Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.21198 del 02/10/2020

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18794-2014 proposto da:

A.G., F.I., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA BOEZIO 16, presso lo studio dell’avvocato BENIAMINO LA PISCOPIA, rappresentati e difesi dall’avvocato PIETRO CIAVARELLA;

– ricorrenti –

contro

AMMINISTRAZIONE PROVINCIALE DI FOGGIA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ANGELO ELMO 56, presso lo studio dell’avvocato SERGIO DELVINO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NICOLA MARTINO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4119/2013 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 24/02/2014 R.G.N. 5518/2010.

RITENUTO IN FATTO

CHE:

1. la Corte d’Appello di Bari, respingendo il gravame proposto da A.G. e F.I., ha confermato la pronuncia del Tribunale di Foggia con la quale era stata declinata la giurisdizione fino al 30 giugno 1998 e respinta nel merito la domanda con la quale i predetti ricorrenti avevano chiesto l’accertamento dell’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato con la Provincia di Foggia, dal 1981 al 2003, per avere essi svolto, contestualmente al godimento di un alloggio posto all’interno del complesso scolastico di *****, loro assegnato originariamente per sopperire alle esigenze abitative conseguenti al sisma dell’Irpinia, varie- prestazioni lavorative nell’interesse della controparte (custodia, apertura della scuola, piccole manutenzione etc.);

la Corte territoriale, quanto ai profili di giurisdizione, sottolineava come fosse passata in giudicato la pronuncia del Tribunale Amministrativo, parimenti adito per il periodo anteriore al giugno 1998, con la quale, sul presupposto dell’implicita sussistenza della giurisdizione amministrativa, era stata affermata la decadenza dalla proposizione della corrispondente domanda, attraverso pronuncia munita di effetti sostanziali sulla situazione giuridica soggettiva coinvolta;

nel merito la Corte territoriale, ricostruiti gli esiti istruttori, riteneva che le prestazioni emerse fossero di natura intrinsecamente occasionale e mai sorrette da vincolo negoziale, con difetto di ogni permanente obbligo di messa a disposizione dell’attività lavorativa, il tutto nel contesto di un godimento gratuito dell’unità abitativa posta nel complesso scolastico;

2. A.G. e F.I. hanno impugnato per cassazione la sentenza di appello con cinque motivi, poi illustrati da memoria e resistiti da controricorso della Provincia.

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

1. va preliminarmente disattesa l’eccezione di tardività del ricorso per cassazione sollevata dalla controricorrente;

il processo fu iniziato nel 2004 e dunque esso, ai sensi del L. n. 69 del 2009, art. 58, comma 1, soggiace alle regole di rito antecedenti alle modifiche apportate dalla stessa legge;

per quanto riguarda l’art. 327 c.p.c., il c.d. termine lungo di impugnazione è quindi di un anno ed è da aversi per rispettato, in quanto la sentenza di appello è stata depositata il 25.2.2014 ed il ricorso per cassazione è stato messo in notifica nel luglio di quello stesso anno;

2. i primi due motivi, pur riguardando la giurisdizione, possono essere affrontati in questa sede, stante l’assegnazione generalizzata a questa sezione dei ricorsi per cassazione avverso sentenze dei giudici ordinari che pongono questioni di giurisdizione afferenti al settore del pubblico impiego privatizzato, disposta dal Primo Presidente con provvedimento 10 settembre 2018 prot. n. 121;

2.1 con il primo motivo i ricorrenti ripropongono la questione di giurisdizione, per il periodo anteriore al 1.7.1998, sul presupposto che sulla giurisdizione non si formi giudicato sostanziale, sicchè la decisione del T.A.R., pur formalmente definitiva, non sarebbe di pregiudizio per la proposizione della causa, anche per quel periodo, presso il giudice ordinario;

il motivo è inammissibile in quanto non si confronta con la ratio decidendi, sviluppata dalla Corte territoriale nel senso che, ad impedire l’ulteriore cognizione di quel periodo,”(starebbe la ormai definitiva pronuncia di decadenza assunta dal giudice amministrativo quale effetto consequenziale, ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 69, comma 7, alla decisione sulla giurisdizione;

