Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Sentenza n.34190 del 20/12/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. RAIMONDI Guido – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 15736/2018 proposto da:

FONDERIA POVOLARO S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA UGO DE CAROLIS 77, presso lo studio dell’avvocato LUCIO LAURITA LONGO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato LIVIO GALLA;

– ricorrente –

contro

M.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA F. CATEL 48, presso lo studio dell’avvocato ALESSIA BOTTINI, rappresentato e difeso dall’avvocato MASSIMO RIZZATO;

– controricorrente –

e contro

ASSICURAZIONI ROLAND RECHTSSCHUTZ – VERSICHERUNGS – AG;

– intimata –

avverso la sentenza definitiva n. 697/2017 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 12/12/2017 R.G.N. 839/2015;

avverso la sentenza non definitiva n. 420/2017 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 14/06/2017 R.G.N. 839/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 03/10/2019 dal Consigliere Dott. DANIELA BLASUTTO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CIMMINO Alessandro, che ha concluso per accoglimento del quarto e del quinto motivo del ricorso, rigetto degli altri;

udito l’Avvocato LUCIO LAURITA LONGO.

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di appello di Venezia, con sentenza non definitiva n. 420/2017 del 14.6.2017, in accoglimento dell’appello proposto da M.M. nei confronti della Fonderia Povolaro s.r.l., in riforma della sentenza del Tribunale di Vicenza, dichiarava l’illegittimità del licenziamento intimato dalla convenuta il 23 dicembre 2010 e condannava la stessa a reintegrare il ricorrente nel posto di lavoro. Rimetteva alla sentenza definitiva la determinazione degli effetti economici e la pronuncia sulle spese di lite.

2. La Corte di appello, premesso che a seguito di accordo sindacale la società aveva fatto ricorso alla CIGS dal novembre 2009 al novembre 2010, al termine della quale aveva deciso di ricorrere alla mobilità per otto lavoratori, di cui un impiegato e sette operai, riteneva non condivisibile quanto affermato dal giudice di primo grado, secondo il quale, poichè il ricorrente era adibito al cubilotto (controllo fusione), mansione destinata ad essere assorbita dal responsabile del reparto, il licenziamento era da considerare legittimo. Rilevava che gli esiti dell’istruttoria testimoniale condotta in primo grado non erano univoci rispetto al ruolo svolto concretamente dal ricorrente, il quale peraltro era un operaio di quarto livello, ossia possedeva un inquadramento nel quale era inserita anche la figura del fonditore e dalla cui declaratoria poteva evincersi che essa è propria di un operaio qualificato, dotato di preparazione e professionalità, tale da poter coordinare altri lavoratori ovvero condurre macchine operatrici e forni di fusione, con interventi di natura complessa, per manovre e regolazione dei parametri di fusione. Concludeva che nel caso in esame non era stato dimostrato in giudizio il motivo per il quale, tra i due addetti al cubilotto, fosse stato scelto il ricorrente, avente maggiore anzianità di servizio rispetto al lavoratore E., di terzo livello, che la società aveva preferito al ricorrente.

Aggiungeva che non poteva rilevare l’argomento concernente la prospettata minore disponibilità lavorativa del ricorrente rispetto al collega E., poichè il criterio delle esigenze organizzative non può coincidere con una scelta del tutto discrezionale della società, non supportata neppure da iniziative disciplinari atte a provare la carenza di diligenza imputata al lavoratore.

