LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –
Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –
Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –
Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –
Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 28661-2015 proposto da:
A NAVA & C IN LIQUIDAZIONE SRL in persona del Liquidatore pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati CRESCENZO RUBINETTI, ANTONIO SGARRELLA;
– ricorrente –
contro
GDF GROUP SPA in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato GIANPAOLO CAPONI;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 1852/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 29/04/2015;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 06/06/2019 dal Consigliere BESSO MARCHEIS CHIARA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale PEPE ALESSANDRO che ha concluso per l’accoglimento del secondo motivo del ricorso;
udito l’Avvocato SGARRELLA Antonio, difensore del ricorrente che si riporta agli atti depositati;
udito l’Avvocato ALLEGRA Giuseppe con delega depositata in udienza dell’Avvocato CAPONI Giampaolo, difensore del resistente che si riporta agli atti depositati.
FATTI DI CAUSA
1. Con atto di citazione del 5 febbraio 2004 il Polo Geriatrico Lombardo s.r.l. – premesso di aver stipulato un contratto di appalto con la società A. Nava & C. s.r.l. per i lavori di ristrutturazione di un immobile e di trasformazione del medesimo a residenza sanitaria assistenziale per anziani non autosufficienti – conveniva in giudizio la società Nava, deducendo, in sostanza, l’irricevibilità dell’opera per sussistenza di gravi vizi o difetti, tali da renderla parzialmente o totalmente inidonea all’uso, e chiedendo la condanna della società Nava “a sostenere i costi per l’eliminazione dei vizi in misura non inferiore ad Euro 1.027.025,90 e, in aggiunta o in alternativa, a ridurre i costi dell’appalto entro limiti non inferiori a tale somma, con conseguente condanna della convenuta alla restituzione della differenza pari ad Euro 5.313,97 e, in ogni caso, a corrispondere la penale contrattuale da ritardo pari ad Euro 2.582,28 giornaliere, oltre alle spese di direzione lavori e assistenza tecnica per una somma complessiva non inferiore ad Euro 970.938,97, nonchè al risarcimento del danno derivante dall’inadempimento per un importo non inferiore ad Euro 2.759.956”; in via subordinata, il Polo Geriatrico chiedeva la risoluzione del contratto di appalto a fronte del grave inadempimento della società convenuta.
Costituitasi in giudizio, la società A. Nava & C. s.r.l. chiedeva e otteneva il differimento dell’udienza per effettuare la chiamata in causa della società Mt Impianti s.r.l. e della ditta individuale Elettrica B.G., a cui aveva subappaltato parte dei lavori; la società convenuta proponeva altresì domanda riconvenzionale per fare accertare il proprio diritto di credito e l’inadempimento del Polo Geriatrico in relazione al pagamento del prezzo residuo dell’appalto, oltre al risarcimento del danno cagionato.
Espletata la disposta consulenza tecnica d’ufficio, con sentenza n. 10476/2010 il Tribunale di Milano accertava la responsabilità di Nava s.r.l. per i vizi e i difetti delle opere eseguite nonchè per il ritardo nella consegna delle stesse per complessivi Euro 602.724,88 e la condannava a corrispondere al Polo Geriatrico, a titolo risarcitorio, Euro 99.110,39; accertava inoltre il diritto di credito di Nava s.r.l. in Euro 313.454,93, condannando il Polo Geriatrico al pagamento in suo favore di detta somma; rigettava le domande proposte da Nava s.r.l. nei confronti delle società terze chiamate, accogliendo l’eccezione da queste sollevate di decadenza dalla garanzia.
2. Avverso la sentenza proponeva appello principale A. Nava & C. s.r.l., insistendo per l’accoglimento della domanda riconvenzionale spiegata in primo grado e, pertanto, chiedendo l’accertamento del suo diritto di credito nei confronti di GDF Group s.p.a. (già Polo Immobiliare Lombardo s.r.l., già Polo Geriatrico Lombardo s.r.l.) per complessivi Euro 1.227.500,98 a titolo di saldo del prezzo di appalto, nonchè l’accertamento dell’inadempimento di GDF alla propria obbligazione di pagamento del prezzo residuo dell’appalto, delle scritture integrative e delle varianti commissionate ed eseguite con conseguente condanna generica di GDF al risarcimento del danno; chiedeva inoltre il rigetto della domanda della società attrice e, in subordine, la riduzione della penale pattuita a causa della sua manifesta eccessività; insisteva infine per l’accertamento della responsabilità delle terze chiamate, con conseguente condanna delle medesime, in solido, al pagamento della somma di Euro 62.874,30. Si sono costituite tutte le società appellate (GDF Group, la curatela fallimentare di Mt Impianti ed Elettrica B.G.), che hanno proposto appello incidentale.
