LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –
Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –
Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –
Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –
Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 2527-2018 proposto da:
B.G., C.F., BI.GI., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA XX SETTEMBRE 3, presso lo studio dell’avvocato BRUNO NICOLA SASSANI, che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati FRANCESCO PAOLO LUISO, ALBERTO BELLI giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrenti –
contro
CITTA’ METROPOLITANA DI FIRENZE, elettivamente domiciliata in ROMA, C.SO D’ITALIA 102, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI PASQUALE MOSCA, rappresentata e difesa dall’avvocato STEFANIA GUALTIERI giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso l’ordinanza della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 13/06/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23/01/2020 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO.
MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE Gli odierni ricorrenti proponevano opposizione dinanzi al Tribunale di Firenze avverso l’ordinanza ingiunzione n. 1 del 28 marzo 2012, con la quale il Circondario Empolese Val d’Elsa, a seguito della notifica del verbale di illecito amministrativo n. *****, elevato dal Corpo Forestale dello Stato, aveva sanzionato gli opponenti per la violazione della L.R. Toscana n. 39 del 2000, e precisamente a carico dei B., quali proprietari dei terreni boschivi, e del C.F., quale direttore dei lavori.
Il Giudice adito rigettava l’opposizione con sentenza n. 2203/2016 dell’8 giugno 2016, rilevando che l’illecito amministrativo contestato, consistente nell’illegittima trasformazione di un terreno boschivo in terreno avente diversa destinazione, con movimentazione e sbancamento di terreno, taglio ed asportazione e/o sommersione di piante forestali, era stato inizialmente contestato unitamente ad una serie di reati per i quali gli opponenti erano stati tratti a giudizio dinanzi al Tribunale di Firenze.
Quest’ultimo, con la sentenza n. 890 del 14/7/2010, aveva emesso decisione di non doversi procedere per prescrizione, in relazione al reato di cui alla lett. C), del capo di imputazione, rispetto al quale solamente l’illecito amministrativo risultava connesso, con la conseguenza che correttamente, ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 24, u.c., era venuta meno la competenza del giudice penale, ritornando in gioco la possibilità per la PA di adottare l’ordinanza ingiunzione.
Disatteso anche il motivo di opposizione consistente nella violazione del diritto ad essere sentiti nel procedimento sanzionatorio, il Tribunale riteneva che fosse provata la proprietà dei terreni interessati dalla condotta illecita in capo a Bi.Gi., mentre in relazione al quarto motivo di opposizione, si evidenziava che il verbale di accertamento del Corpo Forestale dello Stato faceva piena prova fino a querela di falso di quanto analiticamente riportato nella narrativa, senza che ciò fosse stato contraddetto da alcuna diversa prova.
Avverso tale sentenza hanno proposto appello gli opponenti, e la Corte d’Appello di Firenze, con ordinanza n. 2995 del 13 giugno 2017 ha dichiarato inammissibile la querela di falso proposta con l’atto di appello, ritenendo nel resto che l’appello fosse inammissibile ex art. 348 ter c.p.c., non avendo ragionevole probabilità di accoglimento.
Quanto alla querela di falso, si riteneva che la stessa fosse manifestamente inammissibile ex art. 221 c.p.c., in quanto era carente dell’indicazione degli elementi e delle prove della falsità.
Non poteva darsi seguito a quanto sostenuto dalla difesa degli appellanti nel corso della discussione orale, laddove aveva sostenuto che la prova in questione si identificherebbe con quelle richieste nelle conclusioni dell’atto di appello con riferimento a quelle già vanamente richieste in primo grado, in quanto, in senso contrario a quanto dedotto, non solo mancava un riferimento alla querela di falso nella manifestazione dell’istanza istruttoria di cui si tratta, ma le prove richieste risultavano inammissibili posto che gli appellanti non formulavano alcuno specifico motivo di appello quanto al loro mancato accoglimento in primo grado.
Avverso tale ordinanza hanno proposto ricorso per cassazione Bi.Gi., B.G. e C.F. sulla base di un motivo.
La Città Metropolitana di Firenze ha resistito con controricorso. Con il motivo di ricorso, premessa la ricorribilità dell’ordinanza della Corte d’Appello di Firenze, laddove, in ordine alla decisione sulla querela di falso, esorbita dal contenuto tipico dell’ordinanza di cui all’art. 348 ter c.p.c., si denuncia la violazione dell’art. 221 c.p.c..
Infatti, sin dal primo grado i ricorrenti avevano chiesto di poter provare che la situazione reale di fatto era diversa da quella descritta nel verbale di constatazione.
Poichè tale prova era stata ritenuta preclusa in primo grado dalla valenza probatoria privilegiata del verbale, in appello era stata proposta querela di falso.
