LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –
Dott. TRIA Lucia – Consigliere –
Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –
Dott. SPENA Francesca – Consigliere –
Dott. BELLE’ Roberto – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 15586/2014 proposto da:
COMUNE DI APRILIA, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, CORSO TRIESTE 109, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO MARTINI, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente – principale –
contro
F.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PAVIA 30, presso lo studio dell’avvocato FABRIZIO PROIETTI, che la rappresenta e difende;
– controricorrente – ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 2151/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 06/06/2013 R.G.N. 7306/2007.
RILEVATO
che:
1. la Corte d’Appello di Roma, decidendo sul gravame proposto da F.M. avverso la sentenza del Tribunale di Latina, ha accolto parzialmente le domande dispiegate da quest’ultima nei confronti del Comune di Aprilia;
la Corte in particolare, pur disconoscendo il diritto, in ragione della dedotta illegittimità dei contratti di lavoro a termine intercorsi tra le parti, alla conversione a tempo indeterminato, ha viceversa accolto la domanda di risarcimento del danno, fissato in venti mensilità di retribuzione;
la Corte riteneva che i contratti predetti non potessero considerarsi legittimi, in quanto essi non riportavano le ragioni delle assunzioni temporanee della F. come vigile urbano e, quanto ai primi tre, violavano del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 5, comma 4, per il fatto che essi consistevano in più assunzioni a termine senza soluzione di continuità;
nell’accogliere come detto la domanda risarcitoria, la Corte liquidava il danno in applicazione dei criteri di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18, nel testo vigente anteriormente alle modifiche di cui alla L. n. 92 del 2012;
restava invece confermata la reiezione, pronunciata in primo grado, della domanda di pagamento delle differenze retributive per indennità di turnazione, turni di reperibilità e per indennità di produttività collettiva;
quanto all’indennità di turnazione e di reperibilità, la Corte riteneva che non fossero stati indicati, in relazione ai singoli emolumenti, “i presupposti richiesti dalla disciplina collettiva richiamata per la erogazione”, nè vi fosse deduzione dei turni in concreto effettuati, per i quali non era stata articolata alcuna prova, nè dei giorni effettivi di reperibilità, a ciò non essendo sufficiente il rinvio ai cartellini di presenza, anche a fronte della mancanza di rilievi rispetto alla documentazione depositata dal Comune relativamente al mancato svolgimento della turnazione stessa;
analogamente, la Corte riteneva che non fossero stati dedotti elementi che facessero ritenere riconoscibile l’incentivo per la produttività collettiva;
2. il Comune di Aprilia ha proposto ricorso per cassazione con due motivi, resistiti da controricorso della F. contenente a propria volta due motivi di ricorso incidentale;
il Comune di Aprilia ha infine depositato memoria illustrativa.
