LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –
Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –
Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –
Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –
Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 13721/2016 R.G. proposto da:
B.V., c.f. *****, B.L., c.f. *****, elettivamente domiciliati, con indicazione dell’indirizzo p.e.c., in Torino, al corso A. Tassoni, n. 16, presso lo studio dell’avvocato Francesco Paulicelli, che li rappresenta e difende in virtù di procura speciale in calce al ricorso.
– ricorrenti –
contro
S.G.C., c.f. *****, elettivamente domiciliato, con indicazione dell’indirizzo p.e.c., in Torino, alla via Vittorio Amedeo II, n. 13, presso lo studio dell’avvocato Alessandro Fontanazza, e dell’avvocato Massimo Angelini, che disgiuntamente e congiuntamente lo rappresentano e difendono in virtù di procura speciale in calce al controricorso.
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2096/2015 della Corte d’Appello di Torino;
udita la relazione nella Camera di consiglio del 16 settembre 2020 del consigliere Dott. Luigi Abete.
MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO 1. Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c., S.G.C. conveniva dinanzi al Tribunale di Torino B.V. e B.L..
Premetteva che con scrittura in data 21.11.2011 i convenuti, proprietari dell’unità abitativa in *****, avevano promesso di vendergli ed egli ricorrente aveva promesso di acquistare l’immobile anzidetto e le quote millesimali del box auto di pertinenza.
Premetteva che l’ammontare del corrispettivo era stato determinato in Euro 130.000,00 – di cui Euro 25.000,00 a titolo di caparra confirmatoria – siccome l’immobile era gravato da due iscrizioni ipotecarie, e che il termine per la stipula del definitivo era stato fissato al 29.2.2012.
Premetteva che i promittenti venditori si erano impegnati ad estinguere le ipoteche alla data di stipula del rogito, destinando a tale scopo parte del corrispettivo ad essi dovuto.
Indi esponeva che, per fatto e colpa dei promittenti venditori, non si era addivenuti alla stipula del definitivo nè alla data stabilita del 29.2.2012 nè successivamente, benchè il notaio da egli attore incaricato avesse comunicato ai promittenti la piena disponibilità alla stipula del rogito dopo il 30.4.2012; che dunque con raccomandata a.r. in data 21.5.2012, a fronte degli inadempimenti ascrivibili ai convenuti, aveva a costoro comunicato il suo proposito di recedere dal preliminare.
Chiedeva, in via principale, accertare e dichiarare l’intervenuto scioglimento del preliminare in dipendenza dell’esercitato recesso e condannare i promittenti venditori alla restituzione della somma di Euro 50.000,00, pari al doppio della caparra, con gli interessi; in via subordinata, accertare e dichiarare l’intervenuta risoluzione del preliminare per inadempimento dei promittenti venditori e, per l’effetto, condannare le controparti alla restituzione della somma di Euro 25.000,00 nonchè al risarcimento dell’ulteriore danno.
2. Si costituivano B.V. e B.L..
Instavano per il rigetto delle avverse domande; in via riconvenzionale chiedevano – tra l’altro – accertare e dichiarare l’inadempimento del promissario acquirente alle obbligazioni assunte con il preliminare in data 21.11.2011 e, conseguentemente, dichiarare e dare atto del legittimo loro recesso dal preliminare e del loro diritto di ritenere l’importo di Euro 25.000,00 ricevuto a titolo di caparra confirmatoria.
3. All’esito dell’istruzione probatoria, con ordinanza del 23.10.2013 l’adito tribunale, rigettata ogni ulteriore domanda hic et inde esperita, accertava e dichiarava il diritto dei convenuti di ritenere la caparra ad essi corrisposta dall’attore.
4. Proponeva appello S.G.C..
Chiedeva, in riforma del primo dictum, la condanna in solido degli appellati alla restituzione della somma di Euro 25.000,00.
Resistevano B.V. e B.L..
5. Con sentenza n. 2096/2015 la Corte d’Appello di Torino, in accoglimento del gravame, dichiarava la risoluzione per mutuo consenso del preliminare in data 21.11.2011 e, per l’effetto, condannava in solido gli appellati alla restituzione dell’importo di Euro 25.000,00 con gli interessi legali; compensava fino a concorrenza di 1/2 le spese del doppio grado e condannava gli appellati in solido al pagamento del residuo mezzo.
Evidenziava la corte che, all’inadempimento, coperto da giudicato, dell’appellante, promissario acquirente, corrispondeva l’inadempimento degli appellati, promittenti venditori.
Evidenziava segnatamente che i promittenti venditori, a seguito dell’invito ad essi rivolto dal promissario acquirente, del tutto ingiustificatamente non si erano recati dal notaio per la stipula del definitivo; che i promittenti venditori inoltre avevano omesso di comunicare al promissario acquirente la presenza, a far data dal 30.7.2012, di una terza ipoteca, con susseguente aggravamento delle condizioni dell’immobile promesso in vendita.