Con sentenza 29 aprile 2015, n. 1852, la Corte d’appello di Milano ha accolto l’appello principale limitatamente alla censura inerente gli errori contabili, nella ricostruzione degli importi relativi ai vizi a carico dell’appellante, contenuti nella sentenza di primo grado, quindi riformandola con riferimento alla somma dovuta dalla società appellante, erroneamente quantificata dal Tribunale in Euro 99.110,39 anzichè in Euro 36.235,58; ha rigettato per il resto l’appello principale nonchè gli appelli incidentali (confermando, per le terze chiamate, la decadenza dalla garanzia di Nava).
3. Contro la sentenza ricorre in cassazione A. Nava & C. in liquidazione s.r.l..
Resiste con controricorso GDF Group s.p.a..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il ricorso è articolato in tre motivi.
1) Il primo motivo lamenta il “mancato riconoscimento delle opere aggiuntive e in variante eseguite da Nava s.r.l. nel corso del rapporto di appalto” per “violazione e falsa applicazione degli artt. 1372,1362 e 1363 c.c. in ordine all’ermeneutica proposta dell’art. 31 del capitolato speciale di appalto, nonchè degli artt. 1659 e 1661 c.c., nella parte in cui è stata dichiarata la giuridica irrilevanza (in assoluto) della distinzione tra varianti richieste dal committente e varianti richieste dall’appaltatore”; in ogni caso, volendo aderire all’ermeneutica seguita dalla sentenza impugnata, per “violazione e falsa applicazione degli artt. 1372,1362 e 1363 c.c., ex art. 360 c.p.c., n. 3, ove, nel contesto della sentenza impugnata, si applica la disciplina propria delle varianti, intese come variazioni e/o modifiche delle opere oggetto di appalto, ad opere aggiunte e ulteriori richieste dalla committente”.
Il motivo è fondato. La ricorrente aveva lamentato, con specifico motivo d’appello (trascritto alle pp. 26-33 del ricorso), il mancato riconoscimento del pagamento di tutte le opere aggiuntive e in variante, quantomeno nella misura accertata dal consulente tecnico d’ufficio, ossia, oltre a Euro 196.816,93 (somma riconosciuta dal primo giudice e relativa alle varianti approvate per iscritto), anche Euro 410.431,96, somma relativa alle varianti eseguite, ma non approvate per iscritto. La doglianza è stata disattesa dalla Corte d’appello che ha ritenuto, come già il primo giudice, che in base all’art. 31 del contratto d’appalto fosse necessaria l’autorizzazione scritta del committente, senza possibilità di distinguere tra varianti richieste dall’appaltatore e varianti richieste dal committente e a prescindere dalla natura dell’opera (se variante o opera extra capitolato), così che correttamente il primo giudice non aveva ammesso le dedotte prove orali volte a provare l’autorizzazione.
L’ermeneutica offerta dal giudice d’appello è erronea. L’art. 31 del contratto d’appalto, intitolato varianti in corso d’opera, sì prevede al n. 1, riprendendo il dettato di cui all’art. 1659 c.c., che “l’appaltatore non potrà senza specifica autorizzazione scritta della committente apportare varianti di qualsiasi natura ed entità alle opere”, ma poi al n. 4, che richiama l’art. 1661 c.c., prevede che la committente “potrà ordinare senza limitazione alcuna (..) ogni variante e/o lavoro aggiuntivo”, specificando al n. 6 che “le eventuali varianti, integrazioni e modifiche aggiuntive delle opere appaltate, espressamente richieste o comunque autorizzate dalla committente, saranno compensate a misura”. La disposizione contrattuale, pertanto, ricalca quanto dettato dal codice civile agli artt. 1659 e 1661 c.c. (derogando a quest’ultimo unicamente per la possibilità di superare, per le variazioni al progetto, l’ammontare di un sesto del prezzo complessivo convenuto), distinguendo – a differenza di quanto afferma la Corte d’appello – tra variazione richiesta dal committente e variazione apportata su sua iniziativa dall’appaltatore. La distinzione comporta un diverso regime probatorio: se è dovuta all’iniziativa dell’appaltatore, l’art. 1659 c.c., richiede che la modifica sia autorizzate dal committente e che l’autorizzazione risulti da atto scritto ad substantiam, se invece è richiesta dal committente “l’art. 1661 c.c., consente, secondo i principi generali, all’appaltatore di provare con tutti i mezzi consentiti, ivi comprese le presunzioni, che le variazioni sono state richieste dal committente” (così, ex multis, Cass. 19099/2011).
La Corte d’appello, pertanto, non poteva limitarsi a prendere atto della mancanza di autorizzazione scritta, ma doveva verificare se le variazioni erano state o meno autorizzate dalla committente e assumere al riguardo le prove ritualmente dedotte dall’appellante.
