Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.29027 del 11/11/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – rel. Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11040-2018 proposto da:

C.S.M., elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO TRIESTE 37, presso lo studio dell’avvocato STEFANO RECCHIONI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato PLACIDO PELLICCIA;

– ricorrente –

contro

G.N., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MONTE ASOLONE 8, presso lo studio dell’avvocato MILENA LIUZZI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato FABIOLA LIUZZI;

– controricorrente –

contro

FORTUNA 88 SCARL;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1817/2017 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 05/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 06/06/2019 dal Consigliere Relatore Dott. CHIARA GRAZIOSI.

RILEVATO

che:

Con atto notificato il 29 maggio 2008 C.S.M. conveniva davanti al Tribunale di Pescara il notaio G.N. e Società Cooperativa Fortuna 88 a r.l., esponendo che dalla suddetta cooperativa aveva – con atto d’assegnazione rogato dal notaio convenuto in data 6 febbraio 2003 acquistato un immobile, già interamente pagato, e che nell’atto la cooperativa si era impegnata a cancellare il mutuo su di esso gravante. Nel 2006 la cooperativa aveva però chiesto altre somme, e l’attrice si era opposta, riservandosi di agire separatamente per il risarcimento dei danni, cioè le spese per la cancellazione degli oneri e dei pesi illegittimamente gravanti sugli immobili e “tutti i danni subiti e subendi” nei confronti della cooperativa e anche del notaio, per non avere quest’ultimo svolto le necessarie attività preparatorie. Chiedeva quindi al Tribunale di accertare l’inadempimento contrattuale e condannare i convenuti a cancellare le ipoteche, a rimborsare le spese e a risarcire i danni come richiesti.

I convenuti si costituivano, resistendo. Il Tribunale, con sentenza dell’8 settembre 2010, dichiarava inadempiente la cooperativa, condannandola a cancellare l’ipoteca, ma “disattendeva” la domanda risarcitoria verso di essa proposta nonchè la domanda proposta nei confronti del notaio.

C.S.M. proponeva appello, cui resisteva il notaio, e che la Corte d’appello di L’Aquila rigettava con sentenza del 5 ottobre 2017.

C.S.M. ha proposto ricorso, articolato in tre motivi: il primo motivo denuncia nullità della sentenza, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per manifesta contraddittorietà motivazionale e per violazione dell’art. 116 c.p.c., comma 1, e art. 2700 c.c. in ordine al valore legale delle prove documentali “in uno a violazione e falsa applicazione” dell’art. 1227 c.c. “in connessione a violazione e falsa applicazione” dell’art. 2809 c.c.; il secondo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullità della sentenza e/o “ingiustizia” ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., comma 1, in combinato disposto con l’art. 2700 c.c. quanto alla efficacia legale di prova documentale; il terzo motivo, infine, denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 2230,1176,1218 e 1223 c.c.

Si è difeso con controricorso G.N..

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

RITENUTO

che:

1.1 I primo motivo, rubricato come sopra già esposto, lamenta che il giudice d’appello, nelle pagine 5-9 dell’impugnata sentenza, abbia respinto il primo motivo del gravame, per avere ritenuto che l’unica ipoteca gravante sugli immobili assegnati alla attuale ricorrente fosse quella iscritta al 3 agosto 2000, menzionata nell’atto d’assegnazione frazionata con atto rogato il 9 maggio 2001 dal notaio M., da ciò desumendo che C.S.M., quando avvenne l’assegnazione, già sapeva dell’esistenza dell’ipoteca ma nonostante ciò concludeva l’atto, “evidentemente fidando che la cooperativa avrebbe adempiuto all’obbligazione, assunta con lo stesso atto di assegnazione (del 06. 02. 2003), di cancellarla entro il più breve tempo possibile” (passo della motivazione citato dalla censura in esame), e dunque in tal modo giungendo ad escludere la responsabilità professionale del notaio per la mancata veridicità della dichiarazione del venditore, per essere spettato all’acquirente “apprezzare il rischio” dell’operazione.

Secondo la ricorrente, la corte sarebbe così incorsa in un “sorprendente” fraintendimento, avendo ritenuto che l’ipoteca di cui si duole la C. fosse la diretta derivazione, per frazionamento, dell’ipoteca generale iscritta nel 2000. Invece l’originario mutuo edilizio e la corrispondente, originaria, unica ipoteca sarebbe stato frazionato, con atto rogato dal notaio M., il 9 maggio 2001 (ovvero “due anni prima della stipula del rogito oggetto di causa”) in vari lotti indipendenti, “sia per importo, sia per la corrispondente consistenza della relativa garanzia accessoria”; in tema si riportano dati che emergerebbero da prove documentali, per giungere ad affermare dimostrato che i beni acquistati dalla C. erano gravati da ulteriori e diverse frazioni di ipoteca non dichiarate nel rogito. L’argomento continua poi a radicarsi nell’asserito contenuto di documenti prodotti, per richiamare in seguito pure uno stralcio della sentenza di prime cure e infine ritornare al riferimento ad ulteriori dati documentali, esposti con notevole ampiezza per supportare, in ultima analisi, la sussistenza della responsabilità notarile nella vicenda.