Evidenziava quindi che la mancata stipula del definitivo era da ascrivere al comportamento inadempiente di ambedue le parti contraenti ed il contratto doveva intendersi sciolto, a seguito e per effetto delle volontà di recesso hic et inde palesate, per mutuo dissenso, sicchè l’effetto restitutorio che ne derivava, era limitato alla restituzione dell’importo di Euro 25.000,00, con gli interessi.
6. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso B.V. e B.L.; ne hanno chiesto sulla scorta di due motivi la cassazione con ogni ulteriore statuizione.
S.G.C. ha depositato controricorso; ha chiesto dichiararsi inammissibile o rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese del giudizio di legittimità.
7. Il controricorrente ha depositato memoria.
8. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione dell’art. 1385 c.c..
Deducono che, contrariamente all’assunto della corte di merito e conformemente alle risultanze dell’istruzione probatoria, l’inadempimento ascrivibile a controparte ha rivestito rilievo preponderante ai fini della mancata attuazione delle pattuizioni siglate con il preliminare del 21.11.2011.
Deducono che il promissario acquirente ha, dal canto suo, volontariamente taciuto che la disponibilità pecuniaria necessaria per il suo acquisto fosse subordinata, così come hanno riferito i testi A. e Z., al buon esito della vendita dell’immobile di sua proprietà, in *****.
Deducono che giammai hanno, dal canto loro, taciuto al promissario acquirente l’esistenza di iscrizioni ipotecarie gravanti sull’immobile, tant’è che il prezzo della vendita era stato concordato in minor misura rispetto a quella inizialmente prevista; che al contempo le iscrizioni ipotecarie non erano per nulla atte ad ostacolare la stipula del definitivo, siccome i contraenti avevano espressamente pattuito che parte del corrispettivo fosse destinato alla estinzione dei gravami ipotecari.
Deducono dunque che era stato il promissario acquirente che non aveva provveduto alla corresponsione degli importi necessari ai fini della cancellazione delle formalità, viepiù che in data 4.5.2012 avevano con “Equitalia” definito ogni intesa allo scopo della cancellazione delle ipoteche.
Deducono infine che nessun rilievo riveste l’iscrizione ipotecaria eseguita in data 30.7.2012, siccome successiva al tempo in cui le parti avrebbero dovuto stipulare il definitivo e siccome, di certo, non prevedibile all’atto della stipula del preliminare, nel novembre dell’anno precedente; che in ogni caso l’ulteriore iscrizione al più avrebbe suggerito la richiesta di una maggior rateizzazione.
9. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la violazione o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c.; l’omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio.
Deducono che la corte distrettuale non ha tenuto conto che il promissario acquirente ha volontariamente taciuto che la disponibilità pecuniaria necessaria per il suo acquisto fosse subordinata, così come hanno riferito i testi A. e Z., al buon esito della vendita dell’immobile di sua proprietà, in *****; che in ordine all’inadempimento del promissario acquirente si è formato il giudicato; che essi promittenti venditori si sono correttamente attivati – alla stregua dei rilievi addotti con il primo motivo – ai fini della stipula del definitivo.
10. I motivi di ricorso sono strettamente connessi.
Da un canto, i ricorrenti con il secondo mezzo di impugnazione adducono, in sostanza, le medesime ragioni di censura prospettate con il primo mezzo.
D’altro canto, sia il primo sia il secondo mezzo sono da qualificare in via esclusiva ai sensi della previsione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Invero con entrambi i mezzi e quindi pur con il primo i ricorrenti, in realtà, censurano il giudizio “di fatto” cui la Corte di Torino ha atteso (“non vi è chi non veda (…) come, dall’analisi della situazione di fatto, nonchè della documentazione probatoria (…)”: così ricorso, pag. 13; “la situazione fattuale emersa e sulla base della quale la Corte d’Appello avrebbe dovuto decidere è la seguente: (…)”: così ricorso, pag. 18).
Del resto è propriamente il motivo di ricorso ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che concerne l’accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia (cfr. Cass. sez. un. 25.11.2008, n. 28054; cfr. Cass. 11.8.2004, n. 15499).
Ed in pari tempo questa Corte spiega, sia ai fini della decisione circa la fondatezza della domanda di risoluzione ex art. 1453 c.c. (cfr. Cass. 20.4.1982, n. 2454; Cass. 30.3.1989, n. 1554; Cass. 16.9.1991, n. 9619; Cass. 9.6.2010, n. 13840; Cass. 30.3.2015, n. 6401), sia ai fini della decisione circa la fondatezza della domanda di accertamento della legittimità del recesso ex art. 1385 c.c. (cfr. Cass. (ord.) 8.8.2019, n. 22209), che, in caso di inadempienze reciproche, non solo si impone un giudizio di comparazione in ordine ai comportamenti delle parti, allo scopo di stabilire quale di esse si sia resa responsabile delle trasgressioni che, per numero o per gravità ovvero per entrambe le cause, si rivelino idonee a turbare il sinallagma contrattuale, e si impone ancora la verifica dell’importanza dell’inadempimento, tenuto conto della sua efficacia causale rispetto alla finalità economica complessiva.
