Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.32401 del 11/12/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4054/2016 proposto da:

Banco di Napoli S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, Via XX Settembre n. 3, presso lo studio dell’avvocato Miccolis Giuseppe, che lo rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

L.C. & C. S.n.c., e Concordato Preventivo L.C. & C. snc, in persona rispettivamente del legale rappresentante e del Commissario liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliati in Roma, Viale Bruno Buozzi n. 53/a, presso lo studio dell’avvocato Cordaro Angela Maria Lorena, rappresentati e difesi dagli avvocati Ciliento Lorenzo e Nacci Daniele, giusta procura in calce al ricorso notificato;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1543/2015 della CORTE D’APPELLO di BARI, del 08/10/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24/09/2019 dal cons. Dott. FIDANZIA ANDREA.

FATTI DI CAUSA

Con sentenza n. 2893/2013, il Tribunale di Bari – sezione distaccata di Acquaviva delle Fonti – nella domanda proposta da L.C. & C. contro il Banco di Napoli s.p.a. avente ad oggetto l’accertamento della nullità delle clausole relative agli interessi “uso piazza”, agli addebiti per spese e commissioni di massimo scoperto ed alla capitalizzazione trimestrale dei medesimi interessi debitori, la rideterminazione del saldo del conto corrente n. ***** acceso presso l’istituto di credito, e la condanna di quest’ultimo alla restituzione delle somme indebitamente incassate, ha condannato la Banca al pagamento della somma di Euro 38.806,66, oltre interessi e spese.

La Corte d’Appello di Bari, con sentenza depositata in data 8 ottobre 2010, in accoglimento dell’appello proposto da L.C. & C. e dal Concordato Preventivo L.C. & C., ha condannato la Banca al pagamento della maggior somma di Euro 384.275,18.

Il Giudice di secondo grado, sul rilievo che la Banca, nel sollevare l’eccezione di prescrizione, non aveva allegato la natura solutoria dei versamenti effettuati dal correntista, ha osservato che, in difetto di tale necessaria specificazione, prevalendo l’ordinaria natura ripristinatoria dei versamenti, il termine non poteva che decorrere dalla chiusura del conto. Ne conseguiva che il credito restitutorio doveva essere accertato in relazione all’intero arco di durata del rapporto di conto corrente.

In ordine al quantum da rideterminarsi all’esito del superamento dell’eccezione di prescrizione della Banca, il giudice d’appello ha evidenziato di aver fatto uso degli stessi parametri di elaborazione del saldo già utilizzati dal giudice di primo grado, sul rilievo che su tale punto la pronuncia di prime cure era coperta da giudicato, avendo gli appellanti limitato i propri rilievi critici all’accoglimento da parte del Tribunale di Bari (sezione distaccata di Acquaviva delle Fonti) dell’eccezione di prescrizione sollevata dalla Banca.

Avverso la predetta ha proposto ricorso per cassazione il Banco di Napoli s.p.a. affidandolo a tre motivi.

La L.C. & C. e il Concordato Preventivo L.C. & C. si sono costituiti in giudizio con controricorso.

Il Banco di Napoli s.p.a. ha, altresì, depositato la memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo l’Istituto ricorrente ha dedotto la nullità della sentenza ed errore in procedendo per violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per omessa pronuncia in merito all’eccezione di giudicato dallo stesso sollevata.

Lamenta la Banca che la Corte d’Appello ha omesso di decidere sulla predetta eccezione di giudicato in relazione alle domande di accertamento e declaratoria di nullità parziale formulate dalla L. s.n.c. in atto di citazione, che sono state respinte dal giudice di primo grado.

Rileva la Banca di aver già evidenziato nell’atto di appello che avendo il giudice di primo grado accolto solo la domanda sub e) delle conclusioni dell’atto di citazione volta a “condannare la Banca alla restituzione in favore dell’attrice della somma già determinata nell’allegata consulenza di parte, ovvero occorrendo provvedere, con l’ausilio di un Consulente tecnico-contabile d’Ufficio alla rideterminazione del saldo finale del citato conto corrente, previa espunzione ut supra di tutti gli addebiti illegittimi….”, ed avendo rigettato “nel resto”, tutte le altre domande di declaratoria di invalidità delle clausole o di illegittimità degli addebiti proposte dalla correntista dovevano considerarsi rigettate.

2. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 329 e 366 c.p.c. nonchè degli artt. 2909 e 2033 c.c., per avere la sentenza impugnata accolto l’appello pur in mancanza della specifica impugnazione da parte dell’appellante del rigetto delle domande (di accertamento della illegittimità degli addebiti e di nullità parziale del contratto di conto corrente) che costituivano il presupposto della condanna.

Lamenta la banca che la correntista ha impugnato solo la “condanna consequenziale” e non già il rigetto del “presupposto accertativo e dichiarativo”.

3. I primi due motivi, da esaminarsi unitariamente in relazione alla stretta connessione delle questioni trattate, sono infondati.

Non vi è dubbio che il giudice di primo grado, nell’accogliere la domanda della correntista sub e) delle conclusioni dell’atto di citazione volta a “condannare la Banca alla restituzione in favore dell’attrice della somma già determinata nell’allegata consulenza di parte, ovvero occorrendo provvedere, con l’ausilio di un Consulente tecnico-contabile d’Ufficio alla rideterminazione del saldo finale del citato conto corrente, previa espunzione ut supra di tutti gli addebiti illegittimi….”, riconoscendo a favore della stessa un credito di Euro 38.806,66, abbia implicitamente accolto, altresì, le domande di declaratoria di invalidità delle clausole del contratto di conto corrente e di illegittimità degli addebiti effettuati dalla banca.

Non si spiegherebbe, diversamente, in base a quale titolo sarebbe stata allora emanata dal giudice di primo grado la pronuncia di condanna della Banca alla restituzione dell’indebito, la quale, presupponeva, sempre seguendo le conclusioni sub e) dell’atto di citazione, la ” rideterminazione del saldo finale del citato conto corrente, previa espunzione ut supra di tutti gli addebiti illegittimi”. Erra quindi l’Istituto ricorrente nell’affermare che le domande di accertamento proposte dalla correntista, prodromiche all’accoglimento della domanda di condanna, siano state rigettate dal giudice di primo grado.

Tali domande sono state, viceversa, pienamente accolte.

La parte del dispositivo del giudice di primo grado “rigetta nel resto” si spiega in relazione al fatto che il giudice di primo grado, accogliendo l’eccezione di prescrizione sollevata dall’istituto di credito, ha sensibilmente ridotto l’entità della somma che ha condannato la Banca a restituire alla correntista (aumentata, invece, dal giudice d’appello, nel rigettare l’eccezione di prescrizione, ad Euro 384.275,18).

Ciò premesso, la sentenza impugnata non ha affatto omesso di esaminare l’eccezione di giudicato sollevata dalla Banca, confermando implicitamente, sulla questione relativa alla nullità delle clausole del contratto di conto corrente ed alla illegittimità degli addebiti, la decisione del giudice di primo grado.

Ciò emerge inequivocabilmente dal rilievo che il giudice d’appello ha affermato espressamente di aver fatto uso degli stessi parametri di rielaborazione del saldo già utilizzati dal giudice di primo grado (tassi legali ex art. 1284 c.c. sino all’entrata in vigore della L. n. 154 del 1992 e poi tassi BOT, capitalizzazione semplice, nessun addebito per cms e spese), includendo solo nel suo conteggio quelle somme che il giudice di primo grado aveva scorporato a seguito dell’accoglimento (non condiviso dalla Corte di merito) dell’eccezione di prescrizione sollevata dalla banca.

4. Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 99 e 115 c.p.c. e degli artt. 2697, 2934, 1823, 1842 e 1852 c.c., per avere la sentenza impugnata rigettato l’eccezione di prescrizione sollevata dalla Banca, ritenendola generica per la mancata allegazione della natura solutoria delle rimesse.

