Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.29144 del 11/11/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26660-2018 proposto da:

T.G., S.N., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CAIO MARIO 13, presso lo studio dell’avvocato SAVERIO COSI, che li rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA *****, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di PERUGIA, depositato il 12/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 03/05/2019 dal Consigliere Dott.sa FALASCHI MILENA.

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

La Corte di appello di Perugia, con decreto n. 6509/2012, previa riunione della causa con il ricorso R.G. n. 6583/2012, rigettava la domanda di equa riparazione proposta, ex lege n. 89 del 2001, da T.G. e da S.N. nei confronti del Ministero della giustizia, per l’irragionevole durata di un procedimento dagli stessi promosso contro il Banco di Napoli. Evidenziava la Corte che il giudizio, interrotto a seguito della sospensione dall’albo degli avv.ti S. e T., avvenuta con provvedimento ad essi comunicato dall’Ordine Professionale in data 24.10.2013, era stato dagli stessi riassunto tardivamente (in data 29.09.2014 da S. e in data 16.02.2015 da T.) allorchè il termine perentorio, di cui all’art. 305 c.p.c., era già giunto a compimento.

Avverso il decreto della Corte di appello di Perugia, T. e S. propongono ricorso per cassazione, fondato su due motivi.

Il Ministero della giustizia resiste con controricorso.

Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso potesse essere dichiarato infondato, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.

Atteso che:

– con il primo motivo i ricorrenti denunciano, ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e la falsa applicazione degli artt. 301,302,303,305 e 324 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c., nonchè l’omessa valutazione di una circostanza determinante, ex art. 360 c.p.c., n. 5. A detta dei ricorrenti, la notifica della comunicazione del consiglio dell’ordine degli avvocati di sospensione dall’albo degli avvocati di S. e della T. non costituirebbe attività idonea a portare i destinatari a conoscenza legale dell’evento interruttivo, essendo a tal fine necessaria la dichiarazione, notificazione, certificazione ovvero la lettura in udienza dell’ordinanza di interruzione.

Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano, ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e la falsa applicazione degli artt. 115,116,305 e 83 c.p.c., dell’art. 2697 c.c., della L. n. 89 del 2001, nonchè dell’art. 24 Cost.. A detta dei ricorrenti, non vi sarebbe stato nella specie alcun pregiudizio all’esercizio del diritto di difesa dovuto alla loro sospensione dall’albo, coincidendo il suddetto periodo di sospensione con il periodo compreso tra la data di assegnazione a sezione del procedimento di equa riparazione e quella di designazione del giudice. Peraltro, la notifica del provvedimento di sospensione sarebbe nulla, in quanto non rispettosa delle formalità di cui alla L. n. 890 del 1982, art. 7, comma 6, come novellato dal D.L. n. 248 del 2007.

I due motivi possono essere esaminati congiuntamente per la evidente connessione argomentativa che li avvince.

Per orientamento giurisprudenziale del tutto consolidato, nel processo civile, qualora la parte sia costituita a mezzo di procuratore, l’evento della morte, radiazione o sospensione del procuratore produce l’interruzione del procedimento con effetto immediato, senza necessità di dichiarazione o notifiche ed a prescindere da ogni indagine circa la conoscenza che di detto evento possono avere avuto le parti o il giudice e senza alcuna necessità di declaratoria da parte del giudice stesso, ma il termine perentorio per la riassunzione o prosecuzione del processo cosi interrotto, a seguito delle sentenze della Corte costituzionale n. 139 del 1967, n. 178 del 1970, 159 del 1971 e n. 36 del 1976, deve farsi decorrere non dal momento in cui l’evento interruttivo si verifica, ma da quello della conoscenza legale dell’evento stesso, risultante, cioè, da dichiarazione, notificazione o certificazione dell’evento, ovvero a seguito di lettura in udienza dell’ordinanza di interruzione, non essendo all’uopo sufficiente la conoscenza di fatto che di esso una delle parti abbia aliunde acquisito (tra le tante, cfr. Cass. n. 3782 del 2015; Cass. n. 3085 del 2010; Cass. n. 14691 del 1999).