3. In ordine a tale sentenza la parte appellata riservava il gravame. Successivamente, la Corte di appello di Venezia, con sentenza definitiva n. 697/17 del 12.12.2017, statuiva in dispositivo: a) la condanna di parte appellata a risarcire all’appellante il danno subito, commisurato all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento al giorno dell’effettiva reintegrazione, detratto l’importo di Euro 463,50 con gli interessi legali, previa rivalutazione dalla cessazione del rapporto al saldo, a titolo di aliunde perceptum, corrispondente ad un tirocinio formativo svolto dal M. presso un’altra società; b) la condanna di parte appellata a rimborsare al ricorrente le spese di primo grado, liquidate in Euro 8.835,00, di cui Euro 20,00 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali, Iva e Cpa come per legge; c) la condanna di parte appellata a rimborsare allo Stato le spese del grado di appello, liquidate in Euro 3.513,00 per compenso professionale, oltre accessori come per legge; d) in accoglimento dell’appello incidentale, la condanna della terza chiamata in giudizio, soc. Assicurazioni Roland Rechtsschetz – Versicherungs-AG, a tenere indenne la soc. Povolaro dalle spese di lite, sia le proprie che quelle di soccombenza; e) la compensazione delle spese tra la Povolaro e la terza chiamata.

3.1. Nella motivazione della sentenza definitiva la Corte di appello affermava che l’annullamento del recesso rendeva “comunque indebita la percezione da parte del M. del trattamento di fine rapporto (corrisposto in data 30 dicembre 2010 e pari ad Euro 23.448,16), che quindi dovrà essere restituito dallo stesso a favore della datrice di lavoro con gli accessori di legge dal suo pagamento di data 30 dicembre 2010”.

3.2. Quanto alle spese di primo grado, la Corte riteneva che le stesse dovessero essere liquidate in favore dell’appellante secondo i criteri di cui al D.M. n. 55 del 2014, in ragione dei valori medi, tenuto conto della complessità delle questioni trattate e dell’istruttoria svolta. Inoltre, considerato che parte appellante aveva ottenuto il gratuito patrocinio in occasione dell’appello, le spese del secondo grado, liquidate secondo i criteri del testo unico sulle spese di giustizia, dovevano essere poste a carico della soccombente Povolaro ed in favore dello Stato italiano.

4. Per la cassazione di entrambe le sentenze la soc. Fonderia Povolaro ha proposto ricorso affidato a cinque motivi, cui ha resistito il M. con controricorso. La società terza chiamata in giudizio è rimasta intimata.

5. La società ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo denuncia violazione della L. n. 223 del 1991, artt. 4 e 5, nonchè dell’art. 414 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c., per avere la Corte di appello gravato dell’onere della prova circa la legittimità del licenziamento esclusivamente il datore di lavoro, mentre avrebbe dovuto rilevare il mancato assolvimento dell’onere di allegazione da parte del lavoratore, in contrasto le norme regolatrici della fattispecie.

La società ricorrente assume di avere operato correttamente la valutazione comparativa delle posizioni dei dipendenti potenzialmente interessati al provvedimento con riguardo al reparto dov’era occupato il ricorrente e alle situazioni confrontabili, per cui sarebbe stato onere del lavoratore dimostrare l’illegittimità della scelta provando di prevalere sugli altri lavoratori oppure, ove avesse voluto ampliare l’ambito della comparazione, dedurre e provare la fungibilità delle mansioni con i colleghi addetti ad altri reparti dell’azienda.

2. Con il secondo motivo la società lamenta violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, artt. 4 e 5, per avere la sentenza non definitiva negato qualsiasi rilevanza, nella valutazione comparativa dei lavoratori, a valori quali la maggiore versatilità o la disponibilità a sostituire i colleghi, decisamente rilevanti per giustificare la permanenza di un dipendente nell’azienda in ragione dei fini produttivi o della riduzione dei costi espressi in apertura della procedura di mobilità.

La società lamenta la mancata considerazione che i due lavoratori si trovavano su un piano di uguaglianza, poichè ciascuno di essi era in possesso di uno solo dei requisiti: il M. presentava una minore utilità in relazione alle esigenze produttive e organizzative dell’azienda; l’ E. possedeva invece una minore anzianità. Conseguentemente vi era necessità di ricorrere al criterio sussidiario dei carichi di famiglia, da cui la prevalenza dell’ E..

3. Il terzo motivo denuncia omesso esame di un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), riguardante la minore disponibilità e la carenza di versatilità dell’originario ricorrente.

