Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.32149 del 10/12/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13474-2017 proposto da:

FONDAZIONE TEATRO DELL’OPERA DI ROMA, in persona del Sovraintendente pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLE TRE MADONNE 8, presso lo studio dell’avvocato MARCO MARAZZA, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati MAURIZIO MARAZZA, DOMENICO DE FEO;

– ricorrente –

contro

G.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FLAVIO STILICONE 28, presso lo studio dell’avvocato ALBERTO BELLET, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5124/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 02/12/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata dell’11/09/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ADRIANA DORONZO.

RILEVATO

che:

1.- G.D. ha convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma la Fondazione Teatro dell’opera di Roma e ha chiesto che fosse dichiarata la nullità del termine apposto ai contratti di lavoro a tempo determinato stipulati a partire dal giorno 11 febbraio 2003, il ripristino del rapporto di lavoro e il risarcimento dei danni.

2.- Il Tribunale ha accolto la domanda, accertando la posteriorità del perfezionamento del contratto con la forma scritta rispetto all’inizio dell’attività lavorativa; sul punto ha ritenuto che la protocollazione dell’atto (datata 14/2/2003) fosse il momento in cui l’accettazione della proposta di lavoro da parte del lavoratore era pervenuta a conoscenza della Fondazione e tale momento era successivo all’inizio della prestazione, avvenuta il 11 febbraio 2003; il contratto si era pertanto perfezionato con la forma richiesta in epoca successiva all’inizio dell’attività lavorativa; ha pertanto dichiarato la nullità del termine e la costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, con ordine alla Fondazione di riammettere il lavoratore nel posto di lavoro precedentemente occupato (componente dell’orchestra quale trombone) e con condanna della stessa convenuta al risarcimento dei danni, nella misura forfettaria di sette mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, ai sensi della L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5.

3.- La Corte d’appello ha rigettato l’impugnazione proposta dalla Fondazione.

4.- Contro la sentenza la Fondazione ha proposto ricorso per cassazione sulla base dei motivi che di seguito si illustrano; il lavoratore ha resistito con controricorso; la proposta del relatore è stata comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale non partecipata. In prossimità dell’adunanza la ricorrente ha depositato memoria.

CONSIDERATO

che:

1.- Il ricorso è articolato nei seguenti motivi:

1.1.- “Art. 360 c.p.c., n. 3, Violazione e falsa applicazione dell’art. 1 C.C.N.L., comma 2, per i dipendenti dalle fondazioni lirico-sinfoniche. Violazione del D.L. n. 91 del 2013, art. 11, comma 19, convertito nella L. n. 112 del 2013”: si osserva che, alla stregua delle disposizioni richiamate, le assunzioni di personale con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato presso le Fondazioni lirico sinfoniche possono avvenire solo a mezzo di apposite procedure selettive pubbliche;

1.2.- “art. 360 c.p.c., n. 5, in relazione agli artt. 115 e 116 c.p.c. nonchè in relazione all’art. 132 c.p.c. Omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti. Art. 360 c.p.c., n. 3, Violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. in relazione al D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, comma 2. Violazione degli artt. 1326 e 1335 c.c., Art. 360 c.p.c., n. 4, Violazione dell’art. 132 c.p.c. nonchè art. 118 disp. att. c.p.c. assenza testuale di motivazione”: con tale articolato motivo si denuncia l’omesso esame del documento contrattuale su cui risulta stampata la data dell’I 1 febbraio 2003. Si assume che il contratto era stato firmato dal legale rappresentante della Fondazione in tale data ed era stato poi inviato al professionista per la firma di accettazione prima dell’inizio dell’attività lavorativa, sicchè a tale data doveva ritenersi concluso il contratto; la data successiva del 14 febbraio 2003 costituiva il momento in cui il contratto era stato protocollato, privo di rilevanza giuridica trattandosi di incombente amministrativo; la Corte di appello, aderendo acriticamente all’interpretazione data sul punto dal giudice di primo grado, aveva omesso di chiarire perchè la data di protocollo anzichè quella dattiloscritta fosse da considerare il momento di perfezionamento del contratto.

