Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.29302 del 12/11/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. GIANNITTI Pasquale – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1306-2018 proposto da:

D.N.T., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato D.L.L.;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI CERMIGNANO, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLE FORNACI 38, presso lo studio dell’avvocato ALBERICI FABIO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 913/2017 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 24/05/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 23/05/2019 dal Consigliere Relatore Dott. POSITANO GABRIELE.

RILEVATO

Che:

con atto di citazione datato 4 maggio 2012, D.N.T. evocava in giudizio, davanti al Tribunale di Teramo, il Comune di Cermignano per sentirlo condannare al risarcimento dei danni subiti, ai sensi dell’art. 2043 o 2051 c.c., a seguito della caduta verificatasi l’11 dicembre 2008 mentre l’attrice percorreva a piedi una strada del centro storico del Comune, realizzata in violazione delle norme di sicurezza e di settore. In particolare, nel punto in cui si era verificato l’incidente, la pendenza della strada era del 28/0 che, in base al D.P.R. n. 503 del 1996, costituirebbe barriera architettonica per il cui superamento l’amministrazione comunale avrebbe dovuto prevedere la realizzazione di scale e non la pavimentazione in porfido e in travertino che, nei mesi invernali, risultava particolarmente scivolosa. Sotto tale profilo la strada pedonale costituiva una situazione di pericolo immanente. Si costituiva l’amministrazione comunale rilevando che la strada era stata realizzata nel rispetto della normativa vigente. La causa era istruita con consulenza tecnica per accertare se “la strada era stata realizzata secondo i parametri normativi vigenti”;

con sentenza del 23 maggio 2016, il Tribunale di Teramo rigettava la domanda rilevando che non sussisteva una normativa specifica per la realizzazione delle strade pedonali dei centri storici e che la stessa risultava comunque costruita a regola d’arte, con pavimentazione in porfido anti-sdrucciolevole, con una pendenza media del 19,2%, posta all’interno di quella massima del 20% consentita per le strade pedonali;

avverso tale decisione proponeva appello la danneggiata con atto notificato il 22 luglio 2016 lamentando la errata applicazione della normativa in materia di costruzione della strada pedonale, il mancato rispetto delle regole della migliore arte prevista per la realizzazione di tale manufatto, l’inutilizzabilità della consulenza tecnica, la violazione degli artt. 2051,2043 e 2697 c.c. e la erroneità della condanna al pagamento delle spese processuali. Si costituiva l’amministrazione comunale chiedendo il rigetto dell’impugnazione e la Corte d’Appello, con sentenza del 24 maggio 2017, emessa ai sensi dell’art. 281-sexies c.p.c., rigettava l’appello condannando l’appellante al rimborso delle spese processuali;

avverso tale decisione propone ricorso per cassazione D.N.T. affidandosi a sei motivi che illustra con memoria. Resiste con controricorso l’amministrazione comunale di Cermignano.

CONSIDERATO

Che:

con il primo motivo si lamenta la violazione del D.P.R. 24 luglio 1996, n. 503 e del decreto ministeriale dei lavori pubblici n. 236 del 14 giugno 1989, oltre all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. Secondo la ricorrente sarebbe errata l’argomentazione della Corte territoriale secondo cui non vi sarebbe una normativa di riferimento in tema di pendenza e modalità costruttive delle strade, sebbene fondata sulla consulenza tecnica. Al contrario, il D.P.R. n. 503 del 1996 si applicherebbe proprio alle nuove costruzioni, come quella in esame;

con il secondo motivo si deduce l’omesso esame di un fatto decisivo e la contraddittorietà della motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5. In particolare, l’amministrazione comunale non aveva fatto tutto quello che avrebbe dovuto per rendere più sicura la strada pedonale che presentava una pendenza del 28% e questo sarebbe in contrasto con l’affermazione secondo cui non vi sarebbero disposizioni normative specifiche, con la previsione di un obbligo a carico dell’amministrazione;

con il terzo motivo si lamenta la nullità della motivazione in quanto apparente o contraddittoria, perchè fondata sulle conclusioni del consulente, certamente errate, contraddittorie e, comunque, inutilizzabili, e ciò ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. Il consulente non avrebbe risposto al quesito sottoposto dal giudice, dichiarando che la strada era stata realizzata a regola d’arte, ma ammettendo, in sede di chiarimenti, che “si sarebbe potuto fare di più”, ma ciò non era imposto da alcuna norma, con ciò evidenziando conclusioni contraddittorie;