4. Il quarto motivo denuncia nullità della sentenza definitiva per omessa pronuncia in violazione dell’art. 112 c.p.c., sulla domanda dell’appellante incidentale diretta ad ottenere la condanna del lavoratore a restituire il TFR, percepito a seguito del licenziamento annullato in sede giudiziale, per effetto dell’ordine di reintegra in servizio.

Deduce la società che la Corte di appello, pur dando atto che il TFR era stato erogato al ricorrente, il quale era tenuto a restituirlo, essendo divenuta indebita ex art. 2033 c.c., la percezione del trattamento per effetto della reintegrazione del M. nel posto di lavoro, aveva omesso nel dispositivo di emettere una condanna conforme alla decisione assunta.

5. Il quinto motivo denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 4 e 5, poichè il ricorrente era stato ammesso sin dal primo grado al patrocinio a spese dello Stato.

Si assume l’erroneità della condanna alla rifusione delle spese processuali emessa direttamente in favore dell’attore, laddove l’art. 131 T.U. cit. prevede che, qualora nell’ambito del giudizio civile risulti vittoriosa la parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato, la rifusione delle spese di giustizia venga disposta a favore dello Stato che le ha anticipate.

Si lamenta, inoltre, l’erroneità della disposta liquidazione nella misura di Euro 8.835,00 in contrasto con l’orientamento in forza del quale il giudice è tenuto a quantificare in misura uguale le somme dovute dal soccombente allo Stato e le somme dovute dallo Stato al difensore del non abbiente, ai sensi degli artt. 82 e 130 del medesimo Decreto, al fine di evitare che l’eventuale divario possa costituire occasione di ingiusto profitto dello Stato a danno del soccombente.

6. Il ricorso è parzialmente fondato per le ragioni che seguono.

7. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.

7.1. Secondo costante orientamento di questa Corte, nel ricorso per cassazione il vizio della violazione e falsa applicazione della legge di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, giusta il disposto di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, deve essere, a pena d’inammissibilità, dedotto mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, non risultando altrimenti consentito alla S.C. di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (ex plurimis, Cass. 24298 del 2016). La proposizione, con il ricorso per cassazione, di censure prive di specifiche attinenze al decisum della sentenza impugnata è assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi richiesti dall’art. 366 c.p.c., n. 4, con conseguente inammissibilità del ricorso, rilevabile anche d’ufficio (Cass. n. 20910 del 2017).

7.2. Tanto premesso, il motivo di ricorso non si confronta con il decisum su cui la sentenza si fonda e tende ad opporre argomenti privi di attinenza alla ratio decidendi, in quanto la Corte di appello non ha invertito l’onere probatorio, ma ha valutato le risultanze istruttorie acquisite al giudizio di primo grado e ha ritenuto che la società avesse violato i criteri concordati in sede di procedura di licenziamento collettivo e la graduazione stabilita per l’applicazione degli stessi. La valutazione del giudice di merito si è incentrata sul rilievo che il M. e l’ E. erano entrambi adibiti alle mansioni cui si riferiva l’esubero e che il criterio della maggiore anzianità di servizio, posseduta dal M., doveva concorrere con il criterio delle esigenze organizzative e produttive aziendali, secondo i criteri concordati in sede di accordo sindacale. Ha poi ritenuto, come è reso evidente dalla motivazione della sentenza non definitiva impugnata, che il criterio delle esigenze organizzative e produttive aziendali non potesse identificarsi con la prospettata (da parte datoriale) maggiore disponibilità al lavoro dell’ E. rispetto al M., posto che mai la società si era avvalsa del suo potere disciplinare per contestare al dipendente inadempimenti o mancanze riguardanti l’espletamento delle mansioni o comunque la violazione dei doveri del dipendente. Tale ratio decidendi non è stata contrastata da alcun valido argomento, per cui il primo motivo è da considerare inammissibile. 8. Il secondo motivo è connesso al precedente. La Corte ha argomentato che il criterio delle esigenze organizzative e produttive aziendali deve avere una portata oggettiva e verificabile in concreto e non può essere rimessa ad un apprezzamento soggettivo e meramente discrezionale del datore di lavoro. Ha correttamente osservato che parte datoriale ben avrebbe potuto avvalersi del suo potere disciplinare in caso di mancanze o comportamenti del dipendente non conformi ai doveri di diligenza (art. 2104 c.c.) e, poichè non si era mai avvalsa di tale facoltà, non poteva addurre tale argomento per ritenere non utile mantenere in azienda il M.. Valgono in proposito i rilievi di inammissibilità che precedono.