2. – Il primo motivo, in questa stessa pressochè identica formulazione, è stato già scrutinato da questa Corte (in termini, Cass. 14/5/2019, n. 12776; v. pure Cass. 20/4/2018, n. 9896; Cass. Corte 28/9/2016, n. 19189; Cass. 20 marzo 2014, n. 6547; conf. pure Cass. n. 10924 del 2014) che, con orientamento che si ritiene quindi condividere anche per gli effetti di cui all’art. 118 disp. att. c.p.c., lo ha ritenuto infondato sul presupposto che le norme dettate in materia di blocco delle assunzioni, di cui alle leggi finanziarie del 2006 e del 2008, costituiscono norme esterne alla fattispecie dedotta in giudizio. Esse infatti riguardano il funzionamento e l’autorganizzazione del datore di lavoro e, pur potendo incidere indirettamente sulla esistenza del rapporto di lavoro invocata dal privato, non possono farne degradare la posizione di diritto soggettivo sorta in conseguenza di atti di gestione del rapporto di tipo privatistico (cfr., Cass., S.U. 14/12/1999, n. 894 del 1999) e non possono, dunque, incidere sulla decisione giurisdizionale che intervenga in seguito all’entrata in vigore della disposizione normativa considerata.

2.1.- Tale conclusione risulta ora imposta anche dalla interpretazione della normativa considerata, data dalla Corte di giustizia nella causa Sciotto (Corte di giust. 25 ottobre 2018, causa C-331/17) e dalla necessità di evitare gravi disparità di trattamento anche alla luce della dottrina Milkova (V. Corte Giust. 9 marzo 2017, Causa C- 406/15, Milkova), dovendo scongiurarsi il rischio che la distinzione operata da una normativa nazionale tra i lavoratori subordinati a tempo determinato alle dipendenze di un qualsiasi datore di lavoro privato e quelli che svolgano le medesime mansioni alle dipendenze di una Fondazione lirica, non risulti adeguata al fine perseguito da tale normativa.

2.2.- Posto che il contratto dichiarato nullo dalla Corte è stato stipulato fra le parti in data precedente l’introduzione, nell’ambito del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, comma 1, del riferimento anche alla “ordinaria attività del datore di lavoro” (introdotto dal D.L. n. 25 giugno 2008, n. 112, art. 21, comma 1, convertito con modificazioni, nella L. 6 agosto 2008, n. 133), va ribadito l’orientamento già ripetutamente affermato da questa Corte e che qui, sinteticamente, si riporta:

a) dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 368 del 2001, ai contratti di lavoro a termine stipulati dal personale delle fondazioni lirico-sinfoniche previste dal D.Lgs. n. 367 del 1996, si applicano le disposizioni di cui al D.Lgs. n. 368 del 2001, con le uniche esclusioni costituite dall’art. 4, relativo alle proroghe, e dall’art. 5, relativo alle prosecuzioni ed ai rinnovi (D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 11, comma 4);

b) pertanto, la violazione “delle norme che prevedono la forma scritta ad substantiani e la specifica indicazione della causale,…, devono essere riportate nell’ambito della disciplina ordinaria del contratto di lavoro a tempo determinato, con la conseguente conversione del rapporto in rapporto a tempo indeterminato”;

c) l’esclusione dell’applicabilità del D.Lgs. n. 368 del 2001, alle fondazioni lirico-sinfoniche opera in caso di successione di contratti e non si estende alle anomalie genetiche dei medesimi (cfr. Cass. n. 6547 del 2014 cit. e, ex- multis, successivamente Cass. n. 10924 del 2014, Cass. n. 19189 del 2016, Cass. 9896 del 2018, Cass. n. 25802 del 2018);

d) la tesi difensiva della Fondazione, secondo cui la conversione del contratto sarebbe impedita dall’art. 1 C.C.N.L., che prevede per il personale in esame le assunzioni per concorso, non è condivisibile in quanto la circostanza che le assunzioni a tempo indeterminato di personale artistico avvengano di norma per concorso pubblico (disposizione ben diversa da quella di cui all’art. 97 Cost.) non pone limitazioni al giudice in caso di accertata sussistenza dei presupposti per la conversione del rapporto a tempo determinato in rapporto a tempo indeterminato (Cass. n. 9896/2018, cit.; Cass. 9 gennaio 2017, n. 208);

