Corte di Cassazione, sez. II Civile, Sentenza n.32687 del 12/12/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TEDESCO Giuseppe – Presidente –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CARBONE Enrico – rel. Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 10031/2015 R.G. proposto da:

F.S., rappresentato e difeso dall’Avv. Liborio Gambino per procura a margine del ricorso, elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. Francesco Falvo D’Urso in Roma alla via delle Milizie n. 106;

– ricorrente –

contro

M.A. e T.L.S.A., rappresentati e difesi dagli Avv.ti Gaetano Beninati e Maurizio Nicola Rivilli per procura in calce al controricorso, elettivamente domiciliati presso lo studio dell’Avv. Christian Artale in Roma alla via Giosuè Borsi n. 4;

– controricorrenti –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Palermo, n. 1166, depositata l’11 luglio 2014.

Udita la relazione svolta dal Consigliere CARBONE Enrico nell’udienza pubblica del 17 settembre 2019;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

uditi l’Avv. Liborio Gambino per il ricorrente e l’Avv. Emilio Rinaldi, su delega, per i controricorrenti.

FATTI DI CAUSA

I coniugi M.A. e T.L. convennero in giudizio davanti al Tribunale di Palermo l’imprenditore edile F.S. per invocarne la garanzia ex art. 1667 c.c., in relazione ai vizi riscontrati nei lavori eseguiti dalla di lui impresa su una villetta di loro proprietà in *****.

Accertata la gravità dei vizi secondo il parametro dell’art. 1669 c.c., il Tribunale condannava il F. al risarcimento del danno nella misura dei costi di ripristino, come stimati dal consulente tecnico d’ufficio.

La Corte d’appello di Palermo respingeva sia il gravame principale del F. sull’an debeatur, sia l’incidentale dei coniugi M.- T. sul quantum, e tra loro compensava le spese del grado.

S.F. ricorre per cassazione, articolando sei motivi di censura.

M.A. e T.L. resistono con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso denuncia violazione degli artt. 1655,2222 e 2226 c.c., per aver il giudice d’appello qualificato il contratto inter partes come contratto d’appalto e per aver conseguentemente disapplicato il regime prescrizionale del contratto d’opera.

1.1. Il primo motivo è infondato.

Pur generando entrambi l’obbligazione di eseguire un’opera o rendere un servizio senza vincolo di subordinazione e con assunzione di rischio, il contratto d’appalto e il contratto d’opera si differenziano tra loro per la qualità organizzativa dell’obbligato, poichè l’appaltatore è preposto ad un’impresa media o grande, mentre il prestatore d’opera è un piccolo imprenditore che adempie col prevalente lavoro personale, pur se coadiuvato da membri della sua famiglia o da qualche collaboratore (Cass. 17 settembre 1997, n. 9237; Cass. 17 luglio 1999, n. 7606; Cass. 29 maggio 2001, n. 7307; Cass. 4 febbraio 2004, n. 2115; Cass. 21 maggio 2010, n. 12519).

Il giudice d’appello ha esattamente richiamato questo principio di legittimità (pag. 4 di sentenza), logicamente applicandolo nel senso dell’appalto – con conseguente esclusione del regime prescrizionale dell’art. 2226 c.c., – per il testuale riferimento del contratto inter partes all'”appaltatore” e alle “maestranze” (“l’appaltatore si assume ogni e qualsivoglia responsabilità relativa alle maestranze per la realizzazione di detti lavori”) e per l’evidenza testimoniale che ha indicato l’impiego nei lavori di ben tre operai (pag. 5 di sentenza).

Non sussiste violazione di legge, quindi, nè può il ricorso per cassazione, sotto l’apparenza della denuncia di violazione di legge, tendere a una riedizione del giudizio di fatto, pena la surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in terzo grado di merito (Cass. 4 aprile 2017, n. 8758).

2. Il secondo motivo di ricorso denuncia violazione dell’art. 24 Cost., art. 112 c.p.c., per non aver il giudice d’appello rilevato l’extrapetizione commessa dal primo giudice nel convertire la domanda ex art. 1667 c.c., in condanna ex art. 1669 c.c.; il quinto motivo denuncia violazione dell’art. 1668 c.c., art. 112 c.p.c., per non aver il giudice d’appello rilevato l’extrapetizione commessa dal primo giudice nel convertire la domanda di riduzione del prezzo ex art. 1668 c.c., in condanna di risarcimento del danno ex art. 1669 c.c..

2.1. Da esaminare unitariamente per connessione logica, il secondo e il quinto motivo sono infondati.

Il giudice d’appello ha osservato che, nonostante la riqualificazione giuridica della domanda dei coniugi M.- T., “non vi è stato mutamento dei fatti posti a fondamento della domanda, nè è stato concesso un bene diverso da quello chiesto” (pag. 6 di sentenza): osservazione conforme al principio di legittimità secondo il quale il giudice può qualificare la domanda ricollegandola all’art. 1669 c.c., invece che all’art. 1667 c.c., allorchè a suo fondamento siano dedotti vizi così gravi da incidere sugli elementi essenziali e sulla funzionalità globale dell’opera (Cass. 22 giugno 1995, n. 7080; Cass. 20 aprile 2004, n. 7537).

Le doglianze del ricorrente postulano che la garanzia di cui all’art. 1667 c.c. e la responsabilità di cui all’art. 1669 c.c., si trovino fra loro in rapporto di alterità, e invece esse stanno fra loro in rapporto di continenza, giacchè, pur nella diversità di titolo (contrattuale ed extracontrattuale), i due istituti vanno da genere a specie, nel senso che il mezzo ex art. 1669 c.c. è una specie del mezzo ex art. 1667 c.c., in aderenza alla finalità di rafforzamento della tutela del committente, sottesa alla previsione dell’art. 1669 c.c. (Cass. 15 febbraio 2011, n. 3702; Cass. 19 gennaio 2016, n. 815).