2.2 con il secondo motivo è addotta invece la violazione dell’art. 2909 c.c., nonchè degli artt. 37,41 e 112 c.p.c. e l’omessa o dubbiosa motivazione su punto decisivo, sostenendosi che sarebbe stata erroneamente affermata la sussistenza di un giudicato preclusivo ed argomentandosi altresì sull’erroneità della pronuncia con cui il Consiglio di Stato disattese l’appello avverso la pronuncia del T.A.R., in quanto a dire dei ricorrenti esso non avrebbe potuto essere dichiarato irricevibile senza previamente esaminare la questione di giurisdizione; anche tale motivo è inammissibile;

la Corte territoriale ha ritenuto che la pronuncia del T.A.R. avesse affermato la giurisdizione amministrativa dando applicazione ad una fattispecie “di decadenza ad effetti sostanziali”, sicchè la pronuncia doveva intendersi come riguardante la ricorrenza di una causa estintiva del diritto ivi azionato;

nel criticare tale affermazione, peraltro coerente con consolidati approdi giurisprudenziali (da ultimo Corte Cost. 18 gennaio 2018, n. 6; Cass. 6 dicembre 2010, n. 24690), i ricorrenti non trascrivono il testo del giudicato da cui dovrebbe desumersi che la pronuncia non ha riguardato il diritto, ma la sola giurisdizione, sicchè il ricorso finisce per risultare generico;

la formulazione si pone dunque in contrasto con le rigorose regole di specificità di cui all’art. 366 c.p.c. (Cass. 24 aprile 2018, n. 10072) e di autonomia del ricorso per cassazione (Cass., S.U., 22 maggio 2014, n. 11308) che la predetta norma nel suo complesso esprime, con riferimento in particolare, qui, al n, 4 e 6 della stessa disposizione, da cui si desume la necessità che la narrativa e l’argomentazione siano idonee a manifestare pregnanza, pertinenza e decisività delle ragioni di critica prospettate, senza necessità per la S.C. di ricercare autonomamente negli atti i corrispondenti profili ipoteticamente rilevanti (v. ora, sul punto, Cass., S.U., 27 dicembre 2019, n. 34469); quanto alle questioni attinenti alla legittimità della pronuncia del Consiglio di Stato, il cui vizio consisterebbe nell’aver dichiarato l’irricevibilità dell’appello avverso quella pronuncia del T.A.R., senza previamente esaminare la questione di giurisdizione, è evidente che esse, a parte l’inammissibilità anche in questo caso per mancata trascrizione della sentenza amministrativa di appello, non possono essere affrontate in questa sede, risultando del tutto irrituale l’ipotesi di discutere, nell’ambito dell’impugnazione di una sentenza del giudice ordinario, di ipotetici errores in procedendo di altra autorità giurisdizionale, da essa asseritamente commessi nel pervenire ad una propria pronuncia che si intenderebbe in tal modo vanificare al fine di riaprire il dibattito sulla giurisdizione;

inammissibile è poi anche la parte del secondo motivo in cui si critica la sentenza della Corte d’Appello di Bari per avere omesso di pronunciarsi “sulla latente richiesta di rimettere eventualmente il giudizio” alle Sezioni Unite “per il regolamento della giurisdizione” del periodo dal 1981 al 1998;

la possibilità per il giudice indicato da altra autorità giudiziaria come munito di giurisdizione, di sollevare il conflitto di giurisdizione, non prevista dal codice di rito, è stata introdotta dalla L. n. 69 del 2009, art. 59, comma 3, (per il giudice amministrativo essa è regolata altresì dall’art. 11, comma 3, del Codice del processo Amministrativo), ma si tratta di ipotesi che le S.U. di questa Corte hanno ritenuto applicabile solo al rigoroso verificarsi dei presupposti specifici previsti da tale norma (v. Cass., S.U., 10 marzo 2014, n. 5493);

