Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.28973 del 08/11/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21058/2018 proposto da:

T.S., rappresentato e difeso dall’avvocato GIUSEPPE PELLEGRINO e domiciliato presso la cancelleria della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO e COMMISSIONE TERRITORIALE RICONOSCIMENTO PROTEZIONE INTERNAZIONALE MILANO;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1366/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 19/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 25/06/2019 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

FATTI DI CAUSA

Con provvedimento del 7.6.2016 la Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Milano respingeva l’istanza dell’odierno ricorrente, volta ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato, la protezione sussidiaria o in subordine quella umanitaria.

Con ordinanza del 31.1.2017 il Tribunale di Milano rigettava l’opposizione proposta da T.S. contro il provvedimento reiettivo della Commissione territoriale.

Con la sentenza oggi impugnata, n. 1366/2018, la Corte di Appello di Milano rigettava l’impugnazione proposta da T.S. avverso la decisione di prime cure, ritenendo in particolare non credibile il racconto del ricorrente relativamente alla sua partecipazione ad un colpo di Stato ordito per tentare di rovesciare il regime del dittatore Y.J..

Propone ricorso per la cassazione di detta decisione T.S. affidandosi a sette motivi.

Il Ministero dell’Interno, intimato, non ha svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 3,54,101 Cost., art. 112 c.p.c., D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 ed del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, perchè la Corte di Appello avrebbe erroneamente ritenuto non credibile il racconto del ricorrente, giungendo anche a mettere in dubbio che lo stesso fosse effettivamente un soldato, senza considerare che lo stesso aveva fornito numerosi particolari relativi al suo inquadramento nelle Forze Armate del Paese di provenienza ed alla sua partecipazione al tentativo di golpe per rovesciare il dittatore al tempo al potere. Ad avviso del ricorrente, in considerazione della difficoltà del richiedente la protezione internazionale ed umanitaria di fornire la prova puntuale della propria storia personale, la valutazione della credibilità di quest’ultima non può prescindere dalla considerazione della situazione generale del Paese di provenienza.

La censura è infondata.

Ed invero anche ammettendo che il ricorrente abbia preso effettivamente parte, nel dicembre 2014 – epoca in cui era ancora al potere in Gambia il dittatore Y.J. – ad un tentativo di colpo di stato per rovesciare il regime, e che in conseguenza del fallimento di quel golpe sia stato costretto a fuggire dal proprio Paese, non può non tenersi conto, ai fini dell’esame della domanda di protezione internazionale o umanitaria introdotta dal T., della condizione effettiva del Paese di provenienza alla data odierna. In particolare, risulta dalle fonti internazionali (in particolare, il rapporto Amnesty International 2016-2017) che il Gambia è stato interessato nel dicembre 2016 da un drastico cambiamento di governo, in quanto al dittatore Y.J., che era al potere ininterrottamente da 22 anni, è succeduto B.A., regolarmente eletto all’esito di elezioni presidenziali i cui risultati sono stati accettati anche dallo sconfitto, che ha lasciato il Paese per ritirarsi in Guinea Equatoriale. Tra dicembre 2016 e gennaio 2017 le autorità del nuovo governo hanno rilasciato decine di prigionieri politici e prigionieri di coscienza, ed il 30.1.2017 il presidente B. ha concesso la grazia a numerosi oppositori del vecchio regime che erano stati arrestati per avere preso parte a una protesta nel 2016.

Ne consegue che ad oggi nessun pericolo per la sicurezza personale del ricorrente potrebbe conseguire al suo rientro in patria, nè per la condizione generale del Paese, ormai in via di stabilizzazione, nè – soprattutto – in conseguenza della sua partecipazione al tentativo di golpe di cui al racconto personale del richiedente la protezione. Anzi, al contrario, il radicale cambio di regime medio tempore verificatosi in Gambia potrebbe assicurare al T. addirittura un’accoglienza favorevole nel Paese di origine.

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 3 Cost., art. 2909 c.c., artt. 323 e 324 c.p.c., perchè la Corte di Appello avrebbe revocato in dubbio l’inquadramento del ricorrente nelle Forze Armate del Gambia, senza considerare che la circostanza era stata ritenuta credibile dal Tribunale e che nessuna impugnazione era stata proposta su tale specifica statuizione, con conseguente formazione del giudicato interno su quest’ultima.

La doglianza è infondata.

