Corte di Cassazione, sez. I Civile, Sentenza n.10890 del 08/06/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 12715/2018 r.g. proposto da:

T.P.A., (cod. fisc. *****), rappresentata e difesa, giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato Antonella Picchianti, con cui elettivamente domicilia in Roma, alla via della Balduina n. 187, presso lo studio dell’Avvocato Alessandra Tombolini;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO ***** S.R.L. IN LIQUIDAZIONE, (cod. fisc. *****), in persona del curatore Dott. V.L., rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta in calce al controricorso, dall’Avvocato Josef Mottillo, presso il cui studio elettivamente domicilia in Colle di Val d’Elsa (SI), alla via Don Minzoni n. 13;

– controricorrente –

e BANCA CRAS – CREDITO COOPERATIVO TOSCANO SIENA, (cod. fisc.

*****), con sede in *****, in persona del legale rappresentante pro tempore; AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE (già Equitalia Servizi di Riscossione s.p.a.), in persona del legale rappresentante pro tempore;

– intimate –

avverso il decreto del TRIBUNALE DI SIENA depositato in data 09/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 21/02/2020 dal Consigliere Dott. Eduardo Campese;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Cardino Alberto, che ha concluso chiedendo rigettarsi il ricorso;

udita, per la ricorrente, l’Avv. A Picchianti, che ha chiesto accogliersi il proprio ricorso;

udito, per il controricorrente, l’Avv. J. Mottillo, che ha chiesto rigettarsi l’avverso ricorso.

FATTI DI CAUSA

1. T.P.A. ha proposto ricorso per cassazione, ex art. 111 Cost., comma 7, affidato ad un motivo, ulteriormente illustrato da memoria ex art. 380-bis c.p.c., avverso il decreto del Tribunale di Siena dell’8/9 febbraio 2018, reiettivo del reclamo L. Fall., ex art. 26 da lei proposto contro il provvedimento con cui il giudice delegato al fallimento ***** s.r.l. in liquidazione aveva respinto la sua richiesta, ai sensi del combinato disposto della L. Fall., degli art. 72, u.c. e art. 108, comma 2, di ordinare al curatore di eseguire il preliminare sottoscritto con la menzionata società in bonis e trascritto ante fallimento, altresì disponendo la cancellazione delle iscrizioni ipotecarie gravanti sull’immobile promesso in vendita. Ha resistito, con controricorso, la curatela fallimentare, mentre non hanno spiegato difese la Banca CRAS – Credito Cooperativo Toscano Siena e l’Agenzia delle Entrate – Riscossione (già Equitalia Servizi di Riscossione s.p.a.).

1.1. Per quanto qui ancora di interesse, quel tribunale, “a prescindere dall’opponibilità del preliminare alla procedura, essendo trascorso il termine di cui all’art. 2645-bis c.c., comma 3, (trascrizione effettuata il 14.12.2009)”, ritenne di dover esaminare “la questione dell’applicabilità della L. Fall., art. 108, comma 2, alla compravendita effettuata dal curatore in esecuzione del contratto preliminare trascritto ai sensi dell’art. 2645-bis c.c.”, in ordine alla quale, benchè consapevole del contrario avviso espresso da Cass. n. 3310 del 2017, affermò che: i) “con la vendita forzata L. Fall., ex art. 107, attuata con procedura competitiva e poi formalizzata con rogito notarile, la forma privatistica nulla toglie al carattere coattivo della vendita e dunque al fatto che essa si attui “invito domino”, realizzando l’intero valore del bene su cui grava la prelazione ipotecaria”; ii) “al contrario, in caso di subentro del curatore, costui si inserisce nel rapporto contrattuale nella stessa posizione del fallito, e deve adempiere alle obbligazioni che gli facevano carico senza alcuna possibile applicazione della disciplina delle vendite giudiziali”; iii) “pertanto, non può invocarsi la norma di cui alla L. Fall., art. 108, comma 2, che autorizza la purgazione dalle iscrizioni pregiudizievoli, rispondendo essa alla ratio di liquidare l’immobile e trasferirlo all’acquirente libero da pesi e vincoli, proprio per effetto del concorso e della natura coattiva del procedimento di vendita che, nel caso di specie – evidentemente – non è stato espletato”.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. L’odierno ricorso, proposto ex art. 111 Cos., comma 7, reca un solo motivo, rubricato “Violazione o falsa applicazione della L. Fall., art. 72, u.c. e art. 108, comma 2, anche in relazione all’art. 3 Cost.”.

1.1. Esso assume che, nell’ipotesi di cui alla L. Fall., art. 72, u.c., il curatore non ha facoltà di sciogliersi dal contratto preliminare, sicchè deve dargli esecuzione attraverso la stipula del definitivo, con la ulteriore, asserita conseguenza della natura coattiva della vendita così eseguita cui, pertanto, andrebbe applicato la L. Fall., art. 108, comma 2, che consente al giudice delegato, una volta eseguita la vendita e riscosso interamente il prezzo, di ordinare la cancellazione delle iscrizioni relative ai diritti di prelazione, nonchè delle trascrizioni dei pignoramenti e dei sequestri conservativi e di ogni altro vincolo.