In particolare, la proposizione officiosa del conflitto può derivare da una vicenda di translatio iudicii in cui il giudice, raggiunto dalla causa in cui viene affermata da altra autorità la sua giurisdizione, ritenga di non averla;

nulla di tutto ciò è accaduto nel caso di specie, in cui neppure si è verificato un conflitto, positivo o negativo, di giurisdizione, avendo la Corte d’Appello preso atto che il T.A.R., decidendo sul periodo fino al 30.6.1998, aveva ritenuto la propria giurisdizione e applicato la regola di decadenza (sostanziale) di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 69, comma 7, decidendo quindi, in ragione di essa, il merito della controversia;

il motivo di censura e la richiesta, avanzata ancora in questa sede, di regolazione della giurisdizione (il richiamo della parte è all’art. 41 c.p.c.) rispetto alla causa definita dal T.A.R. e dal Consiglio di Stato risulta perciò del tutto irrituale, in quanto la questione di giurisdizione, semmai, doveva essere debitamente coltivata presso il giudice amministrativo, eventualmente poi impugnando la decisione assunta presso la S.C. ai sensi dell’art. 362 c.p.c., al fine di caducare la pronuncia in quanto effetto di un’ (eventualmente) erronea declaratoria della giurisdizione amministrativa, ma ciò non è avvenuto;

il terzo motivo è rubricato coma violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5 ed afferma che la sentenza di appello avrebbe “negato una norma che invece esiste” ed avrebbe altresì illegittimamente applicato le norme processuali “che hanno coinvolto ingiustamente la sentenza”, oltre ad “omesso, insufficiente e contraddittorio esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti” (artt. 1321 e 1362 c.c., artt. 421,429 e 384 c.p.c.) il tutto in relazione agli artt. 112 e 116 ed agli artt. 2126,2094 e 2098 e 2140 c.c.”;

al di là dell’incerta formulazione della rubrica, il motivo si articola, nel suo svolgimento, in una generica denuncia di contraddittorietà tra le giurisprudenza citata dalla pronuncia di appello e gli esiti del giudizio (pag. 20), nell’assunto per cui “dalle deposizioni dei testimoni escussi in giudizio, risultava chiaramente confermata la sussistenza del rapporto di lavoro di fatto tra l’A.P. ed i coniugi” (pag. 22), cui seguono critiche per il mancato uso della prova presuntiva (pag. 25), in un contesto in cui sostanzialmente si propone, inammissibilmente la rilettura dei dati istruttori;

è però noto come il ricorso per cassazione non possa fondarsi sulla mera difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente rispetto al valore ed al significato attribuiti dal giudice agli elementi delibati, risolvendosi, altrimenti, esso, in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento di quest’ultimo tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione. (Cass., S.U., 25 ottobre 2013, n. 24148);

4. il quarto motivo denuncia la violazione dell’art. 360, n. 1, 3, 4 e 5, richiamando in rubrica gli artt. 112,132 e 389 c.p.c., l’art. 2043 c.c. o art. 96 c.p.c., L. n. 124 del 1999, art. 8 e l’art. 2041 c.c., anche per mancato esame domanda ingiustificato arricchimento e mancato riconoscimento dei contributi previdenziali;

con esso si censura la sentenza impugnata in quanto essa “non dice una parola sul richiesto risarcimento danni per la mancata assunzione”;

il motivo tuttavia non spiega perchè dovesse esservi una tale assunzione, nè ovviamente possono essere utili a fondare diritti risarcitori le questioni in merito all’azione di accertamento dell’esistenza di fatto di un rapporto con le caratteristiche della subordinazione, perchè la domanda fu respinta in appello e i motivi ad essa relativi non vengono qui accolti;

