Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.9023 del 15/05/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14338/2015 proposto da:

P.C., elettivamente domiciliata in Roma, Via Giangiacomo Porro n. 8, presso lo studio dell’avvocato Pizzoli Giancarlo, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato Capriolo Simona, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Credito Emiliano (Credem) S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, Piazza dei Caprettari n. 70, presso lo studio dell’avvocato Guardascione Bruno, rappresentato e difeso dagli avvocati Ferrari Enrico, Ferrari Paolo, giusta procura in calce al controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 1830/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 19/03/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/02/2020 dal cons. Dott. FALABELLA MASSIMO.

FATTI DI CAUSA

1. – P.C. conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Roma Credito Emiliano s.p.a. lamentando la violazione degli obblighi informativi gravanti sull’intermediario con riferimento a un’operazione di acquisto di obbligazioni ***** effettuato il 24 maggio 2001 nell’ambito di un contratto di negoziazione concluso in precedenza.

Il Tribunale accoglieva la domanda risarcitoria dell’attrice e condannava la banca al risarcimento del danno che liquidava in Euro 32.694,54, oltre rivalutazione e interessi.

2. – Proponevano appello sia l’investitrice che la banca intermediaria.

La Corte di appello di Roma, con sentenza pubblicata il 19 marzo 2015, accoglieva l’appello principale del Credito Emiliano e per l’effetto rigettava le domande proposte da P.C..

Riteneva, in proposito, che, per quanto la banca fosse risultata inadempiente agli obblighi informativi che le facevano carico, non sussistesse, nella fattispecie, “alcun elemento per ritenere che se la banca avesse fornito le informazioni omesse e la P. fosse stata messa al corrente che i titoli che aveva chiesto di acquistare erano caratterizzati da una natura spiccatamente speculativa, (l’investitrice) si sarebbe indirizzata verso altri investimenti”: ciò in quanto “le caratteristiche che le obbligazioni ***** presentavano nel maggio 2001 erano del tutto conformi agli obiettivi dell’investimento ed al profilo di rischio costantemente dichiarati dall’odierna appellata nelle diverse schede sottoscritte in proposito sia prima come anche dopo l’investimento”. La stessa Corte di merito escludeva, del resto, che, a carico dell’intermediario, si potesse ravvisare l’obbligo di fornire informazioni sull’andamento del titolo in epoca successiva al perfezionamento del suo acquisto, onde, a suo avviso, la banca non doveva rispondere della condotta da essa tenuta a seguito dell’operazione.

Avendo riguardo al gravame incidentale, la Corte di merito osservava, per quanto qui ancora rileva, come solo nella comparsa conclusionale, e quindi tardivamente, l’investitrice aveva prospettato una nullità per vizio di forma riferita al contratto di negoziazione – siccome non sottoscritto dalla banca -, onde correttamente il Tribunale aveva omesso di prendere in esame la correlativa domanda di accertamento di nullità.

3. – Avverso la pronuncia della Corte di appello di Roma P.C. ha proposto un ricorso per cassazione articolato in sette motivi. Resiste con controricorso la banca Credito Emiliano, che ha svolto un ricorso incidentale condizionato articolato in un unico motivo. Sono state depositate memorie.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo è denunciata la violazione dell’art. 23 t.u.f. (D.Lgs. n. 58 del 1998) e dell’art. 2033 c.c. per essere stata violata la forma scritta, stante l’inesistenza del contratto di negoziazione “in violazione quest’ultima dell’art. 1321 c.c.”. La ricorrente lamenta che, con riferimento ai contratti formali, il regolamento pattizio non possa essere contenuto in pagine che non risultino regolarmente sottoscritte dalle parti: ciò che era invece accaduto nella fattispecie oggetto di causa.

Il motivo è inammissibile.