Erroneamente i giudici di appello hanno però ritenuto che le prove richieste erano relative solo alle richieste di merito e non anche alla querela di falso, emergendo per converso tale collegamento in maniera univoca dal tenore letterale dell’atto di appello.
Il motivo è fondato.
In premessa deve reputarsi che effettivamente l’ordinanza de qua, sebbene adottata ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., sia nel caso in esame suscettibile di autonoma impugnativa, alla luce dei principi di cui alla sentenza delle Sezioni Unite n. 1914 del 2016, atteso che, non risultando la questione circa l’ammissibilità della querela di falso oggetto anche della sentenza di primo grado, risultando infatti proposta per la prima volta in appello, la valutazione circa la formale ammissibilità della stessa, ove denunciata come erronea, investe un vizio proprio della stessa ordinanza.
In tal senso appare condivisibile il richiamo della difesa dei ricorrenti al precedente di questa Corte n. 2351/2017 che ha affermato che è ricorribile per cassazione, ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 7, l’ordinanza d’inammissibilità emessa – ex art. 348-ter c.p.c., – sul presupposto della tardività delle istanze istruttorie dedotte dall’appellante, qualora quest’ultimo lamenti l’erronea applicazione dell’art. 345 c.p.c., comma 3, atteso che tale supposto “error in procedendo”, riflettendosi sulla prognosi di accoglibilità del gravame, non potrebbe essere dedotto contro la sentenza di primo grado, ma unicamente contro la menzionata ordinanza, non essendo altrimenti sindacabile la decisione che neghi alla parte la possibilità di potersi giovare dell’appello, ossia di una impugnazione idonea a provocare un riesame – sia pure nei limiti del proposto gravame – della causa nel merito, non limitato al controllo di vizi specifici.
Anche nel caso di specie, essendo stata avanzata querela di falso solo in appello, l’erroneità della valutazione del giudice di appello, quanto all’ammissibilità della querela che si riflette del pari sulla prognosi di accoglimento dell’appello (che è stato ritenuto privo di ragionevole probabilità di accoglimento sul presupposto della natura vincolante degli accertamenti compiuti con il verbale impugnato di falso), non potrebbe essere censurata con l’impugnazione in cassazione della sentenza di primo grado (cui la questione è rimasta del tutto estranea), ma esclusivamente gravando la stessa ordinanza del giudice di appello.
Passando poi al merito della denuncia, si rileva che, come si ricava in maniera inequivoca dalla lettura dell’atto di appello, al punto D, contenente per l’appunto la querela di falso avverso il verbale n. ***** elevato dal Corpo Forestale dello Stato, quanto alla prova della falsità, oltre a richiamarsi il contenuto dei documenti prodotti, a pag. 29 dell’appello si rinnovava la richiesta di prova testimoniale, come articolata in prime cure, il che già contrasta con quanto invece opinato dai giudici di merito che hanno escluso che nell’atto di appello vi fosse un riferimento alle richieste de quibus con specifico riferimento alla querela di falso.
Altrettanto erronea appare poi l’affermazione che, anche a voler ravvisare tale collegamento, le prove articolate nel merito sarebbero inammissibili mancando uno specifico motivo di impugnazione in ordine al loro mancato accoglimento da parte del giudice di prime cure.
Rileva in tal senso, in primo luogo la circostanza che la mancata ammissione delle prove era appunto dipesa dalla ritenuta efficacia probatoria privilegiata del verbale, suscettibile di confutazione solo con la proposizione della querela di falso, sicchè la stessa formulazione in appello della querela equivale ad una quanto meno implicita contestazione delle ragioni per le quali le prove erano state reputate inammissibili.
Inoltre, ove si abbia riguardo alla parte dell’appello con la quale è stata contestata l’erronea interpretazione dei fatti e dei documenti di causa, nonchè l’erronea applicazione dell’art. 244 c.p.c., e art. 2697 c.c., sub lett. C, (pagg. 22 e ss. dell’atto di appello), è dato avvedersi che i ricorrenti deducevano che la prova dei fatti storici, in difformità da quanto emergeva dal verbale, sarebbe stata già fornita documentalmente e che comunque sarebbe emersa ove fosse stata ammessa la prova testimoniale articolata in prime cure, la cui richiesta veniva espressamente reiterata a pag. 26, dimostrando in tal modo di avere altresì specificamente impugnato le ragioni del suo mancato accoglimento.
L’ordinanza impugnata deve pertanto essere cassata, con rinvio per nuovo esame della rilevanza ed ammissibilità delle prove a corredo della querela di falso, a diversa sezione della Corte d’Appello di Firenze, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso e cassa l’ordinanza impugnata con rinvio a diversa sezione della Corte d’Appello di Firenze, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 23 gennaio 2020.
Depositato in Cancelleria il 23 aprile 2020