – rel. Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10039-2018 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE *****, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato DI MAGGIO GENNARO;

– ricorrente –

contro

PUDDA PIETRO PAOLO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 264/2017 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI SEZIONE DISTACCATA di SASSARI, depositata il 18/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 04/06/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ESPOSITO LUCIA.

RILEVATO

che la Corte d’appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, confermava la sentenza del giudice di primo grado che aveva accolto l’opposizione proposta da Pudda Pietro Paolo nei confronti di Equitalia s.p.a. (cui era poi subentrata Age riscossione S.p.a.) avverso intimazione di pagamento emessa nei confronti del predetto per crediti previdenziali;

che a fondamento della decisione la Corte rilevò la maturazione della prescrizione quinquennale avuto riguardo alla notifica della cartella sottesa all’intimazione (22/5/2001), avvenuta oltre dieci anni prima dalla data di notifica dell’atto di intimazione, risalente all’ottobre 2012, non assumendo rilevanza ai fini interruttivi i solleciti di pagamento del 23/5/2009 e del 23/11/2009 rispetto a una prescrizione già maturata;

che avverso la sentenza propone ricorso per cassazione Age Riscossione Sicilia sulla base di due motivi;

che Pudda Pietro Paolo è rimasto intimato;

che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata.

CONSIDERATO

Che con il primo motivo parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2946 c.c. e del D.Lgs. n. 112 del 1999, artt. 19 e 20, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, osservando che con la formazione del ruolo reso esecutivo e sottoscritto dal titolare dell’ufficio si determina un effetto novativo delle singole obbligazioni originariamente dovute, inglobate in un unico credito, sicchè non può farsi più riferimento ai singoli termini di prescrizione previsti per l’unico credito pecuniario ma si costituisce una nuova obbligazione a carico del contribuente soggetta al termine di prescrizione ordinario;

che con il secondo motivo deduce nullità, insufficiente e carente motivazione – omesso esame di un fatto decisivo per la controversia – violazione e falsa applicazione artt. 2943,2946 e 2948 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, poichè la Corte territoriale aveva ritenuto irrilevante la circostanza che fossero intervenuti due atti di sollecito in data antecedente all’intimazione, i quali, in quanto atti autonomamente impugnabili, avrebbero consentito al contribuente di fare valere ritualmente l’intervenuta prescrizione, determinando, in caso contrario, la definitività degli atti non opposti e l’incontestabilità del diritto;

la censura è inammissibile ai sensi dell’art. 360-bis c.p.c., poichè sui punti contestati la Corte territoriale ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte di legittimità e l’esame dei motivi non offre elementi nuovi rispetto all’elaborazione giurisprudenziale consolidata (ex plurimis Cass. n. 26013 del 29/12/2015, Cass. n. 10327 del 26/04/2017);

soccorre, infatti, il principio di diritto enunciato da questa Corte a Sezioni Unite (Sez. U. n. 23397 del 17/11/2016), secondo il quale: “La scadenza del termine – pacificamente perentorio – per proporre opposizione a cartella di pagamento di cui al D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24, comma 5, pur determinando la decadenza dalla possibilità di proporre impugnazione, produce soltanto l’effetto sostanziale della irretrattabilità del credito contributivo senza determinare anche la cd. “conversione” del termine di prescrizione breve (nella specie, quinquennale, secondo la L. n. 335 del 1995, art. 3, commi 9 e 10) in quello ordinario (decennale), ai sensi dell’art. 2953 c.c. Tale ultima disposizione, infatti, si applica soltanto nelle ipotesi in cui intervenga un titolo giudiziale divenuto definitivo, mentre la suddetta cartella, avendo natura di atto amministrativo, è priva dell’attitudine ad acquistare efficacia di giudicato. Lo stesso vale per l’avviso di addebito dell’INPS, che, dall’1 gennaio 2011, ha sostituito la cartella di pagamento per i crediti di natura previdenziale di detto Istituto (D.L. n. 78 del 2010, art. 30, conv., con modif., dalla L n. 122 del 2010)”;

in linea con il richiamato principio, con riferimento al preteso effetto novativo derivante dalla formazione del ruolo, questa Corte è intervenuta affermando che “In tema di riscossione di crediti previdenziali, il subentro dell’Agenzia delle Entrate quale nuovo concessionario non determina il mutamento della natura del credito, che resta assoggettato per legge ad una disciplina specifica anche quanto al regime prescrizionale, caratterizzato dal principio di ordine pubblico dell’irrinunciabilità della prescrizione; pertanto, in assenza di un titolo giudiziale definitivo che accerti con valore di giudicato l’esistenza del credito, continua a trovare applicazione, anche nei confronti del soggetto titolare del potere di riscossione, la speciale disciplina della prescrizione prevista dalla L. n. 335 del 1995, art. 3, invece che la regola generale sussidiaria di cui all’art. 2946 c.c. (Cass. n. 31352 del 04/12/2018), e ciò in conformità alla natura di atto interno all’amministrazione attribuita al ruolo (Cass. n. 14301 del 19/06/2009)”;

allo stesso modo non assume rilievo il richiamo al D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 20, comma 6, che prevede un termine di prescrizione strettamente inerente al procedimento amministrativo per il rimborso delle quote inesigibili, che in alcun modo può interferire con lo specifico termine di prescrizione previsto dalla legge per azionare il credito nei confronti del debitore (Sez. U. n. 23397 del 17/11/2016, Cass. n. 31352 del 04/12/2018);

che il secondo motivo è manifestamente infondato, traendosi dalle pronunce in materia tributaria il principio, valevole anche in materia contributiva (identiche essendo le modalità di riscossione) in forza del quale l’impugnazione di un atto di mero sollecito, pur se autonomamente impugnabile, rappresenta una facoltà e non un onere, e non determina l’irretrattabilità della pretesa, non precludendo il mancato esercizio del potere di impugnazione la possibilità d’impugnare l’atto successivo (Cass. n. 26129 del 02/11/2017);

in base alle svolte argomentazioni il ricorso va rigettato, senza adozione di provvedimento alcuno sulle spese, in mancanza di attività difensiva ad opera delle parti intimate.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Nulla sulle spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 4 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2019

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