Del suddetto tema la sentenza impugnata non si occupa: infatti, la Corte di merito, nel trattare dell’appello incidentale di P.C., e dedicandosi al profilo relativo alla forma del contratto quadro (pag. 15 della sentenza), ha fatto unicamente menzione della questione, sollevata in comparsa conclusionale dall’odierna ricorrente, riferita alla asserita nullità del contratto di negoziazione “in quanto non firmato dalla banca”. L’istante non spiega se e come abbia prospettato il tema oggetto del motivo in esame al giudice del merito. E’ qui appena il caso di ricordare che in sede di legittimità non è consentita la proposizione di nuove questioni di diritto, ancorchè rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, quando esse presuppongano o richiedano nuovi accertamenti o apprezzamenti di fatto preclusi alla Corte di cassazione, salvo che nelle ipotesi previste dall’art. 372 c.p.c., tra le quali rientra la nullità della sentenza, purchè il vizio infici direttamente il provvedimento e non sia effetto di altra nullità relativa al procedimento (Cass. 8 febbraio 2016, n. 2443; Cass. 5 maggio 2006, n. 10319).

Peraltro, è la stessa ricorrente ad affermare (pag. 8 del ricorso) che il documento contrattuale recava precisa attestazione, da parte dell’investitrice, dell’avvenuta consegna di una copia delle “norme per la custodia, amministrazione, negoziazione, ricezione e trasmissione ordini di strumenti finanziari”: norme che la stessa ricorrente aveva dichiarato, di accettare nella scrittura privata sottoposta alla sua sottoscrizione e che anzi – viene ricordato (pag. 9) – erano state oggetto di specifica sua approvazione ex art. 1341 c.c., comma 2, (nella parte in cui, evidentemente, presentavano contenuto vessatorio). E’ oltremodo chiaro, allora, che quanto dedotto in ricorso dalla ricorrente non contraddica affatto il dato dell’esistenza di una manifestazione scritta di adesione alle predette condizioni generali di contratto da parte di P.C.: sicchè, in definitiva, la censura, per come svolta, si rivela inammissibile anche per carenza di decisività.

2. – Il secondo motivo oppone la violazione dell’art. 23, comma 1 t.u.f., dal momento che – ad avviso della parte istante – avrebbe dovuto essere dichiarata la nullità del contratto di negoziazione per mancata sottoscrizione di esso da parte della banca, oltre che la violazione degli artt. 1350,2033,2725 c.c. e art. 2729 c.c., comma 2, nonchè dell’art. 112 c.p.c.. Deduce l’istante che nella propria citazione aveva lamentato l’assenza di sottoscrizione, da parte della controricorrente odierna, del contratto quadro e che, venendo in questione un negozio soggetto alla forma scritta ad substantiam, la carenza indicata non era suscettibile di essere superata della prova per presunzioni (segnatamente da quella basata sul rilievo per cui sarebbe stato ragionevole affermare che un esemplare del documento contrattuale sarebbe stato sottoscritto dalla banca e consegnato alla controparte).

La Corte di appello ha ritenuto che la doglianza basata sulla mancata sottoscrizione del contratto quadro da parte della banca avesse carattere di novità, in quanto era stata fatta valere solo con la comparsa conclusionale (di primo grado, parrebbe di intendere) e ha comunque richiamato un precedente di questa Corte “quanto al rilievo che assume la volontà del cliente di dare esecuzione al contratto, in assenza del deposito di copia del contratto sottoscritto dalla banca intermediaria”.

Il motivo è stato oggetto della rinuncia operata dalla ricorrente nella propria memoria. Tale rinuncia è stata motivata dalla presa d’atto dell’arresto delle Sezioni Unite, secondo cui il requisito della forma scritta del contratto-quadro, posto a pena di nullità (azionabile dal solo cliente) dal D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 23 va inteso non in senso strutturale, ma funzionale, avuto riguardo alla finalità di protezione dell’investitore assunta dalla norma, sicchè tale requisito deve ritenersi rispettato ove il contratto sia redatto per iscritto e ne sia consegnata una copia al cliente, ed è sufficiente che vi sia la sottoscrizione di quest’ultimo, e non anche quella dell’intermediario, il cui consenso ben può desumersi alla stregua di comportamenti concludenti dallo stesso tenuti (Cass. Sez. U. 16 gennaio 2018, n. 898).

In ragione della richiamata rinuncia non occorre quindi rendere alcuna decisione sul secondo motivo del ricorso principale.