CONSIDERATO
che:
1. con il primo motivo il Comune adduce (art. 360 c.p.c., n. 3) la violazione delle norme e dei principi in materia di risarcimento del danno e della sua quantificazione, nonchè violazione degli artt., 1223, 1226 e 1227 c.c., violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36 e della L. n. 300 del 1970, art. 18, ed infine degli artt. 12 preleggi e segg., con ultrapetizione (artt. 99,100,101,112,115, 116 e 345 c.p.c.);
1.1 la rilevata ultrapetizione, fondata sul fatto che la domanda risarcitoria non rientrasse tra quelle esercitate con il ricorso di primo grado, non sussiste;
se è vero che le diverse ed articolate domande della lavoratrice rispetto alla questione attinente all’illegittimità dei contratti a termine, si sono incentrate soprattutto sulla perdita delle retribuzioni nei periodi non lavorati, in forza dell’erroneo presupposto di una conversione o di un diritto all’assunzione a tempo indeterminato, è altresì vero che l’ultima domanda subordinata formulata in primo grado ha avuto pacificamente ad oggetto il risarcimento del danno ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, quale conseguenza dell’illegittimità dei contratti a termine e va evidenziato come tale domanda abbia fatto espresso riferimento, tra gli altri pregiudizi, a quello alla “dignità”;
in proposito, si deve osservare come, al di là del danno da perdita di chance di reperimento di altro lavoro, da provare in concreto, secondo Cass., S.U., 15 marzo 2016, n. 5072, la violazione della disciplina sulla reiterazione illegittima di contrati a termine, accertata nel caso di specie, produce un danno in quella sede definito “da precarizzazione” che inevitabilmente va riportato alla lesione della dignità del lavoratore;
infatti, la precarizzazione, altro non è che la realizzazione di una situazione di incertezza sulla stabilità dell’occupazione in una con l’utilizzazione in tali condizioni di uno stesso lavoratore, profilo che senza dubbio afferisce non soltanto alla tutela del lavoro (art. 35 Cost.) ma, ancor più radicalmente, alla persona ed alla sua dignità, quale diritto inviolabile (art. 2 Cost.), di cui è espressione anche il diritto al lavoro in quanto tale (art. 4 Cost.);
al di là del passaggio giuridico mediato dalla normativa Eurounitaria (le S.U. fanno appunto riferimento ad un “danno comunitario”), è evidente come il pregiudizio non consista (nè potrebbe consistere) nella mera violazione di norme, sia pure di livello sovranazionale, di regolazione del fenomeno della reiterazione abusiva dei contratti a termine, quanto nella compromissione di ciò che tali norme tutelano, ovverosia la dignità della persona, la cui garanzia è destinata ad esprimersi anche nel perseguire in via risarcitoria l’indebita precarizzazione insista nel ricorso, da parte del singolo datore, a plurimi contratti a tempo illegittimi con il medesimo lavoratore;
il diritto alla dignità della persona, in sè e rispetto alla proiezione lavorativa dell’individuo, nel diritto interno, trova infatti riconoscimento nell’art. 2 Cost., nonchè nell’art. 4 e, quanto al diritto Eurounitario, negli artt. 1 e 15 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (c.d. Carta di Nizza);
giustamente dunque la Corte territoriale ha pronunciato sul danno in sè da illegittima reiterazione di contratti di lavoro a termine, perchè quel danno rientrava senza dubbio nel risarcimento perseguito con quel capo di domanda;
1.2 il motivo, nella parte relativa alla quantificazione del danno è invece fondato; come ritenuto dalla citata Cass. 5072/2016, infatti, “in materia di pubblico impiego privatizzato, nell’ipotesi di abusiva reiterazione di contratti a termine, la misura risarcitoria prevista dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, comma 5, va interpretata in conformità al canone di effettività della tutela affermato dalla Corte di Giustizia UE (ordinanza 12 dicembre 2013, in C-50/13), sicchè, mentre va escluso – siccome incongruo – il ricorso ai criteri previsti per il licenziamento illegittimo, può farsi riferimento alla fattispecie omogenea di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, quale danno presunto, con valenza sanzionatoria e qualificabile come “danno comunitario”, determinato tra un minimo ed un massimo, salva la prova del maggior pregiudizio sofferto, senza che ne derivi una posizione di favore del lavoratore privato rispetto al dipendente pubblico, atteso che, per il primo, l’indennità forfetizzata limita il danno risarcibile, per il secondo, invece, agevola l’onere probatorio del danno subito”;
