LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –
Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –
Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –
Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere –
Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA INTERLOCUTORIA
sul ricorso 7873-2018 proposto da:
GABBANI LUCIANO DI G.A. & C. SNC, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ANAPO 20, presso lo studio dell’avvocato CARLA RIZZO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIANNITALO PAPA;
– ricorrente –
contro
P.A., R.C., elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato GIANFRANCO TIENGO;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 1943/2017 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 06/09/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 23/05/2019 dal Consigliere Relatore Dott. GABRIELE POSITANO.
RILEVATO
che:
gli avvocati P.A. e R.C., incaricati dalla Galbani Luciano di A.G. & C di eseguire un recupero crediti relativo all’importo di 38.600.000 lire nei confronti della società Corona di S.T., avevano instaurato un procedimento monitorio e il successivo giudizio si era concluso con sentenza n. 179 del 2001 del Tribunale di Pistoia;
a causa della morosità della società debitrice i creditori avevano conferito al medesimo studio legale l’incarico di procedere ad esecuzione forzata e, successivamente, i difensori avevano presentato istanza di ammissione al passivo del fallimento della società Corona, ottenendo in sede di riparto dell’attivo l’importo di Euro 16.401. La società creditrice aggiungeva che l’avvocato R. avrebbe indotto G.A. a versare l’assegno circolare appena ricevuto dell’importo di Euro 16.401, su un conto corrente aperto presso la banca Bipop Caripe, eseguendo un giro conto per il minor importo di Euro 6.401 in favore dello studio legale associato. Secondo il professionista si sarebbe trattato di un versamento a titolo provvisorio che sarebbe stato restituito al momento della conoscenza dell’importo degli onorari liquidati dal giudice con sentenza. A causa della mancata restituzione di tale importo, G. evocava in giudizio i professionisti chiedendo il pagamento della somma;
si costituiva P.A. contestando la ricostruzione, chiedendo la sospensione del giudizio ai sensi dell’art. 295 c.p.c., in attesa della definizione del procedimento penale in corso, a seguito della denunzia presentata dall’attore e spiegava domanda riconvenzionale per il pagamento degli onorari dovuti e per il risarcimento dei danni per la lesione del diritto di immagine. L’avvocato R. inizialmente rimaneva contumace. Espletato l’interrogatorio formale dei professionisti e la prova testimoniale, anche il secondo avvocato si costituiva;
il Tribunale di Pistoia, sezione distaccata di Monsummano, con sentenza del 10 febbraio 2001 rigettava le domande principali e riconvenzionali, compensando le spese, rilevando che dalle risultanze processuali non era emersa in maniera chiara la responsabilità dei professionisti;
con atto di citazione del 14 maggio 2011, G.A., quale rappresentante della s.n.c. Galbani Luciano di A.G. & C. proponeva appello davanti alla Corte territoriale di Firenze per sentir dichiarare la responsabilità dei professionisti per i reato di truffa e appropriazione indebita, con conseguente condanna alla restituzione della somma di Euro 6401, indebitamente trattenuta a titolo di compenso per l’attività svolta. Eccepiva, altresì, la prescrizione del credito azionato con la domanda riconvenzionale, comunque rigettata dal primo giudice. Riteneva errata la sentenza del Tribunale riguardo alla ricostruzione dei fatti, sostenendo di avere pagato Euro 1500 per prestazioni professionali in favore dell’avvocato P. e di non avere mai conosciuto l’ammontare degli ulteriori eventuali onorari. Con riferimento alla ricostruzione, rilevava che la condotta dei professionisti integrando il reato di appropriazione indebita, non poteva dirsi legittima, con riferimento al reato di truffa, erroneamente il primo giudice avrebbe ritenuto insufficiente la prova riguardo al requisito degli artifici e raggiri. Quanto al giroconto effettuato da G. nei confronti della P., il Tribunale avrebbe dovuto dichiarare il credito prescritto ai sensi dell’art. 2956 c.c. La decisione, infine, infine, sarebb”errata anche riguardo alla condanna al pagamentodie0 spese processuali nei confronti di R., che non poteva dirsi in alcun modo estraneo al raggiro. Si costituivano R.C. e P.A. chiedendo la dichiarazione di inammissibilità dell’appello e comunque, il rigetto dei motivi perchè infondati;
la Corte d’Appello di Firenze, con sentenza del 6 settembre 2017, rigettava l’impugnazione condannando la società appellante al pagamento delle spese di lite;
avverso tale decisione propone ricorso per cassazione la società Galbani Luciano di A.G. & C. affidandosi a due motivi che illustra con memoria. Resistono con controricorso R.C. e P.A..
CONSIDERATO
che:
con il primo motivo si deduce la violazione l’art. 1243 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. La Corte territoriale avrebbe fondato la decisione su una interpretazione errata della norma invocata ritenendo che i due professionisti fossero legittimati a trattenere la somma oggetto di giro conto pari ad Euro 6401. Al contrario, gli avvocati non avevano mai consegnato al cliente i conteggi relativi all’attività svolta per cui l’obbligazione pecuniaria non avrebbe potuto essere qualificata come liquida, perchè il titolo non indicava i criteri per determinare l’ammontare dell’importo, senza alcun margine discrezionale (Cass. SU n. 17989 del 2016). Nel caso di specie, pertanto, residuando un significativo margine di scelta discrezionale in considerazione della previsione di un parametro minimo e uno massimo, all’interno di una tabella, il credito non avrebbe potuto dirsi liquido, in assenza di deposito di un progetto di notula da parte dei professionisti;
con il secondo motivo si deduce l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso decisivo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, e la sussistenza del reato di truffa. La decisione sarebbe errata nella parte in cui esclude la configurabilità del reato di truffa omettendo di spiegare le ragioni per le quali, secondo la ricostruzione della Corte territoriale, il G. avrebbe dovuto recarsi presso la banca di cui lo studio legale associato era correntista, aprire un conto corrente, versare l’assegno circolare ed eseguire un giroconto a vantaggio del predetto studio legale;
rileva la Corte che, ad un più approfondito esame, non sussistono le condizioni per definire il ricorso ai sensi dell’art. 375 c.p.c., nn. 1 o 5, con conseguente trasmissione alla pubblica udienza della Terza sezione.
P.Q.M.
La Corte, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., rimette la causa alla pubblica udienza della sezione semplice.
Così deciso nella Camera di Consiglio della Sesta Sezione Civile-3 della Corte Suprema di Cassazione, il 23 maggio 2019.
Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2019
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