3. – Col terzo mezzo di tale ricorso è lamentata la violazione degli artt. 21 e 23 t.u.f., nonchè degli artt. 23, 27, 28 e 29 reg. Consob n. 11522/1998. Viene in sintesi censurato l’accertamento del giudice del merito nella parte in cui avrebbe ritenuto che a maggio del 2001 non esisteva alcun segnale che destasse allarme con riferimento ai titoli *****. La ricorrente, oltre a richiamare precedenti giurisprudenziali in materia di adempimento degli obblighi informativi, rileva come, secondo questa S.C., un precedente acquisto di titoli a rischio da parte del cliente non renda l’investitore un soggetto esperto in materia finanziaria e non esoneri, pertanto, l’intermediario dal rispetto degli obblighi che gli incombono a norma dell’art. 21 t.u.f..

Il motivo è inammissibile.

La Corte di merito ha respinto la domanda dell’investitrice rilevando che le caratteristiche che presentavano le obbligazioni ***** nel maggio 2001 “erano del tutto conformi agli obiettivi di investimento ed al profilo di rischio costantemente dichiarati” dall’appellata nelle diverse schede da lei sottoscritte sia prima che dopo l’investimento oggetto di causa. La ricorrente assume che, all’epoca, sarebbero state disponibili informazioni che dovevano far ritenere rischiosa l’operazione finanziaria; ma, così facendo, la medesima finisce per censurare, in punto di fatto, il giudizio della Corte di merito, secondo cui, all’opposto, non poteva ritenersi che nel maggio 2001 fosse prevedibile il default dello Stato *****: giudizio che sorregge la successiva affermazione del giudice distrettuale per cui, pur in presenza dell’accertato inadempimento dell’intermediario, P.C. non avrebbe indirizzato la propria scelta verso altri investimenti. La doglianza inerisce, dunque, a un profilo che sfugge al sindacato di legittimità.

Le ulteriori deduzioni svolte dall’istante nella memoria ex art. 380 bis.1, sul tema specifico – che qui interessa – del nesso causale tra inadempimento e danno, sono orientate alla valorizzazione di temi di discussione estranei al motivo di ricorso e sono, per tali ragioni, tardive. La memoria in questione è infatti destinata esclusivamente ad illustrare ed a chiarire i motivi della impugnazione, ovvero alla confutazione delle tesi avversarie e con essa non possono essere dedotte nuove censure nè sollevate questioni nuove, che non siano rilevabili d’ufficio, e neppure può essere specificato, integrato o ampliato il contenuto dei motivi originari di ricorso (per tutte, con riferimento alla memoria ex art. 378 c.p.c.: Cass. 12 ottobre 2017, n. 24007).

4. – Col quarto motivo è prospettata la violazione degli artt. 1337 e 2909 c.c., nonchè dell’art. 324 c.p.c., avendo riguardo all’esistenza di un giudicato interno sulla responsabilità precontrattuale, e l’omessa motivazione su una questione decisiva. E’ spiegato che nella comparsa di costituzione di appello la ricorrente aveva rilevato come il Tribunale avesse sostanzialmente condannato la banca per un’accertata responsabilità per culpa in contrahendo: per modo che, essendo mancata una specifica impugnazione sul punto da parte dell’appellante principale, la suddetta statuizione del giudice di primo grado era divenuta irretrattabile.

Il motivo è inammissibile.

La Corte territoriale ha evidenziato come la banca appellante avesse “contestato integralmente la dedotta violazione degli obblighi informativi operata dal giudice di primo grado e, quindi, anche le conseguenze che ne sarebbero derivate quanto al titolo della propria responsabilità”. Tale affermazione è contrastata in modo affatto generico, senza riprodurre i brani dell’atto d’impugnazione del Credito Emiliano che la dovrebbero sconfessare. Peraltro, l’applicazione, in primo grado, di una norma che fonda un titolo di responsabilità diverso da quello realmente esistente, e correttamente individuato nel giudizio di appello, non comporta la formazione di un giudicato implicito, trattandosi di mera qualificazione giuridica del fatto storico addotto a fondamento della richiesta risarcitoria (Cass. 18 luglio 2011, n. 15724; in tema, più di recente, Cass. 8 maggio 2015, n. 9294).