Lamenta l’istituto di credito che il convenuto che solleva l’eccezione di prescrizione deve allegare e provare solo i fatti su cui l’eccezione estintiva, impeditiva o modificativa del diritto azionato si fonda, e, segnatamente, l’inerzia del titolare del diritto in un periodo di tempo previsto ex lege, non rilevando l’omessa allegazione della natura solutoria delle rimesse.

Afferma, inoltre, la banca di aver indicato il dies a quo per il decorso della prescrizione dell’azione di ripetizione, individuandolo nel giorno in cui sono avvenute le singole operazioni.

5. Il motivo è fondato.

Va osservato che questa Corte ha più volte affermato, da un lato, che il cliente che agisce ex art. 2033 c.c. per la ripetizione dell’indebito corrisposto alla banca nel corso del rapporto di conto corrente, ha l’onere di provare i fatti costitutivi del diritto vantato, ovvero, la dazione di somme e la mancanza di una causa che le giustifichi o il venir meno di questa (cfr. Cass. S.U. n. 24418 del 2 dicembre 2010; n. 1734 del 25 gennaio 2011; recentemente, n. 27704 del 10.7.2018), dall’altro, che la banca, nell’eccepire la prescrizione decennale del diritto alla ripetizione dell’indebito, ha l’onere di allegare, quale fatto estintivo, l’inerzia, il tempo del pagamento ed il tipo di prescrizione invocata e l’eccezione di prescrizione è validamente proposta quando la parte ne abbia allegato il fatto costitutivo, e cioè l’inerzia del titolare, e manifestato la volontà di avvalersene (da ultimo, Cass. 22 febbraio 2018, n. 4372 e Cass. 26 luglio 2017, n. 18581, che richiamano precedenti ulteriori, fra cui Cass. 29 luglio 2016, n. 15790; Cass. 20 gennaio 2014, n. 1064).

Non è quindi richiesta la specificazione della natura solutoria dei versamenti, come ritenuto dalla Corte d’Appello, essendo sufficiente che il tempo trascorso dal momento in cui sono stati effettuati i versamenti integri effettivamente il periodo necessario per il decorso della prescrizione, unita alla dichiarazione di volerne approfittare (vedi recentemente Cass. S.U. 13 giugno 2019 n. 15895).

A questo punto, diviene nuovamente onere del cliente provare il fatto impeditivo, consistente nell’esistenza di un contratto di apertura di credito, che qualifichi quei versamenti come mero ripristino della disponibilità accordata e, dunque, possa spostare l’inizio del decorso della prescrizione alla chiusura del conto (in questi termini, recentemente, Cass. n. 26660/19; n. 27704/2018).

Peraltro, erra la Corte territoriale nel sostenere che “prevalendo l’ordinaria funzione ripristinatoria dei pagamenti, il termine non poteva che decorrere dalla chiusura del conto”.

Sul punto, va osservato che i casi in cui questa Corte ha affermato (Cass. 26 febbraio 2014, n. 4518), che “i versamenti eseguiti su conto corrente, in corso di rapporto hanno normalmente funzione ripristinatoria della provvista e non determinano uno spostamento patrimoniale dal solvens all’accipiens” e che “Tale funzione corrisponde allo schema causale tipico del contratto”, presupponevano l’esistenza di un contratto di apertura di credito e vanno quindi contestualizzate alle situazioni concrete esaminate in quelle occasioni da questa Corte.

Ne consegue che erroneamente la Corte di merito ha ritenuto non correttamente formulata l’eccezione di prescrizione, facendo decorrere il termine di prescrizione dalla data di chiusura del conto corrente.

In virtù dell’accoglimento del terzo motivo di ricorso, deve cassarsi la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’Appello di Bari, in diversa composizione, per nuovo esame e per provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Rigetta il primo ed il secondo motivo, accoglie il terzo e, per l’effetto, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Bari, in diversa composizione, per nuovo esame e per provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 24 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 dicembre 2019

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