con il quarto motivo si deduce la violazione di artt. 2051,2043 e 2697 c.c. e l’omessa considerazione di un fatto storico, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. In particolare, l’ente pubblico non avrebbe dimostrato che l’infortunio si era verificato per caso fortuito o fatto imputabile alla ricorrente, per cui -applicando correttamente l’art. 2051 c.c. – avrebbe dovuto essere affermata la responsabilità dell’ente quale proprietario o custode della strada;

con il quinto motivo si lamenta la violazione dell’art. 91 c.p.c., ai sensi art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. Poichè la domanda era stata rigettata in quanto, sulla base del parere del consulente, non vi era alcuna previsione normativa che obbligasse l’amministrazione comunale a realizzare “quel tanto di più”, ricorrevano i giusti motivi per compensare le spese legali;

con l’ultimo motivo si deduce la violazione delle norme in tema di patrocinio a spese dello Stato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in quanto non sussisterebbero i presupposti per la revoca del provvedimento di ammissione, in quanto il gravame non era manifestamente infondato;

i primi tre motivi, strettamente connessi, presentano profili di inammissibilità perchè dedotti in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, perchè evocano il contenuto della consulenza tecnica d’ufficio senza trascrivere o allegare tale documento, se non per brevi stralci, inidonei a consentire a questa Corte una valutazione sulla motivazione del giudice di appello, nei termini dedotti con il ricorso;

oltre a ciò, il primo motivo esula dal perimetro dell’art. 360 c.p.c., n. 5, perchè la valutazione della realizzazione del pavimento della via ***** è stata fatta dalla Corte territoriale sulla base di un giudizio di fatto, fondato sulle risultanze processuali, mentre il tema riguarderebbe, al più, la qualificazione di tale opera come ristrutturazione (come sostenuto dalla ricorrente) o restauro conservativo o manutenzione straordinaria, come ritenuto in sentenza, sulla base della CTU. Rispetto a tale valutazione la doglianza è meramente assertiva e involge valutazioni che riguardano il merito, non demandabili alla Corte di legittimità. Nella memoria parte ricorrente rileva che la violazione di legge riguarderebbe la circostanza secondo cui il “rifacimento della pavimentazione di via *****” costituirebbe realizzazione ex novo dell’opera con conseguente obbligo di osservare la normativa in materia di barriere architettoniche. Ma tale profilo non aggiunge elementi di novità rispetto a quanto già osservato;

il secondo motivo è inammissibile per genericità, poichè ancorato ad una valutazione ipotetica del c.t.u. Sotto altro profilo non individua quale sarebbe stato il fatto storico che la Corte territoriale avrebbe omesso di considerare e, comunque, coinvolge un accertamento in ordine alla percentuale della pendenza, media o del luogo dell’incidente, che riguarda apprezzamenti in fatto non sindacabili in sede di legittimità;

il terzo motivo intende desumere la nullità della sentenza dalla pretesa contraddittorietà della consulenza che, al contrario appare coerente nell’evidenziare quello che, secondo la legge, è stato fatto e quello che sarebbe stato possibile fare, sebbene non obbligatorio, demandando poi al giudice ogni discrezionale valutazione;

a ciò va aggiunto che la normativa invocata rileva solo come disciplina tecnica che, eventualmente, sarebbe stata pertinente, nel caso di specie e che il consulente di ufficio ha escluso lo fosse. Non si tratta, pertanto, di norme di diritto di cui si è fatta applicazione all’oggetto del processo;

il quarto motivo è infondato perchè non coglie l’implicita individuazione nel fatto dell’infortunata quale causa unica dell’evento rilevante ai sensi dell’art. 2051 c.c., in termini di caso fortuito. In ogni caso, la censura è strutturata come richiesta di valutazione del materiale probatorio sottoponendo alla Corte di legittimità una ricostruzione più favorevole rispetto a quella adottata dai giudici di merito;

la mancata compensazione delle spese legali, oggetto del quinto motivo, non è sindacabile in cassazione (C. Cass. Sez. Un., n. 14988 del 2005), e comunque la norma invocata non prevede più la compensazione per “giusti motivi”;

la censura sulla revoca oggetto del sesto motivo va proposta con l’opposizione ai sensi dell’art. 170 del testo unico sulle spese (Cass. n. 29228 del 6 dicembre 2018);

la memoria non apporta elementi di novità rispetto a quanto osservato.

ne consegue che il ricorso deve essere rigettato; le spese del presente giudizio di cassazione possono essere compensate in ragione della peculiarità della vicenda. Infine, va dato atto – mancando ogni discrezionalità al riguardo (tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra molte altre: Cass. Sez. U. 27/11/20156 n. 24245) – della sussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione e per il caso di reiezione integrale, in rito o nel merito.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e dichiara integralmente compensate le spese di lite.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sesta Sezione Civile-3 della Corte Suprema di Cassazione, il 23 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2019

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