8.1. Quanto alla mancata valutazione dei carichi di famiglia, che vedevano l’ E. in posizione di vantaggio, correttamente la Corte di appello ne ha trascurato la rilevanza atteso che tale criterio – secondo quanto la sentenza non definitiva impugnata riferisce essere stato il contenuto degli accordi sindacali – operava in via gradata, solo in caso di parità tra più lavoratori ai quali fosse stato applicato il criterio precedente.

La parità di posizione tra il M. e l’ E. quanto alla posizione organizzativo-produttiva aveva così reso determinante il criterio concorrente (e non subordinato) dell’anzianità di servizio, da cui la prevalenza riconosciuta dalla Corte territoriale al M..

9. Il terzo motivo è infondato, poichè il presunto omesso esame della condotta scarsamente collaborativa dell’originario ricorrente è circostanza che la Corte di appello ha considerato, ma ha pure ritenuto ininfluente, ancor prima di verificarne la fondatezza. Come già detto, a fronte della prospettata condotta tenuta dal dipendente in violazione dei propri doveri, il datore dispone del potere disciplinare, il cui mancato esercizio preclude che il mancato rilievo nella sede opportuna possa essere recuperato, senza alcuna garanzia difensiva, nella procedura di licenziamento collettivo quale ragione tecnico-organizzativa per scarsa produttività del dipendente.

10. In ordine al quarto motivo, esso è innanzitutto ammissibile ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto sono state trascritte le conclusioni rassegnate in primo grado (pag. 22 ricorso per cassazione), il cui esame era rimasto assorbito nel rigetto della domanda del lavoratore statuita dal primo giudice. Tali conclusioni risultano riproposte in sede di appello incidentale (v. pag. 2 sentenza impugnata).

10.1. Il motivo è altresì fondato. Va premesso che la mancata statuizione, nel dispositivo della sentenza definitiva, in ordine ad un determinato capo della domanda configura il vizio di omessa pronuncia riguardo a quel capo, denunciabile ai sensi dell’art. 112 c.p.c., non potendo l’esistenza della relativa decisione desumersi da affermazioni contenute nella sola motivazione (Cass. n. 9263 del 2017, Cass. n. 12084 del 2007).

10.2. Risulta dalla sentenza impugnata l’avvenuta corresponsione del trattamento di fine rapporto in data 30 dicembre 2010 in misura pari ad Euro 23.448,16, ma nulla è stato statuito in dispositivo. E’ incontestata l’avvenuta percezione del TFR nell’importo indicato. Lo stesso controricorrente ha dato atto di non avere mai sollevato obiezioni in merito alla restituzione del TFR in caso di reintegra nel posto di lavoro (v. pag. 23 del controricorso).

10.3. Si versa in un’ipotesi di ripetizione di indebito ex art. 2033 c.c. e spetta la restituzione richiesta. E ciò perchè, nel caso di licenziamento illegittimo annullato dal giudice con sentenza reintegratoria, che ricostituisce il rapporto con efficacia ex tunc e pertanto la sua continuità giuridica, deve essere escluso il diritto del lavoratore di trattenere le somme erogategli dal datore di lavoro a titolo di competenze di fine rapporto, qualora sia attinto dall’azione di ripetizione di indebito da parte del medesimo (Cass. n. 9702 del 2013): ciò che appunto si è verificato nel caso di specie.