la Corte territoriale, applicando il parametro di cui all’art. 18 L. n. 300 del 1970, ha quindi errato e ciò comporta la cassazione della sentenza al fine di procedere alla ridefinizione del danno in applicazione dei corretti criteri di cui all’art. 32 cit.;
2. con il secondo motivo il Comune di Aprilia afferma la violazione dell’art. 112 c.p.c. e dei principi in tema di motivazione della pronuncia, sub specie dell’omesso esame di un motivo di gravame;
secondo il ricorrente la Corte non avrebbe considerato come, nel resistere all’appello avversario, il Comune aveva fatto leva sulle deliberazioni della Giunta Comunale, quale atti “sempre richiamati e comunque… presupposti per la singola stipula”;
il motivo è inammissibile;
l’assunto secondo cui i contratti non riportavano le “ragioni giustificatrici” è in sè sufficiente ad esprimere il decisum rispetto all’oggetto del contendere, rispetto al quale, la critica avrebbe dovuto riportare, come non è avvenuto, il testo dei documenti da cui quelle giustificazioni avrebbero dovuto essere desunte, così come quello dei contratti che si assume ad essi rinviassero per relationem;
ciò in osservanza delle rigorose regole di specificità di cui all’art. 366 c.p.c. (Cass. 24 aprile 2018, n. 10072) e di autonomia del ricorso per cassazione (Cass., S.U., 22 maggio 2014, n. 11308) che la predetta norma nel suo complesso esprime, con riferimento in particolare, qui, ai nn. 4 e 6 della stessa disposizione, da cui si desume la necessità che l’argomentazione siano completamente idonea a manifestare pregnanza, pertinenza e decisività delle ragioni di critica prospettate, senza necessità per la S.C. di ricercare autonomamente negli atti i corrispondenti profili ipoteticamente rilevanti;
il motivo è infine del tutto irrilevante rispetto all’ulteriore ragione di illegittimità evidenziata dalla Corte e consistente nel reiterarsi senza soluzione di continuità dei rapporti a tempo determinato, in quanto rispetto ad essa, riconnessa al solo dato temporale, non conta la sussistenza di delibere in ipotesi destinate a sorreggere le scelte in ordine alle assunzioni a termine;
3. il primo motivo di ricorso incidentale afferma l’errata o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 416 c.p.c., alla luce del principio di non contestazione, sostenendo che, a fronte di una precisa indicazione dei fatti costitutivi dei diritti azionati, con riferimento alla domanda di pagamento delle differenze retributive per indennità di turno e turni di reperibilità, era mancata una specifica contestazione da parte del Comune ed aggiungendosi altresì che comunque in causa era stata raggiunta, anche alla luce delle deposizioni testimoniali, la prova di quei fatti;
in merito al lavoro in turni ed ai turni di reperibilità il motivo è insufficiente in quanto, pur prendendosi atto della avvenuta deduzione in primo e secondo grado dei relativi fatti costitutivi, va rilevato come manchi una concreta censura rispetto all’osservazione della Corte d’Appello secondo cui nulla la lavoratrice avrebbe detto rispetto alla documentazione depositata dal Comune in riferimento al mancato svolgimento della dedotta turnazione;
tale osservazione, costituendo parte di un convincimento di merito sulla mancata prova dell’assunto, necessitava di completa critica, anche rispetto a quella documentazione comunale, viceversa mancata e limitata ad un passaggio in cui si afferma che si tratterebbe di documentazione “non meglio identificata”, senza alcuno specifico riferimento ai documenti in concreto prodotti dal Comune ed alla loro pertinenza o meno rispetto al tema in questione;
nè è idoneo il richiamo al principio di non contestazione, in quanto è riportato solo un passaggio della memoria di costituzione in primo grado del Comune, che risulta parimenti insufficiente ad attestare il verificarsi del corrispondente fenomeno processuale, proprio perchè nulla è detto rispetto al momento ed ai modi in cui sarebbe avvenuta la produzione comunale di documenti finalizzati a comprovare il mancato svolgimento della turnazione giornaliera e di reperibilità, attività la cui potenziale idoneità – almeno secondo quanto si desume dall’argomentare della Corte d’Appello – ad esprimere viceversa l’opposizione rispetto alle deduzioni altrui, avrebbe imposto una piena contestualizzazione della critica incentrata sul verificarsi di una dinamica di non contestazione, rispetto a quanto in proposito avvenuto nel processo;