Ed invero la statuizione relativa all’appartenenza del T. alle Forze Armate del Gambia non è suscettibile di passare in giudicato, posto che essa non integra un decisum indipendente, bensì una porzione della sequenza logica articolata in fatto (appartenenza alle Forze Armate, partecipazione al fallito golpe e conseguente esigenza di fuggire dal Paese), norma (D.Lgs. n. 271 del 2007, artt. 3 e segg., D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 18) ed effetto finale (riconoscimento della protezione internazionale o umanitaria). In argomento, va ribadito il principio secondo cui “Costituisce capo autonomo della sentenza – come tale suscettibile di formare oggetto di giudicato interno – solo quello che risolva una questione controversa tra le parti, caratterizzata da una propria individualità e una propria autonomia, sì da integrare, in astratto, gli estremi di un decisum affatto indipendente, ma non anche quello relativo ad affermazioni che costituiscano mera premessa logica della statuizione in concreto adottata” (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 2379 del 31/01/2018, Rv. 647932; conf. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 22863 del 30/10/2007, Rv. 599955).

Infatti “La locuzione giurisprudenziale “minima unità suscettibile di acquisire la stabilità del giudicato interno” individua la sequenza logica costituita dal fatto, dalla norma e dall’effetto giuridico, con la conseguenza che la censura motivata anche in ordine ad uno solo di tali elementi riapre la cognizione sull’intera statuizione, perchè, impedendo la formazione del giudicato interno, impone al giudice di verificare la norma applicabile e la sua corretta interpretazione” (Cass. Sez. L, Ordinanza n. 16853 del 26/06/2018, Rv. 649361; conf. Cass. Sez. 6-3, Ordinanza n. 12202 del 16/05/2017, Rv. 644289, e Cass. Sez. L, Sentenza n. 2217 del 04/02/2016, Rv. 638957).

Da ciò consegue che nessun giudicato si è formato nel caso di specie, essendo stato per effetto dell’impugnazione della prima pronuncia interamente devoluto alla Corte di Appello di Milano l’esame – o, più precisamente, il riesame – della condizione personale del richiedente la protezione internazionale o umanitaria e della situazione del suo Paese di origine, ai fini della concessione della protezione predetta.

Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 3 Cost., D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3,D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, nonchè l’omesso esame di fatto decisivo, perchè la Corte di Appello avrebbe ritenuto non credibile il suo racconto sulla base dell’erroneo presupposto che il tentativo di golpe sarebbe stato eseguito soltanto da dieci persone. Al contrario di quanto ritenuto dalla Corte milanese, infatti, il ricorrente aveva riferito di aver preso parte a detto tentativo e di aver ricevuto ordine dal suo diretto superiore di mantenere il controllo di un ponte, cosa che aveva fatto insieme ad un drappello di una decina di militari. Il riferimento a dieci persone, quindi; non era riferito, nel racconto del richiedente la protezione, al numero totale dei golpisti, ma solo alla consistenza del plotone al quale egli era stato di fatto destinato.

Con il quarto motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 2 Cost., D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 ed D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, perchè la Corte ambrosiana avrebbe erroneamente ritenuto irrilevanti tanto le informazioni più dettagliate sul tentato colpo di stato che erano state contenute nell’atto di appello, che la fotografia ritraente il ricorrente in uniforme, egualmente allegata solo agii atti di seconda istanza.

Le due censure, che possono essere esaminate congiuntamente, sono assorbite da rigetto dei precedenti motivi. Ed invero a prescindere da qualsiasi considerazione sulla correttezza del percorso argomentativo del giudice di appello il fatto decisivo è costituito, nella fattispecie, dall’avvenuto cambio di regime in Gambia, che fa sì che il ricorrente non sia più esposto al rischio di persecuzione o trattamento disumano o degradante in conseguenza della sua partecipazione al tentativo di colpo di Stato di cui al suo racconto. Ne deriva che anche a voler accedere alle tesi del T., e quindi a voler riconoscere che la Corte di Appello abbia travisato il racconto, confondendo il numero dei partecipanti al drappello di cui faceva parte il T. con il numero totale dei rivoltosi, quel che è certo è che, oggi, la partecipazione del richiedente la protezione al tentativo di colpo di Stato contro il precedente regime di Y.J. non costituisce più elemento idoneo a far presumere il pericolo che il ricorrente possa subire, per effetto del rientro in patria, ritorsioni o trattamenti disumani, anche per effetto della politica di apertura verso gli oppositori e i dissidenti del vecchio regime manifestata dal nuovo governo sin dall’inizio del 2017.