10.4. In accoglimento del quarto motivo del ricorso la sentenza definitiva, va cassata in parte qua. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, può essere emessa decisione nel merito ex art. 384 c.p.c., comma 2, con condanna di M.M. al pagamento, in favore della società Fonderia Povolaro s.r.l. della somma di Euro 23.448,16, oltre interessi legali dalla data della domanda.

11. L’accoglimento del quarto motivo di ricorso comporta che questo Collegio deve rivalutare l’onere delle spese di ogni grado, con assorbimento dei quinto motivo. In una valutazione complessiva dell’esito del giudizio, si stima equo compensare tra la società ricorrente e il M. 1/3 delle spese, con condanna della società al pagamento dei restanti 2/3.

11.1. In ordine alla liquidazione delle spese di primo grado, va premesso che, secondo il più recente orientamento interpretativo espresso da Cass. n. 22017 del 2018 (confermato da Cass. n. 11590 del 2019), condiviso anche da questo Collegio, in tema di patrocinio a spese dello Stato, qualora risulti vittoriosa la parte ammessa al detto patrocinio, il giudice civile, diversamente da quello penale, non è tenuto a quantificare in misura uguale le somme dovute dal soccombente allo Stato del D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 133 e quelle dovute dallo Stato al difensore del non abbiente, ai sensi degli artt. 82 e 130 del medesimo D.P.R., alla luce delle peculiarità che caratterizzano il sistema processualpenalistico di patrocinio a spese dello Stato e del fatto che, in caso contrario, si verificherebbe una disapplicazione del summenzionato art. 130. In tal modo, si evita che la parte soccombente verso quella non abbiente sia avvantaggiata rispetto agli altri soccombenti e si consente allo Stato, tramite l’eventuale incasso di somme maggiori rispetto a quelle liquidate al singolo difensore, di compensare le situazioni di mancato recupero di quanto corrisposto e di contribuire al funzionamento del sistema nella sua globalità.

11.2. La liquidazione parziale viene quindi operata sul quantum di cui alla sentenza definitiva impugnata e in favore dello Stato, poichè risulta pacifico che il M. era stato ammesso al gratuito patrocinio per i due gradi del giudizio di merito.

12. Non risulta l’ammissione al gratuito patrocinio per questo giudizio di legittimità, le cui spese, liquidate nella misura indicata in dispositivo, sono distratte ex art. 93 c.p.c., in favore del procuratore antistatario, avv. Massimo Rizzato. Nulla va disposto quanto alle spese tra la società Fonderia Povolaro e la soc. Assicurazioni Roland Rechtsschetz – Versicherungs- AG, rimasta intimata.

13. Tenuto conto che il ricorso viene accolto, anche se solo in parte, non sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte accoglie il quarto motivo del ricorso, assorbito il quinto; rigettati gli altri; cassa la sentenza definitiva impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito ex art. 384 c.p.c., comma 2, condanna M.M. a restituire alla società Fonderia Povolaro s.r.l. la somma di Euro 23.448,16 corrisposta a titolo di TFR, oltre interessi legali dalla data della domanda.

Compensa tra la Fonderia Povolaro s.r.l. e M.M. 1/3 delle spese dell’intero giudizio e condanna la società ricorrente al pagamento dei restanti 2/3 delle spese, liquidate per l’intero per il primo grado in Euro 8.835,00, di cui Euro 20,00 per esborsi, oltre al rimborso spese generali e accessori di legge, in favore dello Stato italiano; liquidate per l’intero per il secondo grado in Euro 3.513,00 per compensi, oltre spese generali e accessori come per legge, in favore dello Stato italiano; liquidate per il presente giudizio di legittimità per l’intero in Euro 4.153,00 per compensi e in Euro 200,00 per esborsi, oltre 15% per spese generali e accessori di legge, da distrarsi in favore del procuratore antistatario.

Così deciso in Roma, il 3 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 dicembre 2019

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