Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.11250 del 11/06/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22835/2015 proposto da:

Comune di Serrara Fontana, in persona del sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, viale G. Mazzini, n. 142, presso lo studio dell’avvocato De Curtis Claudia, rappresentato e difeso dall’avvocato Bonelli Enrico, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Ce.r.in. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Piazza di Villa Carpegna, n. 58, presso lo studio dell’avvocato Petrini Marco, che la rappresenta e difende, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1120/2015 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 05/03/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 12/12/2019 dal Cons. Dott. DE MARZO GIUSEPPE.

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza depositata il 5 marzo 2015, la Corte d’appello di Napoli, in parziale riforma della decisione di primo grado, ha revocato il Decreto Ingiuntivo 29 maggio 2009, n. 136 e ha condannato il Comune di Serrara Fontana a pagare alla Ce.r.in. s.r.l. la somma di 39.634,12 Euro, quale residuo ancora dovuto a titolo di aggio per l’attività di verifica e di controllo effettuata dalla seconda, in esecuzione del contratto di appalto del 31 marzo 2009.

2. Per quanto ancora rileva, la Corte territoriale ha osservato: a) che oggetto del contratto era il censimento analitico descrittivo di tutti gli immobili esistenti, accatastati e non, finalizzato all’applicazione dei tributi comunali e alla rilevazione di notizie concernenti gli immobili; b) che il corrispettivo previsto in favore dell’appaltatrice consisteva nell’aggio del 16,50%, “esclusivamente sulle nuove e maggiori entrate che deriveranno al Comune, accertate e riscosse”; c) che la società, effettuato il censimento, doveva preparare gli avvisi di accertamento, indicanti i tributi, le sopratasse e le ammende, da sottoporre all’approvazione dei competenti uffici comunali; d) che, secondo l’art. 11 del capitolato, il corrispettivo doveva essere determinato in percentuale sulle “somme derivanti” ovvero sulla “quota relativa al carico comunale”; e) che le fatture, presentate anche mensilmente, dovevano essere emesse: – per il 50% del corrispettivo richiesto, quale acconto calcolato sulla base degli “avvisi di accertamento emessi, non impugnati e incassati dal Comune”; – a saldo, da emettersi al termine dei lavori, al netto degli sgravi dovuti a errori materiali e delle partite contestate e dedotti gli acconti ricevuti; – al termine dell’eventuale contenzioso relativo alle partite contestate, qualora le somme fossero risultate dovute dal contribuente; f) che, in definitiva, il meccanismo contrattuale di determinazione del compenso si basava sulle somme accertate in via definitiva a carico del contribuente, ma non prevedeva, nonostante le espressioni poco chiare adoperate che l’eventuale mancato incasso delle stesse ricadesse a carico della società appaltatrice; g) che, tuttavia, occorreva tener conto delle somme versate dal Comune in corso di causa, che dovevano essere detratte dagli importi indicati nelle fatture e negli estratti dei libri contabili che, contrariamente a quanto ritenuto dal Comune, provavano la sussistenza del credito, alla luce del meccanismo contrattuale di determinazione del corrispettivo sopra ricordato.

3. Avverso tale sentenza il Comune di Serrara Fontana ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi cui ha resistito con controricorso la Ce.r.in s.r.l. Il ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis. 1 c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 1353,1362,1363, 1366 e 2697 c.c., nonchè dei principi generali in tema di interpretazione dei contratti stipulati con la pubblica amministrazione.

Si rileva che, a fronte del non equivoco tenore letterale sia del contratto del 31 marzo 1998 (art. 1) che del capitolato di appalto (art. 12 e 13), la Corte territoriale con affermazioni apodittiche, espresse in termini perplessi, aveva ritenuto sussistente il credito della controparte, che, al contrario, esigeva la dimostrazione dell’effettivo incasso, da parte dell’ente locale, delle somme indicate negli avvisi di accertamento emessi.

Siffatta interpretazione era, inoltre, l’unica coerente con il principio di buona fede.

La doglianza è fondata.

Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, in tema di ermeneutica contrattuale, l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto del negozio si traduce in una indagine di fatto, affidata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità nella sola ipotesi di motivazione inadeguata ovvero di violazione di canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 c.c. e segg.. Pertanto, al fine di far valere una violazione sotto i due richiamati profili, il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti, non essendo consentito il riesame del merito in sede di legittimità (v., ad es., Cass. 15 novembre 2017, n. 27136).

Ora, nei caso di specie, proprio dall’esame delle pattuizioni valorizzate dal giudice di merito e ripercorse anche nell’atto di impugnazione non si coglie alcuna incertezza nel fatto che il corrispettivo fosse correlato alle somme effettivamente incassate, anche alla luce dell’eventuale contestazione da parte del contribuente destinatario di un avviso di accertamento.

Nè la sentenza impugnata esplicita in qual modo e alla stregua di quali dati negoziali sarebbe possibile giungere alla conclusione accolta, sebbene essa ritenga, ma, ancora una volta in termini assolutamente generici e non intellegibili, esistenti espressioni poco chiare (testualmente: “somme accertate e riscosse, avvisati incassati”) che, invece appaiono assolutamente univoche nel senso di collocare nella base di calcolo le sole somme effettivamente conseguite dal Comune.

2. Con il secondo motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione dell’art. 112 c.p.c., nonchè dell’art. 2697 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., rilevando che, a fronte delle puntuali contestazioni del Comune, la società, attrice in senso sostanziale, aveva l’onere, quantomeno, di fornire la prova della base imponibile – peraltro soggetta a modificazione per effetto delle contestazioni dei contribuenti – recata dagli avvisi di accertamento emessi in virtù della propria attività di rilevazione e censimento.

Anche tale motivo è fondato, giacchè il meccanismo procedimentale dettato dal contratto per la liquidazione, che prevedeva l’emissione di fatture, non implica che, in caso di contestazione della correttezza del calcolo, le stesse acquisissero valore vincolante per il debitore.

In realtà, la fattura è titolo idoneo per l’emissione di un decreto ingiuntivo in favore di chi l’ha emessa, ma, nell’eventuale giudizio di opposizione, la stessa non costituisce prova dell’esistenza del credito, che dovrà essere dimostrato con gli ordinari mezzi di prova dall’opposto (v., ad es., Cass. 11 marzo 2011, n. 5915).

Quanto agli estratti dei libri contabili, l’assertiva osservazione della Corte territoriale sopra ricordata contrasta con gli artt. 2709 e 2710 c.c., poichè le risultanze, nel caso di specie, sono destinate a far prova a vantaggio dell’imprenditore e non nei rapporti con altro imprenditore.

3. In conseguenza dei superiori rilievi, la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte di appello di Napoli, in diversa composizione, che provvederà anche alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie il ricorso; cassa la sentenza; rinvia alla Corte di appello di Napoli, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 12 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 giugno 2020

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