LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CURZIO Pietro – Presidente –
Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –
Dott. ESPOSITO Lucia – rel. Consigliere –
Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –
Dott. SPENA Francesca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 21816-2018 proposto da:
POSTE ITALIANE SPA, *****, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE EUROPA 175, presso la sede della FUNZIONE AFFARI LEGALI dell’Istituto medesimo, rappresentata e difesa dagli avvocati MASSIMO FICELI, ELISABETTA CROCIANI;
– ricorrente –
contro
G.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 2, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE CIGNITTI, rappresentato e difeso dagli avvocati MASSIMO PINCIONE, ALESSANDRA BATTISTINI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 57/2018 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 18/01/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 04/06/2019 dal Consigliere Dott. LUCIA ESPOSITO.
RILEVATO
Che:
La Corte d’appello di Firenze, per quello che in questa sede interessa, confermava la decisione del giudice di primo grado che aveva revocato il decreto ingiuntivo reso in favore di Poste Italiane S.p.A. per la restituzione di somme corrisposte a G.A. in esecuzione di sentenza, successivamente riformata dalla Corte d’appello di Firenze, che, nel disporre la conversione del contratto di lavoro a tempo determinato intercorso tra le parti, aveva condannato la società al pagamento dell’indennità omnicomprensiva di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5;
in accoglimento dell’opposizione a decreto ingiuntivo, Il Tribunale aveva limitato la pretesa di Poste Italiane s.p.a. alla restituzione degli importi erogati in eccesso al netto dell’importo effettivamente riscosso al tempo dalla lavoratrice;
riteneva la Corte territoriale che la richiesta di restituzione non potesse che essere limitata alle somme (superiori a quelle spettanti) effettivamente percepite dal lavoratore, salvi i rapporti con il Fisco del datore di lavoro;
avverso la sentenza propone ricorso per cassazione la società sulla base di quattro motivi;
G.A. resiste con controricorso;
la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è stata notificata alla parte costituita, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in Camera di consiglio.
CONSIDERATO
Che:
con il primo motivo la ricorrente la denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 38, degli artt. 12 e 14 preleggi, dell’art. 2033 c.c. per avere la Corte territoriale escluso la legittimità della pretesa di restituzione dell’intero importo erogato dal datore di lavoro, comprensivo delle ritenute di legge, non potendo il datore di lavoro chiedere il rimborso delle somme versate all’Erario se non nelle ipotesi tassative previste dall’art. 38 cit.;
con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 38, come interpretato in relazione alla domanda di rimborso, osservando che per il contribuente trova applicazione il meccanismo della deduzione ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, ex art. 10, comma 1, lett. d – bis, ai fini della presentazione dell’istanza di rimborso;
con il terzo motivo deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 38, come interpretato dalle risoluzioni e prassi dell’amministrazione finanziaria, poichè, da un punto di vista amministrativo contabile, alla Società era sostanzialmente precluso l’accesso al meccanismo di rimborso previsto dalla predetta norma;
con il quarto motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 38, in relazione al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 21, non ravvisandosi in tale norma fondamento della domanda di restituzione del datore sostituto d’imposta delle ritenute fiscali versate all’Erario;
i motivi di ricorso, da trattare congiuntamente in quanto logicamente connessi, sono infondati alla luce degli orientamenti di questa Corte (ex plurimis 31655 del 6/12/2018), cui si intende dare continuità, in forza dei quali: a) in tema di rimborso delle imposte sui redditi, ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, sono legittimati a richiedere alla Amministrazione finanziaria il rimborso delle somme non dovute e ad impugnare l’eventuale rifiuto dinanzi al giudice tributario sia il soggetto che ha effettuato il versamento (cd. “sostituto di imposta”) sia il percipiente delle somme assoggettate a ritenuta (cd. “sostituito”) (si veda Cass. 29 luglio 2015 n. 16105 ed i riferimenti giurisprudenziali ivi contenuti); b) il datore di lavoro, salvi i rapporti col fisco, può ripetere l’indebito nei confronti del lavoratore nei limiti di quanto effettivamente percepito da quest’ultimo, restando esclusa la possibilità di ripetere importi al lordo di ritenute fiscali mai entrate nella sfera patrimoniale del dipendente (cfr. Cass. 20 luglio 2018, n. 19459; Cass. 29 gennaio 2018, n. 2135; Cass. 24 maggio 2018 n. 12933, Cass. 2 febbraio 2012, n. 1464; in tali termini anche Consiglio di Stato, Sez. 6, 2 marzo 2009 n. 1164 con riguardo al rapporto di pubblico impiego);
il ricorso, pertanto, deve essere rigettato;
le spese del giudizio sono liquidate secondo soccombenza.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 3.500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 4 giugno 2019.
Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2019