ciò anche in osservanza dei già menzionati principi di specificità ed autonomia del ricorso per cassazione;
manca in definitiva una completa ed ammissibile critica della ratio decidendi, sicchè gli argomenti di merito svolti nella sentenza quale spiegazione del convincimento che ha portato i giudici di merito alla reiezione in parte qua della domanda resistono all’impugnazione;
ciò anche perchè l’assunto secondo cui i testimoni ascoltati avrebbero confermato lo svolgimento dei turni di reperibilità è meramente affermato e non corredato dalla trascrizione dei passaggi di tali deposizioni da cui tale conferma sarebbe stata da desumere;
risultano quindi ancora non osservati i criteri di specificità sopra richiamati, che escludono possa essere la Corte di Cassazione a ricercare nel concreto degli atti quanto, delle deposizioni predette, sia utile o meno all’accoglimento dell’impugnativa, la quale deve invece autonomamente esprimere in modo completo i dati su cui essa si fonda, proprio perchè caratterizzata come denuncia di un vizio di legittimità e non come richiesta – qui inammissibile – di nuovo esame dell’istruttoria, trattandosi di attività esclusivamente propria del giudice del merito;
il secondo motivo di ricorso incidentale afferma l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia; il motivo fa leva sulla genericità ed insufficienza della motivazione, oltre che, quanto alla questione sull’indennità di produttività, sulla portata meramente tautologica della sentenza impugnata;
in proposito non è corretta l’affermazione che correda il motivo in ordine al fatto per cui lo stesso, da riportare all’ipotesi di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, sarebbe governato dalla disciplina anteriore alla novella di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 2, per il risalire del ricorso di primo grado all’anno 2005;
infatti, la nuova formulazione dell'(intero) art. 360 c.p.c., si applica, ai sensi del D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 27, comma 2, ai ricorsi per cassazione proposti avverso le sentenze emesse a decorrere dalla data di entrata in vigore del medesimo decreto ed anzi, nel caso di specie, ed è ciò che più rileva, l’art. 360 c.p.c., n. 5, si applica nella formulazione introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b); ciò in quanto secondo la previsione dell’art. 54, comma 3, del medesimo D.L., la nuova norma riguarda l’impugnazione di sentenze pubblicate dopo il trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore (12.8.2012) della legge di conversione del decreto stesso, come è nel caso di specie, relativo a sentenza pubblicata il 6.6.2013;
ne deriva che assume rilievo, quanto a vizi della motivazione, soltanto l’omesso esame di un fatto decisivo e non la sufficienza o la specificità della motivazione (Cass., S.U., 7 aprile 2014, n. 8053);
quanto alla tautologia della motivazione rispetto all’indennità di produttività, in ipotesi rilevante per una riqualificazione ai sensi dell’art. 132 c.p.c., n. 4, è a dirsi che anche sul punto il ricorso per cassazione è carente ed irrituale, in quanto in esso si fa riferimento a “copiose e puntuali” argomentazioni, che non vengono però in quella sede riportate e ad una questione di discriminazione ai danni dei lavoratori a termine non meglio percepibile nella sua portata;
al punto che tale incerta esposizione non consente neppure di apprezzare sulla base del ricorso per cassazione, come necessario per i principi sopra richiamati – se la indubbiamente sintetica motivazione dei giudici di appello non costituisse in realtà la risposta ad un parimenti generico o non chiaro fondamento della pretesa rivendicata;
tale inadeguata formulazione del motivo rende dunque anch’esso inammissibile;
4. in definitiva va accolto soltanto il primo motivo del ricorso principale, per i fini di cui al punto 1.2 mentre vanno disattesi tutti gli altri motivi o profili di censura;
5. poichè il ricorso incidentale viene integralmente disatteso, rispetto ad esso deve formularsi l’attestazione di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.
PQM
La Corte accoglie il primo motivo del ricorso principale, rigetta il secondo motivo del ricorso principale nonchè il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 18 dicembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 9 giugno 2020
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