LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –
Dott. CIGNA Mario – rel. Consigliere –
Dott. RUBINO Lina – Consigliere –
Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –
Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 31466-2018 proposto da:
D.F.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE CESARE FRACASSINI, 25, presso lo studio dell’avvocato MASSIMILIANO DOMENICO PARLA, rappresentata e difesa dall’avvocato VINCENZO SALVI;
– ricorrente –
contro
D.G.R., C.E.S., in proprio e quali esercenti la potestà sulla figlia minore D.G.A., nonchè tutti e due anche quali eredi del minore D.G.L., DI.GI.LI., C.D., R.M.R., elettivamente domiciliati in ROMA, V.LE MANLIO GELSOMINI 26-A, presso lo studio dell’avvocato LUCIA MUZZIOLI, rappresentati e difesi dagli avvocati ANTONIO VALENTINI, MARIA TERESA DI ROCCO;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 570/2018 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 28/03/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 06/02/2020 dal Consigliere Relatore Dott. MARIO CIGNA.
FATTI DI CAUSA
Il giorno 22-6-08 D.F.R. percorreva alla guida della propria autovettura SuzuKi Swift via *****, in agro del Comune di *****, allorquando, giunta all’incrocio con via *****, investì la bicicletta condotta dall’undicenne D.G.L., che, in seguito alle gravi lesioni riportate, morì il successivo *****.
Instauratosi procedimento penale nei confronti della D.F. per omicidio colposo, si costituirono parti civili D.G.R. ed C.E.S. (genitori di D.G.L.), in proprio e quali genitori L.R. della figlia minore D.G.A., nonchè Di.Gi.Li., C.D. e R.M.R. (nonni di D.G.L.), chiedendo la condanna generica dell’imputata al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separata sede, ed il pagamento di una provvisionale.
Con sentenza 728/2012 il Tribunale penale di Teramo, sez. distaccata di Giulianova, assolse l’imputata.
Con sentenza 2558/2014 la Corte d’Appello penale di L’Aquila rigettò il gravame proposto dal P.M. e dalle parti civili.
Con sentenza 225/2016 la S.C., accogliendo il ricorso proposto dalle sole parti civili, annullò la predetta sentenza della Corte d’Appello, rinviando – ex art. 622 c.p.c., – alla Corte d’Appello di L’Aquila per approfondire la questione di fatto concernente la conoscenza dei luoghi da parte dell’imputata.
Riassunto il giudizio da D.G.R. ed C.E.S., in proprio e quali genitori L.R. della figlia minore D.G.A., nonchè da Di.Gi.Li., C.D. e R.M.R., si costituì D.F.R..
Con sentenza 570/2018 del 28-3-2018 la Corte d’Appello di L’Aquila ha dichiarato D.F.R. responsabile del fatto illecito ascrittole in sede penale, e l’ha condannata a risarcire agli attori in riassunzione il danno dagli stesi subiti, da liquidarsi in separata sede, nonchè al pagamento, a titolo di provvisionale, di Euro 179.333,00 ciascuno in favore di D.G.R. ed C.E.S., Euro 37.333,00 in favore di D.G.A. ed Euro 24.000,00 ciascuno in favore di Di.Gi.Li., C.D. e R.M.R..
In particolare la Corte territoriale, per quanto ancora rileva, ha dapprima accertato la responsabilità della D.F. per avere omesso di dare la precedenza e per avere viaggiato ad una velocità eccedente i limiti di velocità imposti nel tratto di strada in questione, e comunque non adeguata al concreto contesto (centro abitato, strada fiancheggiata da abitazioni, presenza di intersezioni e fanciulli, prossimità di un incrocio, intersezione tra via ***** e via ***** visivamente percepibile, almeno parzialmente, anche da ampia distanza); al riguardo ha anche precisato: che se la D.F. avesse tenuto una condotta di guida complessivamente corretta, vi sarebbero state significative possibilità di evitare l’incidente; che l’immissione di altro veicolo nell’incrocio non poteva ritenersi imprevedibile; che, pertanto, attesa la detta scorretta condotta di guida, era irrilevante la circostanza che, quando poi in effetti si era concretizzata la situazione di pericolo, la D.F. non aveva potuto compiere manovre diversive.
La Corte territoriale, inoltre, ha escluso una concorrente responsabilità – ex art. 1227 c.c., – del ciclista, atteso che lo stesso viaggiava su strada con diritto di precedenza e non aveva potuto avvedersi (per la presenza di ostacoli che limitavano la integrale visibilità dell’incrocio) del sopraggiungere dell’auto, dalla quale era stato investito al centro della carreggiata a causa della predetta condotta colposa della conducente.