in altra parte del motivo si afferma che la sentenza avrebbe in modo “del tutto irragionevole” omesso di accogliere la domanda di ingiustificato arricchimento;

il motivo è ancora inammissibile in quanto, essendo pacifico, anche dalla sentenza impugnata, che il Tribunale respinse tale domanda subordinata, era onere del ricorrente affermare di avere proposto appello sul punto e trascrivere i corrispondenti passaggi dell’atto di gravame, non potendosi altrimenti censurare la sentenza impugnata per omessa pronuncia;

tali incombenti non sono stati osservati e dunque il motivo va disatteso anche in parte qua, valendo i medesimi principi di specificità sopra già richiamati al punto 2.2.;

5. infine, il quinto motivo afferma la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. e dell’art. 112 c.p.c., sostenendosi che la sentenza impugnata avrebbe indebitamente compensato le spese di giudizio tra le parti, mentre essa avrebbe dovuto accogliere le domande dei ricorrenti e conseguentemente disporre la refusione in loro favore delle spese stesse;

si tratta di motivo palesemente inammissibile, perchè il capo sulle spese è stata conseguenza della decisione di merito e quindi, il ricorso per cassazione non può riguardarlo in quanto tale, ma solo in quanto destinato a restare caducato, ex art. 336 c.p.c., per eventuale annullamento della pronuncia (che qui non si verifica) dovuto all’accoglimento di altri motivi attinenti all’oggetto del contendere;

6. le spese del grado restano regolate secondo soccombenza.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento in favore della controparte delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 16 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 2 ottobre 2020

Codice Civile > Articolo 1321 - Nozione | Codice Civile

Codice Civile > Articolo 1362 - Intenzione dei contraenti | Codice Civile

Codice Civile > Articolo 2020 - Leggi speciali | Codice Civile

Codice Civile > Articolo 2041 - Azione generale di arricchimento | Codice Civile

Codice Civile > Articolo 2043 - Risarcimento per fatto illecito | Codice Civile

Codice Civile > Articolo 2094 - Prestatore di lavoro subordinato | Codice Civile

Codice Civile > Articolo 2098 - Violazione delle norme sul collocamento dei lavoratori | Codice Civile

Codice Civile > Articolo 2126 - Prestazione di fatto con violazione di legge | Codice Civile

Codice Civile > Articolo 2140 - (Omissis) | Codice Civile

Codice Civile > Articolo 2909 - Cosa giudicata | Codice Civile

Codice Procedura Civile > Articolo 5 - Momento determinante della giurisdizione e della competenza | Codice Procedura Civile

Codice Procedura Civile > Articolo 37 - Difetto di giurisdizione | Codice Procedura Civile

Codice Procedura Civile > Articolo 41 - Regolamento di giurisdizione | Codice Procedura Civile

Codice Procedura Civile > Articolo 91 - Condanna alle spese | Codice Procedura Civile

Codice Procedura Civile > Articolo 92 - Condanna alle spese per singoli atti. Compensazione delle spese | Codice Procedura Civile

Codice Procedura Civile > Articolo 96 - Responsabilita' aggravata | Codice Procedura Civile

Codice Procedura Civile > Articolo 112 - Corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato | Codice Procedura Civile

Codice Procedura Civile > Articolo 132 - Contenuto della sentenza | Codice Procedura Civile

Codice Procedura Civile > Articolo 327 - Decadenza dall'impugnazione | Codice Procedura Civile

Codice Procedura Civile > Articolo 336 - Effetti della riforma o della cassazione | Codice Procedura Civile

Codice Procedura Civile > Articolo 362 - Altri casi di ricorso | Codice Procedura Civile

Codice Procedura Civile > Articolo 366 - Contenuto del ricorso | Codice Procedura Civile

Codice Procedura Civile > Articolo 384 - Enunciazione del principio di diritto e decisione della causa nel merito | Codice Procedura Civile

Codice Procedura Civile > Articolo 389 - Domande conseguenti alla cassazione | Codice Procedura Civile

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472