2) Il secondo motivo lamenta l'”inconsistenza del diritto al pagamento delle penali” per “violazione e falsa applicazione degli artt. 1218 e 1325 c.c., con riferimento all’art. 1382 c.c.”, per avere il Tribunale, prima, e la Corte d’appello, dopo, dichiarato la responsabilità dell’appaltatrice per la penale nonostante l’avvenuta dimostrazione dell’impossibilità di rispettare il termine pattuito per causa ad essa non imputabile.
Il motivo è in parte fondato, in parte assorbito a seguito dell’accoglimento del precedente motivo. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, “la richiesta di notevoli e importanti variazioni delle opere, avanzata in corso di esecuzione dei lavori dal committente, comporta la sostituzione consensuale del regolamento contrattuale in essere e il venir meno del termine di consegna e della penale per il ritardo originariamente pattuiti” e “l’efficacia della penale è conservata soltanto se le parti fissano di comune accordo un nuovo termine mentre, in mancanza, grava sul committente, che intenda conseguire il risarcimento del danno da ritardata consegna dell’opera, l’onere di fornire la prova della colpa dell’appaltatore” (così, da ultimo, Cass. 9152/2019).
Il giudice d’appello – a fronte di una consegna avvenuta il 30 ottobre 2002 con un termine fissato per il 30 giugno 2002, senza (a quanto afferma la ricorrente) la comune fissazione di un nuovo termine e a seguito dell’esecuzione di numerose varianti – non si è pronunciato sul grado e sull’importanza delle variazioni e sul superamento o meno del termine di consegna, ma si è limitato a confermare la decisione di primo grado che, seguendo le indicazioni del consulente tecnico d’ufficio, aveva computato in sessanta giorni il ritardo e aveva dimezzato l’importo giornaliero della penale fissato nel contratto, affermando che l’appaltatrice non aveva provato l’eventuale responsabilità di terzi nella causazione del ritardo, così addossando all’appaltatrice l’onere della prova.
L’accoglimento del primo motivo comporta che la questione debba comunque essere rivista dal giudice di merito, all’esito dell’indagine circa l’autorizzazione delle variazioni in precedenza non riconosciute.
3) Il terzo motivo contesta, in relazione ai “presunti vizi dell’opera oggetto di appalto”, “omissione di pronuncia, violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”. La Corte d’appello non si sarebbe pronunciata in merito: alle contestazioni sollevate dall’appellante con il motivo di gravame, trascritto alle pp. 59-69 del ricorso, e in particolare quelle inerenti lo storno della sola somma di Euro 61.804,50 in luogo della maggiore somma di Euro 101.512, considerata dal consulente tecnico d’ufficio necessaria per la sostituzione e/o il deprezzamento delle unità motocondensanti; alle censure relative alle “contestazioni formulate dal consulente tecnico d’ufficio, nonchè alle modifiche da apportarsi all’opera non richieste dalla committente, ma ritenute opportune dal consulente e fatte proprie dal Tribunale e dalla Corte d’appello” e più in generale alla impostazione seguita dal consulente d’ufficio; alla circostanza che, a distanza di svariati anni, la committente aveva documentato esborsi per la minor somma di Euro 139.808,49 inclusivi degli impianti elettrici e non avesse mai proceduto al rifacimento degli impianti.
Il motivo non può essere accolto. Il denunciato vizio di omessa pronuncia non sussiste essendosi il giudice d’appello pronunciato sul motivo (v. pp. 7-8 della sentenza impugnata). In particolare, il giudice si è pronunciato circa il fatto che il committente abbia posto rimedio ai vizi per un importo inferiore a quello stimato, come riconosce la stessa ricorrente sostenendo che il giudice d’appello prende posizione al riguardo “in maniera alquanto laconica”, si è altresì pronunciato sulle contestazioni relative all’operato del consulente tecnico, affermando di condividere integralmente la motivazione con la quale il giudice di primo grado ha compiutamente risposto alle critiche alla consulenza svolte dall’appellante in relazione ai vizi degli impianti e in particolare a quelli di climatizzazione, tenendo debito conto della responsabilità del progettista e dell’importo complessivo dei vizi/difetti; condivisione dell’operato del primo giudice che si è estesa agli importi, compreso lo storno concernente le unità motocondensanti, importi rispetto ai quali il giudice d’appello ha peraltro accolto la doglianza relativa agli errori di calcolo.
2. La sentenza impugnata va cassata in relazione ai due motivi accolti e la causa rinviata alla Corte d’appello di Milano, che la deciderà attenendosi ai principi di diritto sopra ricordati; il giudice di rinvio provvederà anche in relazione alle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo e il secondo motivo, rigetta il terzo motivo di ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa a diversa sezione della Corte d’appello di Milano, che provvederà anche in relazione alle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella pubblica udienza della sezione seconda civile, il 6 giugno 2019.
Depositato in Cancelleria il 13 dicembre 2019
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