e) infine, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 260 del 11 dicembre 2015, condividendo la ricostruzione del quadro normativo compiuto da questa Corte (richiamando non solo Cass. n. 6547/2014, ma anche Cass. n. 10924, n. 10217, n. 7243, n. 5748 del 2014), ha dichiarato “l’illegittimità costituzionale del D.L. 21 giugno 2013, n. 69, art. 40, comma 1-bis (Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia), convertito, con modificazioni, dalla L. 9 agosto 2013, n. 98, art. 1, comma 1, nella parte in cui prevede che il D.L. 30 aprile 2010, n. 64, art. 3, comma 6, primo periodo, convertito, con modificazioni dalla L. 29 giugno 2010, n. 100, art. 1, comma 1, si interpreta nel senso che alle fondazioni lirico-sinfoniche, fin dalla loro trasformazione in soggetti di diritto privato, non si applicano le disposizioni di legge che prevedono la stabilizzazione del rapporto di lavoro come conseguenza della violazione delle norme in materia di stipulazione di contratti di lavoro subordinato a termine”;

aggiunge la sentenza n. 260 del 2015 che “con riguardo ai lavoratori dello spettacolo, la Corte di giustizia ha valorizzato il ruolo della “ragione obiettiva” come mezzo adeguato a prevenire gli abusi nella stipulazione dei contratti a tempo determinato e come punto di equilibrio tra il diritto dei lavoratori alla stabilità dell’impiego e le irriducibili peculiarità del settore (sentenza 26 febbraio 2015, nella causa C-238/14, Commissione contro Granducato di Lussemburgo, che riprende le affermazioni della sentenza della Corte di giustizia, 26 novembre 2014, nelle cause riunite C-22/13 e da C-61/13 a C-63/13 e C-418/13, Mascolo ed altri)”: tanto ad ulteriore motivo di sostegno all’assunto che l’estensione del divieto di conversione del contratto a tempo determinato oltre i confini originariamente tracciati, includendo anche l’ipotesi di un vizio genetico del contratto a tempo determinato, pregiudica un aspetto fondamentale delle tutele accordate dall’ordinamento ai rapporti di lavoro, in un contesto già connotato in senso marcatamente derogatorio rispetto al diritto comune.

2.3.- Questi principi valgono a respingere il motivo di ricorso in esame non potendosi attribuire rilievo ad una norma (D.L. n. 91 del 2013, art. 11, comma 19), che secondo la stessa Corte costituzionale è “antesignana” dell’art. 40, dichiarato poi illegittimo e che, in mancanza di una diversa indicazione normativa, non può avere effetto che per l’avvenire (art. 11 preleggi). Nel senso della irretroattività si è già espressa questa Corte (Cass. 2/4/2019, n. 9125, ed ivi ulteriori richiami).

3. Il secondo motivo di ricorso, nella parte in cui censura l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti controversia, è inammissibile alla luce del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (come modificato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 comma 1, lett. b), conv. con modifiche in L. 7 agosto 2012 n. 134): le Sezioni Unite di questa Corte (Sez. Un. 7 aprile 2014, nn. 8053, 8054) hanno avuto modo di precisare che, a seguito della modifica, il vizio di motivazione si restringe a quello di violazione di legge e, cioè, dell’art. 132 c.p.c., che impone al giudice di indicare nella sentenza “la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione”, secondo quello che è stato definito il “minimo costituzionale” della motivazione; perchè la violazione sussista si deve essere in presenza di un vizio “così radicale da comportare con riferimento a quanto previsto dall’art. 132 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza per mancanza di motivazione”, fattispecie che si verifica quando la motivazione manchi del tutto, oppure formalmente esista come parte del documento, ma le argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum.