3. Il terzo motivo di ricorso denuncia violazione degli artt. 1667,1668 e 1669 c.c., art. 112 c.p.c., per aver il giudice d’appello qualificato come gravi i vizi dell’opera, pur dedotti dai committenti come vizi semplici.

3.1. Il terzo motivo è infondato.

Sono gravi difetti dell’opera, agli effetti dell’art. 1669 c.c., anche quelli inerenti elementi secondari e accessori (impermeabilizzazioni, rivestimenti, infissi, etc.), se tali da compromettere la funzionalità globale e la normale utilizzazione del bene, secondo la destinazione propria di esso (Cass., sez. un., 27 marzo 2017, n. 7756).

Il giudice d’appello ha esattamente richiamato questo principio di legittimità (pag. 7 di sentenza), logicamente applicandolo alla fattispecie in ragione dei diffusi ammaloramenti, ristagni e ossidazioni causati dall’errata posa dei muretti parapetto e delle ringhiere in ferro (pag. 8-11 di sentenza).

In disparte quanto già rilevato circa la denunciata extrapetizione (in realtà, mera riqualificazione della domanda), il ricorrente, sotto l’apparenza di una censura per violazione di legge, tende ancora una volta a conseguire un nuovo giudizio di merito, il che eccede l’àmbito funzionale della giurisdizione di legittimità.

4. Il quarto motivo di ricorso denuncia violazione degli artt. 1667,1668,1669,2934,2935,2943 e 2964 c.c., per non aver il giudice d’appello dichiarato la decadenza e la prescrizione dell’azione dei committenti.

4.1. Il quarto motivo è infondato.

Il termine di un anno dalla scoperta, fissato dall’art. 1669 c.c., per la denunzia dei gravi difetti, decorre dal giorno in cui il committente ha acquisito sicura conoscenza dei vizi e delle relative cause, sicchè, qualora non si tratti di vizi di immediata percezione, il termine è postergato all’esito degli accertamenti tecnici necessari per stabilire la gravità dei vizi e l’esatta causalità (Cass. 8 maggio 2014, n. 9966; Cass. 24 aprile 2018, n. 10048); non si può, invero, onerare il danneggiato della proposizione di azioni generiche a carattere esplorativo (Cass. 1 agosto 2003, n. 11740; Cass. 23 gennaio 2008, n. 1463).

Il giudice d’appello ha esattamente richiamato questo principio di legittimità (pag. 6-7 di sentenza), logicamente applicandolo alla fattispecie sulla scorta del compendio testimoniale, sì da fissare la data di scoperta dei gravi difetti al tempo della perizia di parte committente del 14 marzo 2003, e da ritenere, quindi, tempestiva la denunzia del 9 marzo 2004 (pag. 7 di sentenza).

In disparte il suo insistito richiamo al regime dei vizi semplici ex art. 1667 c.c. (si trattò invece di vizi gravi ex art. 1669 c.c.), il ricorrente, sotto l’apparenza di una censura per violazione di legge, tende ancora una volta a conseguire un nuovo giudizio di merito, il che eccede l’ambito funzionale della giurisdizione di legittimità.

5. Il sesto motivo di ricorso denuncia violazione degli artt. 1663 e 2697 c.c., artt. 101,180 e 183 c.p.c., per aver il giudice d’appello accolto l’eccezione dei committenti, tardiva e infondata, relativa all’omesso rilievo dell’appaltatore circa l’inidoneità dei materiali forniti dai committenti medesimi.

5.1. Il sesto motivo è infondato.

L’appaltatore risponde dei difetti dell’opera quando accetti senza riserve i materiali fornitigli dal committente che pure si presentino viziati o inidonei, se i difetti dell’opera siano causalmente riferibili ai vizi o all’inidoneità dei materiali (Cass. 10 dicembre 1994, n. 10580; Cass. 14 gennaio 2010, n. 470).

Oltre a darne avviso al committente, l’appaltatore deve sospendere i lavori, comunque non deve continuare a utilizzare i materiali viziati o inidonei, tranne che il committente insista per il loro impiego così degradando l’appaltatore stesso al rango di nudus minister (Cass. 5 maggio 1975, n. 1738; Cass. 17 maggio 2010, n. 12044).

Il giudice d’appello ha esattamente richiamato questo principio di legittimità (pag. 12-13 di sentenza), logicamente applicandolo alla fattispecie sulla scorta del compendio testimoniale e delle risultanze peritali (pag. 12 di sentenza).

Ancora una volta, sotto l’apparenza di una censura per violazione di legge, il ricorrente tende a conseguire un nuovo giudizio di merito, sostitutivo di quello ospitato dall’impugnata sentenza, il che eccede l’ambito funzionale della giurisdizione di legittimità.

Circa la tardività di quella che il ricorrente definisce “eccezione ex art. 1663” (pag. 27 di ricorso), preme osservare che non di un’eccezione si tratta (i coniugi M.- T. sono attori), bensì di un profilo connaturato alla domanda di responsabilità, poichè l’esecuzione a regola d’arte e con materiali adeguati è il proprium dell’adempimento dell’appaltatore.

6. Il ricorso deve essere respinto, con aggravio delle spese processuali e raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente a rifondere ai controricorrenti le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre Euro 200,00 per esborsi, spese generali al 15% e accessori di legge.

Dichiara che il ricorrente ha l’obbligo di versare l’ulteriore importo per contributo unificato ex D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, il 17 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 dicembre 2019

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