Con il quinto motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, perchè la Corte di Appello avrebbe dovuto considerare che l’insufficiente integrazione del richiedente la protezione ne tessuto sociale nazionale è diretta conseguenza dell’inadeguatezza delle misure di inserimento offerte dallo Stato italiano.

La doglianza è inammissibile sotto diversi profili. Innanzitutto, essa è formulate, in termini assolutamente generici; il ricorrente infatti non allega alcun elemento specifico idoneo a fare anche solo presumere che, nel suo caso specifico, vi sia stata un’effettiva insufficienza dell’offerta di integrazione nel tessuto sociale italiano. In secondo luogo, la censura si riferisce ad una valutazione del giudice di merito che si risolve in un giudizio di fatto, che come tale non è utilmente sindacabile in questa sede. Infine anche ammettendo – per via di mera ipotesi – che le misure di inserimento ed accoglienza approntate dalla Repubblica per far fronte al fenomeno migratorio siano insufficienti, o comunque migliorabili, ciò non esime il giudice di merito dal dovere di valutare, caso per caso, il percorso di integrazione del richiedente la protezione, e non lo priva della facoltà di ritenerlo insufficiente ogni qual volta non emergano, dalla vicenda personale del diretto interessato, quelle specifiche ragioni di radicamento con il territorio che possono giustificare a concessione di una misura di protezione di carattere umanitario.

Con il sesto motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 10 Cost., D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 e 14, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 18, perchè la Corte di Appello non avrebbe tenuto conto de fatto che il racconto del T. era contraddistinto dalla narrazione di episodi di riduzione in schiavitù, sia relativamente si percorso seguito dal richiedente la protezione dall’Africa fino in Italia, che sul territorio italiano. Ad avviso del ricorrente, la sua condizione di militare disertore lo esporrebbe, in caso di rientro nel suo Paese di origine, al pericolo di subire ulteriori trattamenti di riduzione in schiavitù o comunque di persecuzione.

Anche questa doglianza è inammissibile per la sua genericità, posto che il T. non allega alcun elemento specifico idoneo a far presumere il rischio paventato. In particolare, non è rilevante a tal fine – come già affermato in relazione ai precedenti motivi – la sua partecipazione al tentativo di golpe del 2014, posto il radicale cambio di regime verificatosi nel suo Paese di origine a fine 2016. Nè lo è la circostanza che egli sia stato sottoposto a riduzione in schiavitù o a trattamenti disumanizzanti in Algeria o in Libia, nel corso del suo tragitto verso l’Italia, in quanto certamente egli non potrebbe, in ragione della sua nazionalità gambiana, essere rimpatriato in detti Paesi. Quanto infine alla dedotta riduzione in schiavitù sul territorio nazionale, la doglianza è assolutamente generica, posto che il ricorrente non indica alcun episodio specifico, nè dimostra di essersi rivolto alle Autorità di polizia per invocare protezione. Ne consegue che la mera allegazione dell’esser stato soggetto a schiavitù a trattamenti inumani nel tragitto dall’Africa in Italia non costituisce, di per sè sola, circostanza sufficiente ai fini dell’accesso alla protezione umanitaria.

Infine, con il settimo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 24 Cost., in ragione della sue mancata ammissione al beneficio del patrocinio a spese dello Stato.

Anche questa censura è inammissibile.

In primo luogo, il provvedimento qui impugnato nulla dispone circa l’accoglimento o il rigetto dell’istanza di ammissione del richiedente la protezione al beneficio di cui anzidetto, onde la censura non sembra neppure attinente al decisum della Corte di Appello, in secondo luogo, non coglie nel segno l’argomento, speso dal ricorrente nel motivo in esame, secondo cui per effetto della mancata ammissione al beneficio di cui si discute egli sarebbe stato privato del diritto ad una adeguata difesa tecnica: il T. infatti si è difeso in modo articolato sia in prime cure che in appello ed ha proposto un ricorso in Cassazione articolato in sette motivi, onde il suo diritto fondamentale di azione e difesa in giudizio, tutelato dall’art. 24 Cost., è stato in concreto adeguatamente protetto e salvaguardato. Infine, la vantazione circa la concessione del beneficio del patrocinio a spese dello Stato dipende da precisi requisiti personali e reddituali che il ricorrente non ha neppure specificato di possedere nel corpo della doglianza in esame.

In definitiva, il ricorso va rigettato.

Nulla per le spese, in assenza di svolgimento di attività difensiva in questo giudizio da parte de Ministero intimato.

Poichè il ricorso per cassazione è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, va dichiarata la sussistenza, ai sensi del Testo Unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dei presupposti per l’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore, importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 25 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2019

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