Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.32474 del 11/12/2019

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria Consiglie – –

Dott. ESPOSITO Lucia – rel. Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24007-2018 proposto da:

B.M., elettivamente domiciliata in ROMA, V. GERMANICO 197, presso lo studio dell’avvocato FELICIA D’AMICO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato ALFREDO GALASSO;

– ricorrente –

contro

R.S.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ANTONIO BAIAMONTI 4, presso lo studio dell’avvocato LAURA CAPPELLO, rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCESCA LEONE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 412/2018 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 31/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 10/09/2019 dal Consigliere Relatore Dott. LUCIA ESPOSITO.

RILEVATO

Che B.M. conveniva il giudizio R.S.A. dinanzi al Tribunale di Marsala chiedendo accertarsi la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato quale collaboratrice domestica a servizio della madre del convenuto dal 2000 al 2012;

che il Tribunale accoglieva la tesi difensiva del R. secondo il quale, quanto al periodo fino al 2008, difettava di titolarità nel rapporto, intercorso con la madre di costui, mentre per il periodo successivo la prestazione espletata dalla B. si era trasformata sul piano causale, in virtù di una causa affectionis dovuta alla relazione more uxorio nel frattempo instaurata con lo stesso R.;

che la Corte d’appello di Palermo, sulla base della valutazione delle risultanze istruttorie, confermava la decisione del giudice di primo grado;

che avverso la sentenza propone ricorso per cassazione B.M. sulla base di tre motivi, illustrati con memoria;

che R.S.A. resiste con controricorso;

che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata.

CONSIDERATO

che con il primo motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione di legge con riferimento agli artt. 2094 e 2697 c.c., osservando che erroneamente i giudici del merito avevano rilevato che la ricorrente non avrebbe vinto una presunzione logica, quella secondo la quale soggetto obbligato di un rapporto sinallagmatico è colui che riceve l’altrui prestazione, pur trattandosi nella specie di persona afflitta da malattia invalidante;

che con il secondo motivo la ricorrente deduce ex art. 360 c.p.c., n. 5, omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, osservando che le deposizioni dei testi Ba. e Br. erano convergenti nel senso della sussistenza di direttive impartite dal R.;

che con il terzo motivo deduce ex art. 360 c.p.c., n. 3 violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione agli artt. 2094 e 2729 c.c., sempre in relazione alla convergenza delle deposizioni dei testi Ba. e Br., poichè la Corte d’appello non aveva fatto corretto utilizzo dei criteri dettati dall’art. 2729 c.c., mancando di effettuare una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi e pervenendo a un apprezzamento atomistico e parcellizzato;

che il primo e il terzo motivo propongono sub specie violazione di legge una rivalutazione del materiale probatorio su cui è fondata la decisione, costituito da vere e proprie prove e non solo da presunzioni (Cass. n. 8758 del 04/04/2017);

che il secondo motivo non è conforme alla nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, come interpretato dalle SU di questa Corte (Cass. 8053/2014), poichè si risolve nella prospettazione di un non corretto esame delle deposizioni testimoniali, in tal modo prospettandosi una nuova valutazione del merito della controversia non consentita nel giudizio di legittimità, ancorchè la Corte di cassazione non sia mai giudice del fatto in senso sostanziale ed eserciti un controllo sulla legalità e logicità della decisione che non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa (Cass. n. 6519 del 06/03/2019);

in base alle svolte argomentazioni il ricorso va dichiarato inammissibile, con liquidazione delle spese secondo soccombenza;

sussistono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 10 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 dicembre 2019

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472