1.2. Su tali premesse, si ascrive al tribunale senese di essersi discostato da quanto sancito da Cass. n. 3310 del 2017, a tenore della quale “in tema di vendita fallimentare, anche se attuata nelle forme contrattuali e non tramite esecuzione coattiva, trova applicazione la L. Fall., art. 108, comma 2, con la conseguente cancellazione delle iscrizioni relative ai diritti di prelazione ad opera del giudice delegato ed ammissione del creditore ipotecario al concorso, con rango privilegiato, sull’intero prezzo pagato, ivi compreso l’acconto eventualmente versato al venditore ancora in bonis”.

2. Ad avviso di questo Collegio, un siffatto ricorso – sostanzialmente volto ad ottenere che il giudice delegato al fallimento controricorrente ordini al curatore di quest’ultimo di dare esecuzione al preliminare stipulato dalla T.P. e la ***** s.r.l. in bonis il 9 dicembre 2009 (trascritto il successivo 14 dicembre 2009), con successiva cancellazione delle ipoteche iscritte sull’immobile che ne costituiva l’oggetto giusta la L. Fall., art. 108, comma 2, è inammissibile alla stregua della consolidata giurisprudenza di legittimità secondo cui il decreto con il quale il tribunale fallimentare, ai sensi della L. Fall., art. 26, respinge il reclamo avverso l’atto con cui il curatore ha esercitato, a norma dell’art. 72 stessa legge, la facoltà di scioglimento dal contratto pendente, non ha natura decisoria, in quanto non risolve una controversia su diritti soggettivi, ma rientra tra i provvedimenti che attengono all’esercizio della funzione di controllo circa l’utilizzo, da parte del curatore, del potere di amministrazione del patrimonio del fallito. Con la conseguenza che detto provvedimento non è impugnabile con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., potendo i terzi interessati contestare nelle sedi ordinarie gli effetti che dall’attività così esercitata si pretendono far derivare (cfr. Cass. n. 13167 del 2017; Cass. n. 8870 del 2012; Cass. n. 18622 del 2010; Cass., 01/06/2012, n. 8870).

2.1. Vengono in gioco, invero, provvedimenti inerenti alla gestione del patrimonio e privi dell’attitudine alla definitività, a tal fine non essendo sufficiente, per la ricorribilità in parola, che abbiano una qualsiasi idoneità ad incidere positivamente o negativamente sulle aspettative dei creditori, del debitore o di terzi (cfr. Cass. n. 13167 del 2017. Così si esprime, in motivazione, anche Cass. n. 17520 del 2015, riguardo ai provvedimenti assunti a norma della L. Fall., art. 169-bis sulla richiesta del debitore di essere autorizzato alla sospensione o allo scioglimento dei contratti in corso; a conclusioni analoghe giunge pure Cass. n. 4176 del 2016).

2.2. I riportati principi devono trovare applicazione, evidentemente, anche in relazione alla fattispecie di cui alla L. Fall., art. 72, u.c., oggi invocata dalla T.P., benchè questa sia astrattamente caratterizzata dall’obbligo del curatore fallimentare (con esclusione, dunque, dell’alternativa prevista, in genere, per i contratti preliminari, dalla L. Fall., art. 72, comma 1) di dare esecuzione al contratto preliminare di vendita trascritto ex art. 2645-bis c.c. avente ad oggetto un immobile ad uso abitativo destinato a costituire l’abitazione principale dell’acquirente.

2.2.1. Pure in questo caso, infatti, si è al cospetto di un provvedimento (quello, cioè, del giudice delegato) che attiene all’esercizio della funzione di direzione e controllo circa l’utilizzo, da parte del curatore, del potere di amministrazione del patrimonio del fallito, potendo la ricorrente, ove ancora dovessero sussistere tutti i necessari presupposti di legge della fattispecie da lei invocata, far valere nelle sedi ordinarie gli effetti che dalla contestata condotta del curatore pretende di far derivare.

2.3. Per mera completezza, infine, va rimarcato che le pronunce (Cass. n. 30454 del 2019; Cass. n. 3310 del 2017, nonchè Cass. n. 8162 del 1996) richiamate nell’ordinanza interlocutoria resa da Cass. VI-1 n. 28460 del 2019 per giustificare la ivi ritenuta ammissibilità dell’odierno ricorso, riguardano decisioni che avevano disposto la cancellazione delle ipoteche iscritte sull’immobile oggetto del contratto preliminare nel quale il curatore era già subentrato, sicchè non appaiono oggi pienamente pertinenti in mancanza di quest’ultimo evento.

3. Il ricorso deve, quindi, essere dichiarato inammissibile, restando le spese del giudizio di legittimità, fra le sole parti costituite, regolate dal principio di soccombenza, e dandosi atto, altresì, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 – che, stante il tenore della pronuncia adottata, “sussistono, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto”, mentre “spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento”.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna T.P.A. al pagamento, in favore della curatela fallimentare controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della medesima ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione Prima civile della Corte Suprema di Cassazione, il 21 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 giugno 2020

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