1.2 Una mera prima lettura del motivo evidenzia che, fondandosi su una serie di riferimenti a plurime prove documentali, esso sarebbe tutt’al più sussumibile nel paradigma della censura di merito, ovvero della censura proponibile in sede d’appello; una siffatta censura è invece inammissibile dinanzi al giudice di legittimità, dal quale non si può perseguire un terzo grado di merito, scopo che, invece, è intrinsecamente e inequivocamente impresso nella sostanza del motivo.

A ciò si aggiunga che quest’ultimo, nelle sue argomentazioni, talora sfiora, nel diretto rilievo dell’asserito contenuto dei documenti, la denuncia di errore revocatorio, così da incrementare – per così dire – il tasso di inammissibilità di cui il motivo patisce.

Il contenuto del motivo, in conclusione, non corrisponde alla denuncia della nullità della sentenza e delle violazioni di legge manifestata nella sua – peraltro alquanto poliedrica – rubrica: le norme invocate sono state utilizzate come schermo rispetto ad una prospettazione estratta in via diretta dal compendio probatorio allo scopo di contrapporla a quella adottata, valutando appunto il merito, dalla corte territoriale. La violazione dell’art. 116 non è dedotto secondo i criteri indicati da Cass. n. 11882 del 2016 e ribaditi da cass. n. 16598 del 2016.

Il motivo, dunque, è ictu oculi inammissibile.

2. Non si distoglie da questa – processualmente inadeguata – impostazione neppure il secondo motivo.

Anche in quest’ultimo, infatti, la censura si pone su un piano direttamente fattuale, nonostante lo schermo approntato nella rubrica, ut supra riportata. Premesso che il giudice d’appello avrebbe escluso la responsabilità del notaio per assenza del nesso causale tra la sua condotta omissiva e il danno subito dall’attuale ricorrente “perchè, in estrema sintesi, il pretium rei sarebbe stato integralmente corrisposto prima del rogito”, subito si adduce che “ciò è smentito per tabulas” (il che, già di per sè, condurrebbe alla fattispecie di cui all’art. 395 n. 4 c.p.c.), per poi richiamare lo schema normativo tracciato nella rubrica quale solo apparente prodromo, in verità, di una vera e propria ricostruzione alternativa di esiti probatori.

Centro della censura è, infatti, l’asserto in punto di merito che “il prezzo di Euro 132.626,00=, superiore al valore di Euro 93.000,00= perchè comprensivo della parte di mutuo frazionato per la sua estensione, è stato corrisposto dalla C. integralmente in contanti con due assegni bancari n. t., entrambi intestati alla Fortuna 88 a r.l., emessi il 6. 02. 03, e quindi contestualmente alla stipula dell’atto pubblico, di cui uno appunto per anticipata estinzione del mutuo n. 6015, citato nel rogito (effettivamente estinto dalla Cooperativa), e l’altro per il saldo del prezzo pattuito per la vendita”. Sulla base di questa descrizione direttamente fattuale si lamenta allora la ricorrente che la corte territoriale abbia violato l’efficacia di prove legali; ma è del tutto evidente, si ripete, che si chiede, in radice di tutto, al giudice di legittimità di assumere le funzioni di giudice di merito.

Per di più, in questo motivo non viene neppure indicato (a differenza di quanto era avvenuto nel precedente) quale sia il passo motivazionale che si intenda confutare; e l’art. 116 c.p.c., d’altronde, viene invocato senza rispettare il paradigma dettato dalla giurisprudenza di questa Suprema Corte (cfr. Cass. 1892 3/3/2016 e, in motivazione, S.U. 16598/2016).

3. Ancora analoga è la conformazione dell’ultimo, terzo motivo: correlandosi con la censura precedente, si insiste sulla sussistenza del già messo in discussione nesso eziologico, asserendo, sempre in via direttamente fattuale, che sarebbe stato “proprio in conseguenza dell’omesso controllo delle risultanze dell’Ufficio del territorio da parte del Notaio” che l’attuale ricorrente abbia deciso di stipulare e quindi consegnare gli assegni lo stesso giorno del rogito, da questo rimodellato assetto fattuale tentando poi il motivo di trarre argomentazioni in punto di diritto.

4. In conclusione, tutti i motivi del ricorso, quantomeno per la loro fattualità diretta, lo conducono alla dichiarazione di inammissibilità, con conseguente condanna della ricorrente alla rifusione delle spese del grado – liquidate come da dispositivo – al controricorrente; sussistono altresì D.P.R. n. 115 del 2012, ex art. 13, comma 1 quater, i presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso, condannando la ricorrente a rifondere al controricorrente le spese processuali, liquidate in complessivi Euro 3000, oltre a Euro 200 per gli esborsi e al 15% per spese generali, nonchè agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 6 giugno 2019.

Depositato in cancelleria il 11 novembre 2019

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