3.1. seguito della riforma del 2012 è scomparso il controllo sulla motivazione con riferimento al parametro della sufficienza; inoltre, il vizio può attenere solo alla quaestio facti (in ordine alle quaestiones iuris non è configurabile un vizio di motivazione) e deve essere testuale, deve, cioè, attenere alla motivazione in sè, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali.

3.2. Il motivo all’esame non presenta alcuno dei requisiti di ammissibilità richiesti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella su riportata interpretazione (v. pure Cass., 27/11/2014, n. 25216; Cass., ord. 1740/2015), dal momento che, come si è evidenziato nella parte espositiva della presente ordinanza, la motivazione è certamente esistente, priva di intrinseche illogicità o contraddittorietà, affatto idonea a rendere intelligibile l’iter logico seguito dal giudice; il fatto “storico”, costituito dal documento contrattuale, è inoltre stato compiutamente esaminato dalla corte territoriale che, confermando il giudizio già espresso dal primo giudice, ha ritenuto decisiva, ai fini della sottoscrizione del contratto, e quindi del suo perfezionamento nella forma prescritta per legge, la data apposta sulla lettera di assunzione al momento della sua protocollazione, coincidente con il momento in cui l’accettazione del lavoratore è pervenuta nella sfera di conoscenza o conoscibilità del proponente, in piana applicazione degli artt. 1326 e 1335 c.c.

Deve aggiungersi che il convincimento della Corte romana in ordine al momento di perfezionamento del contratto è stato raggiunto non solo sulla base del documento contrattuale, il cui esame pertanto non è stato affatto omesso, ma anche in forza di altri elementi di prova quale le dichiarazioni rese da testi escussi in procedimenti aventi analogo oggetto, i quali hanno dichiarato che il numero di protocollo apposto ai contratti, con la relativa data, era quello in cui il contratto era consegnato al lavoratore e non il contrario; ha poi aggiunto con un ragionamento logicamente corretto ed immune da errori nell’interpretazione delle norme in esame che, anche a voler ritenere che il documento fosse stato già sottoscritto dal legale rappresentante della fondazione al momento della sua consegna al lavoratore, non vi erano elementi per superare il fatto che ai fini del perfezionamento dell’accordo fosse necessaria l’accettazione del lavoratore portata a conoscenza del proponente, in data necessariamente successiva quella apposta sul documento.

Alla luce di queste complessive valutazioni, non può certamente dirsi sussistente la denunciata nullità della sentenza per assenza di motivazione ai sensi dell’art. 132 c.p.c. con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 4 (cfr. anche Cass. 16/10/2018, n. 25803, su fattispecie analoga).

3.3.- Quanto alle denunciate violazioni di legge, la ricorrente non specifica quali siano le affermazioni in diritto contenute in sentenza in contrasto con le norme citate in rubrica (v. Cass. 31/05/2006, n. 12984; Cass. 29/11/2016, n. 24298) e, soprattutto, con le norme sulla ripartizione degli oneri probatori, giacchè la doglianza relativa alla violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c. è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne risulta gravata secondo le regole dettate da quella norma, non invece se l’oggetto della censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (sindacabile, quest’ultima, in sede di legittimità, entro i ristretti limiti del nuovo art. 360 c.p.c., n. 5: Cass. 29/05/2018, n. 13395).

3.4.- Nel caso in esame il giudice del merito non ha operato un’indebita inversione di tale onere, trasferendolo sulla controparte, ma ha ritenuto che lo stesso fosse stato debitamente assolto all’esito della valutazione delle risultanze istruttorie.

L’eventualità che la valutazione delle acquisizioni istruttorie sia stata incongrua e che il giudice abbia errato nel ritenere che la parte onerata avesse assolto l’onus probandi non integra violazione dell’art. 2697 c.c., ma soltanto un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità esclusivamente nei limiti sopra ricordati.

4. In conclusione il ricorso deve essere rigettato e la ricorrente deve essere condannata al pagamento delle spese del presente giudizio, nella misura liquidata in dispositivo. Sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 4000,00 per compensi professionali e Euro, 200 per esborsi, oltre al rimborso forfettario del 15% per spese generali e agli altri accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1, quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 11 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 dicembre 2019

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