La Corte, infine, ha precisato che i genitori e la sorella, in qualità di eredi, avevano diritto anche al risarcimento del “danno biologico terminale” patito da D.G.L. nel periodo di sopravvivenza tra il sinistro ed il decesso (due gg), essendo intercorso un apprezzabile lasso di tempo tra le lesioni colpose e la morte, e sempre esistente per effetto della percezione, anche non cosciente, della gravissima lesione dell’integrità personale della vittima nella fase terminale della sua vita; siffatto pregiudizio della salute, anche se temporaneo, era massimo nella sua entità ed intensità (in quanto conduceva a morte un soggetto in un limitato lasso di tempo), con conseguente liquidazione equitativa (Euro 20.000,00 “per die”), correlata all’entità della perdita subita (inabilità temporanea totale), al tempo di durata di detta perdita, alla giovanissima età di D.G.L. ed alla gravissima entità delle lesioni.
Avverso detta sentenza D.F.R. propone ricorso per Cassazione, affidato a quattro motivi ed illustrato anche da successiva memoria.
D.G.R. ed C.E.S., in proprio e quali genitori L.R. della figlia minore D.G.A., nonchè Di.Gi.Li., C.D. e R.M.R., resistono con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente denuncia – ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, – nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, avendo fornito la Corte territoriale una motivazione del tutto apparente, e comunque manifestamente ed irriducibilmente contraddittoria in punto di esclusione di un concorso di colpa in capo alla vittima (in particolare le diverse conseguenze tratte dalla Corte, con riferimento ai due veicoli coinvolti, in relazione ad uno stesso fatto, e cioè la non completa visibilità dell’incrocio).
Il motivo è infondato.
Costituisce consolidato principio di questa Corte che la mancanza di motivazione, quale causa di nullità per mancanza di un requisito indispensabile della sentenza, si configura “nei casi di radicale carenza di essa, ovvero del suo estrinsecarsi in argomentazioni non idonee a rivelare la “ratio decidendi” (cosiddetta motivazione apparente), o fra di loro logicamente inconciliabili, o comunque perplesse od obiettivamente incomprensibili (Cass. sez. unite 8053 e 8054/2014); nella specie la Corte territoriale, come evidente dalla riportata sintesi della sentenza impugnata, ha espresso le ragioni della adottata decisione sulla base di un’approfondita disamina delle risultanze istruttorie, valutando le prove raccolte con argomentazioni logicamente conciliabili, non perplesse ed obiettivamente comprensibili; in particolare, in ogni modo, non si riscontra la lamentata contradditorietà, attesa la diversità tra le complessive condotte dei due soggetti coinvolti (nello specifico, infatti, la conducente dell’auto non aveva concesso la precedenza e procedeva a velocità eccessiva, mentre il ciclista non era incorso in alcuna violazione).
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia – ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, – nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, per avere la Corte territoriale omesso ogni motivazione in punto di responsabilità concorrente dei genitori, nonchè – ex art. 360, n. 3, – per violazione e falsa applicazione degli artt. 2043,2048,2056 e 1227 c.c..
La censura, concernente (come detto) la responsabilità dei genitori per il comportamento imprudente del figlio, è assorbita dal rigetto del primo motivo, e dalla conseguente esclusione di profili di colpa in capo al figlio.
Con il terzo motivo la ricorrente, denunciando – ex art. 360 c.p.c., n. 3, – violazione e falsa applicazione degli artt. 2043,2054,2056 e 1227 c.c., art. 141 e 145 C.d.S., si duole che la Corte territoriale non abbia considerato che, nel caso di scontro tra veicoli, il Giudice che abbia accertato la colpa di uno dei conducenti non può, per ciò solo, ritenere superata la presunzione posta dall’art. 2054 c.c., comma 2, a carico anche dell’altro, essendo invece tenuto a verificare in concreto se quest’ultimo abbia o meno tenuto una condotta di guida corretta, e, in ipotesi di immissione in un incrocio, se il conducente favorito abbia adottato la massima prudenza al fine di evitare incidenti.
Il motivo è inammissibile in quanto non in linea con l’impugnata sentenza, che, con accertamento in fatto, di per sè non sindacabile in sede di legittimità, non ha escluso la corresponsabilità della vittima solo in base alla affermata colpa dell’automobilista ma, in concreto, per mancanza di addebiti di colpa alla vittima medesima, che, a dire appunto della Corte, non si era potuto avvedere del sopraggiungere dell’auto per la presenza di ostacoli che limitavano l’integrale visibilità dell’incrocio ed era stato investito quando aveva già raggiunto il centro della carreggiata.