Ma spiega altresì che siffatta indagine – in entrambe le direzioni – costituisce accertamento “di fatto” demandato al giudice del merito, censurabile in sede di legittimità solo se viziato nei principi di diritto applicabili e nella logica del ragionamento, recte, a tal ultimo proposito, al cospetto del novello disposto dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per omesso esame circa fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.
I motivi di ricorso dunque sono da disaminare contestualmente.
Ambedue i motivi in ogni caso sono senz’altro da respingere.
11. Evidentemente gli asseriti vizi motivazionali sono da vagliare, oltre che in rapporto alla (novella) formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel segno della pronuncia n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite di questa Corte.
12. In quest’ottica si osserva quanto segue.
Per un verso, è daescludere recisamente che taluna delle figure di”anomalia” motivazionale destinate ad acquisire significato alla luce della pronuncia a sezioni unite testè menzionata – e tra le quali non è annoverabile il semplice difetto di “sufficienza” della motivazione – possa scorgersi in relazione alle motivazioni cui la corte torinese ha ancorato il suo dictum.
Più esattamente, con riferimento al paradigma della motivazione “apparente” – che ricorre allorquando il giudice di merito non procede ad una approfondita disamina logico – giuridica, tale da lasciar trasparire il percorso argomentativo seguito (cfr. Cass. 21.7.2006, n. 16672) – la corte piemontese – così come si è anticipato – ha compiutamente ed intellegibilmente esplicitato il proprio iter argomentativo.
Per giunta la Corte d’Appello di Torino non solo ha debitamente puntualizzato che la previa vendita, da parte del promissario acquirente, dell’immobile di sua proprietà, parimenti in *****, non era stata nè prefigurata nè pattuita nel preliminare. E che il termine del 29.2.2012, fissato per la stipula del definitivo, era da reputare non essenziale alla stregua delle espressioni adoperate dalle parti nel testo della scrittura del 21.11.2011.
Ma ha ulteriormente specificato che la nota del 12.6.2012, inoltrata dal difensore dei promittenti venditori a controparte, nota recante manifestazione di una non meglio precisata disponibilità dei promittenti a contrarre, “non conteneva alcuna comunicazione utile diretta a chiarire se ed in quali termini la questione della cancellazione delle iscrizioni ipotecarie fosse stata risolta con Equitalia” (così sentenza d’appello, pagg. 9 e 10).
Per altro verso, la corte di merito ha sicuramente disaminato il fatto storico dalle parti discusso, a carattere decisivo, connotante la res litigiosa, ovvero la valenza dei comportamenti tenuti da B.V. e L. sia in relazione comparativa con la condotta tenuta da S.G.C. sia in rapporto all’incidenza che gli stessi comportamenti hanno eziologicamente esplicato ai fini della mancata attuazione del programma negoziale che le medesime parti avevano concepito con la stipula del preliminare del 21.11.2011.
13. In ogni caso l’iter motivazionale che sorregge il dictum della corte piemontese risulta in toto ineccepibile sul piano della correttezza giuridica, assolutamente congruo ed esaustivo, sul piano logico – formale.
14. D’altronde i ricorrenti censurano l’asserita omessa, erronea valutazione delle risultanze istruttorie (“a ben vedere, la situazione, che è emersa a seguito dell’istruttoria svolta in primo grado, nonchè dalla documentazione depositata, è ben diversa da quella presa in considerazione dalla Corte d’Appello”: così ricorso, pag. 13; la statuizione impugnata “non ha in alcun modo tenuto in considerazione la documentazione prodotta dalle parti, le risultanze probatorie emerse, nonchè i fatti non contestati”: così ricorso, pag. 18).
E tuttavia il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4 – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (cfr. Cass. 10.6.2016, n. 11892).
Si tenga conto che, in materia di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 115 c.p.c., può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre (cfr. Cass. 10.6.2016, n. 11892).
15. In dipendenza del rigetto del ricorso i ricorrenti vanno in solido condannati a rimborsare al controricorrente le spese del presente giudizio di legittimità. La liquidazione segue come da dispositivo.
16. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, con vincolo solidale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis, D.P.R. cit., se dovuto (cfr. Cass. sez. un. 20.2.2020, n. 4315).
PQM
La Corte rigetta il ricorso; condanna in solido i ricorrenti, B.V. e B.L., a rimborsare al controricorrente, S.G.C., le spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e cassa come per legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, con vincolo solidale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis, D.P.R. cit., se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 16 settembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 14 dicembre 2020
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