Tanto chiarito, il Collegio ritiene che debba assicurarsi continuità ai precedenti di questa Corte che si sono già occupati della medesima vicenda ed hanno giudicato su identiche doglianze dei ricorrenti (Cass. n. 27348 del 2018; Cass. n. 22042 del 2018; Cass. n. 25694 del 2018; Cass. n. 12493 del 2018; Cass. n. 13564 del 2018; Cass. n. 28759 del 2017; Cass. n. 26909 del 2017), che peraltro non ritiene in contrasto con il principio sopra illustrato, giacchè questa Corte ha anche precisato come la temporaneità che connota la sospensione dall’albo professionale, a differenza della morte o della radiazione, diversifica i riflessi che essa produce sul processo interrotto per effetto del suo avveramento e segnatamente connota, non l’an dell’interruzione, bensì i modi e tempi per la sua ripresa. Il fatto che il procuratore è ben a conoscenza sia dell’accadimento interruttivo dipendente dalla subita sanzione sia della relativa durata, infatti, gli impone di riprendere automaticamente ad esercitare il suo mandato alla scadenza del comminato periodo di sospensione e, quindi, di provvedere alla prosecuzione del giudizio nel prescritto termine ex art. 305 c.p.c., decorrente dalla cessazione del periodo di sua sospensione dall’albo. In tale situazione, ai fini della tempestiva ripresa del processo, non ricorre la medesima esigenza di protezione della parte rappresentata, propria delle ipotesi di definitiva cessazione dello ius postulandi, in cui detto termine deve decorrere dalla sua conoscenza legale dell’accadimento interruttivo, poichè altrimenti resterebbe pregiudicato il diritto di difesa della parte stessa, da assicurare in modo effettivo ed adeguato (Cass. n. 24997 del 2010; Cass. n. 13490 del 2004; Cass. n. 1010 del 1969).

In questo solco si pongono i precedenti citati, in cui la Corte di Perugia ha dato rilievo a precise situazioni di fatto e di diritto al fine di addivenire alla conclusione della idonea conoscenza dell’evento interruttivo in capo ai ricorrenti. Il decreto impugnato ha evidenziato come l’avvocato T.G. e l’avvocato S.N. fossero coniugi; appartenessero allo stesso studio professionale; fossero stati coinvolti in veste di indagati nel medesimo procedimento penale ed entrambi altresì sottoposti alla misura della custodia cautelare in carcere; fossero quindi stati destinatari, in dipendenza del coinvolgimento nello stesso procedimento penale, di analogo provvedimento di sospensione cautelare dall’esercizio della professione a tempo indeterminato da parte del competente consiglio dell’ordine degli avvocati.

E’ allora innegabile che, allorquando i ricorrenti T. e S. hanno ricevuto la notificazione dei provvedimenti loro rivolti, perchè inerente alla loro sospensione cautelare dall’esercizio della professione a tempo indeterminato, hanno inevitabilmente preso atto che la vicenda disciplinare era “a carico degli avvocati S.N. e T.G. attualmente entrambi sottoposti alla misura della custodia cautelare in carcere” come anche della sospensione assunta, per i medesimi illeciti penali, nei confronti di entrambi i coindagati, coniugi e colleghi di studio.

La notificazione del provvedimento di sospensione agli avvocati T.G. e S.N. valeva, quindi, come “dichiarazione”, e cioè come mezzo di conoscenza legale. Non si è quindi al cospetto di una conoscenza acquisita aliunde ovvero induttivamente, sibbene di una conoscenza radicatasi direttamente ed immediatamente in occasione della notificazione ai ricorrenti dei rispettivi provvedimento di sospensione cautelare dall’esercizio della professione.

Quanto alla deduzione secondo cui la notificazione del provvedimento di sospensione sarebbe nulla, perchè non rispettosa delle formalità di cui alla L. n. 890 del 1982, art. 7, comma 6, come novellato dal D.L. n. 248 del 2007, di cui all’ultima parte del secondo mezzo, va rilevato che la questione si pone come del tutto nuova, e come tale inammissibile in sede di legittimità, non rinvenendosene traccia nel provvedimento impugnato, nè avendo le parti indicato in quale atto del processo di merito fosse stata dedotta, come prescritto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6.

Il ricorso va quindi rigettato, regolandosi secondo soccombenza le spese del giudizio di cassazione nell’ammontare liquidato in dispositivo.

Essendo il procedimento in esame esente dal pagamento del contributo unificato, non si deve far luogo alla dichiarazione di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso;

condanna i ricorrenti in solido alla rifusione delle spese in favore dell’Amministrazione controricorrente che vengono liquidate in complessivi 800,00 Euro, oltre a spese prenotate e prenotande a debito.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della VI-2 Sezione Civile, il 3 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2019

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