Con il quarto motivo la ricorrente, denunziando – ex art. 360 c.p.c., n. 3, – violazione e falsa applicazione degli artt. 1223,1226 e 2056 c.c., si duole che la Corte territoriale abbia riconosciuto la risarcibilità del “danno terminale”, nonostante il dichiarato stato di incoscienza della vittima, liquidando peraltro lo stesso senza adottare le tabelle di *****.
Il motivo è infondato.
Come di recente ribadito da Cass. 28989/2019, in materia di danno non patrimoniale, in caso di morte cagionata da un illecito, può ricorrere (e, quindi, essere trasmissibile agli eredi) il danno biologico terminale, cioè il danno biologico “stricto sensu” (ovvero il danno al bene “salute”) subito dalla vittima, al quale, nell’unitarietà del “genus” del danno non patrimoniale, può aggiungersi un peculiare danno morale soggettivo (“danno morale terminale”, o “danno catastrofale” o da lucida agonia), ovvero il danno da percezione, concretizzabile sia nella sofferenza fisica derivante dalle lesioni, sia nella sofferenza psicologica (paura o paterna d’animo) sopportato dalla vittima nell’assistere al progressivo svolgimento della propria condizione esistenziale verso l’ineluttabile fine-vita.
L’accertamento del primo (c.d. “danno biologico terminale”), quale danno conseguenza, presuppone che le conseguenze pregiudizievoli si siano effettivamente prodotte, necessitando a tal fine che tra l’evento lesivo e il momento del decesso sia intercorso un “apprezzabile lasso temporale”, e cioè che la persona ferita non muoia immediatamente, sopravvivendo per almeno ventiquattro ore, tale essendo la durata minima, per convenzione medico legale, ai fini dell’apprezzabilità dell’invalidità temporanea (mancando di utilità uno spazio di vita brevissimo); per la configurabilità di siffatto danno alla salute, consistente (come detto) nel fatto che per un certo apprezzabile lasso di tempo il soggetto non abbia potuto oggettivamente svolgere le sue attività quotidiane (danno che, anche se temporaneo, è massimo nella sua entità ed intensità proprio per la prossimità dell’evento morte), è irrilevante che durante tale periodo la vittima abbia mantenuto lucidità ed è quindi indifferente lo stato di incoscienza (conf. Cass. 18056/2019).
L’accertamento del secondo (“danno morale terminale”, o “danno catastrofale” o “danno da lucida agonia”), anch’esso danno conseguenza, essendo (come detto) danno da percezione, presuppone invece che la persona si trovi in una condizione di “lucidità agonica”, e cioè che sia in grado di percepire la sua situazione e, in particolare, l’imminenza della morte; per tale danno rileva, quindi, il criterio dell’intensità della sofferenza patita, mentre è irrilevante, a fini risarcitori, il lasso di tempo intercorso tra la lesione personale ed il decesso.
Correttamente, pertanto, nella specie, la Corte territoriale ha ritenuto sussistente, nonostante lo stato di incoscienza della vittima nei due giorni trascorsi tra le lesioni e la morte, il “danno biologico terminale” patito dalla vittima.
Altrettanto correttamente la Corte di merito ha liquidato detto danno discostandosi dalle Tabelle di *****, atteso che lo stesso non va liquidato applicando aprioristicamente il valore “pro die” previsto dalle dette Tabelle ma adeguando lo stesso, con valutazione equitativa, alle circostanze del caso concreto (conf. Cass. 7632/2003 e numerose successive); siffatta valutazione costituisce giudizio di fatto, non sindacabile in sede di legittimità, tranne nell’ipotesi (non verificatasi nella specie) di liquidazione manifestamente sproporzionata (Cass. ord. 25/05/2017, n. 13153; Cass. 08/11/2007, n. 23304): e tanto perchè la liquidazione equitativa, anche nella sua forma cd. pura, consiste in un giudizio di prudente contemperamento dei vari fattori di probabile incidenza sul danno nel caso concreto, sicchè, pur nell’esercizio di un potere di carattere ampiamente discrezionale, il giudice è chiamato a dare conto, in motivazione, del peso specifico attribuito ad ognuno di essi, in modo da rendere evidente il percorso logico seguito nella propria determinazione e consentire il sindacato del rispetto dei principi del danno effettivo e dell’integralità del risarcimento (Cass. 13/09/2018, n. 22272; Cass. ord. 20/06/2019, n. 16595).
In conclusione, pertanto, il ricorso va rigettato.
Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, poichè il ricorso è stato presentato successivamente al 30-1-2013 ed è stato rigettato, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 6.100,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge; dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma, il 6 febbraio 2020.
Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2020
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