5. – Con il quinto mezzo è lamentata la violazione degli artt. 21 e 28, comma 2 t.u.f., degli artt. 1175 e 1375 c.c., nonchè dell’art. 2909c.c. e art. 324 c.p.c.. La censura investe il profilo relativo alla ritenuta insussistenza di un obbligo di informazione, da parte dell’intermediario, per il periodo successivo al perfezionamento dell’operazione di acquisto. Oltre a contestare quanto rilevato, in tema, dalla Corte di Roma, il ricorrente osserva che l’affermazione del giudice di primo grado, circa la necessità di una informazione successiva alla negoziazione, per l’aumentata rischiosità del titolo, non era stata oggetto di specifico gravame.

Il motivo è infondato.

In materia di investimenti finanziari, il conferimento di un mero ordine di acquisito di titoli non obbliga la banca a fornire al cliente informazioni successive alla concreta erogazione del servizio (Cass. 22 febbraio 2017, n. 4602): difatti, gli obblighi informativi gravanti sull’intermediario ai sensi del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 21, comma 1, lett. b), in quanto finalizzati a consentire all’investitore di operare investimenti pienamente consapevoli, al di fuori dei casi del contratto di gestione e di consulenza in materia di investimenti, vanno adempiuti in vista dell’investimento e si esauriscono con esso (Cass. 24 aprile 2018, n. 10112). Quanto, poi, all’asserita mancata impugnazione di quanto affermato dal Tribunale sul punto, è la stessa ricorrente a riferire (pag. 31 del ricorso) che la banca svolse una censura al riguardo, menzionando pure precedenti di giurisprudenza che marcavano un indirizzo contrario a quello seguito dalle pronunce citate dalla controparte.

6. – Il sesto motivo oppone la violazione dell’obbligo di astensione e dell’art. 29, commi 1, 2 e 3 reg. Consob n. 11522/1998 e dell’art. 2033 c.c. e l’omessa motivazione sulla richiesta di declaratoria della nullità virtuale dell’ordine di acquisto. La ricorrente osserva, in sintesi, che l’obbligo di astensione di cui al cit. art. 29, comma 3 (che vieta all’intermediario di procedere se non sulla base di un ordine impartito per iscritto dall’investitore) avrebbe natura imperativa, onde l’operazione posta in atto avrebbe dovuto essere dichiarata nulla, e ciò “anche in considerazione di eventuale giudicato” formatosi sul punto.

Il motivo è inammissibile.

Esso muove da un dato – l’inadeguatezza del’operazione, tale da determinare l’obbligo di astensione dell’intermediario dal porre in atto l’operazione – che la Corte ha accertato essere inesistente e che risulta comunque estraneo, per quanto sopra precisato, alla ratio decidendi; nè risulta comprensibile quanto dedotto dal ricorrente con riferimento al giudicato che si sarebbe prodotto (giudicato rispetto al quale parte istante non riesce nemmeno ad essere assertiva, finendo col formulare, attraverso l’uso dell’avverbio “eventualmente”, una mera ipotesi). Oltretutto, il Tribunale ha respinto la domanda di nullità del contratto di intermediazione finanziaria (pag. 5 della sentenza impugnata) e non è dedotto che, con specifico riferimento al tema oggetto di questo sesto motivo di ricorso, sia stato proposto appello incidentale da parte di P.C..

7. – Col settimo motivo la ricorrente denuncia la violazione degli artt. 820 e 1148 c.c. e l’omesso esame dell’appello incidentale sulla ingiusta detrazione delle cedole riscosse, non avendo la Corte distrettuale tenuto conto della dedotta e documentata malafede della banca, la quale determina il diritto dell’investitore a trattenere i frutti. Deduce testualmente la ricorrente che “(i)n primo grado gli interessi sono stati riconosciuti dal giorno del pagamento ed implicitamente era stata affermata la malafede della banca manifestatasi peraltro con l’omissione di segnalare l’offering circular, di non astenersi per l’inadeguatezza, di non aver informato sul rating, di non aver fornito informazione successiva, di non aver considerato la prevedibilità del crack del maggio 2001”.

Il motivo è inammissibile in quanto non si riferisce a statuizione della sentenza della Corte di appello. E’ appena il caso di rammentare che i motivi posti a fondamento dell’invocata cassazione della decisione impugnata debbono avere, oltre ai caratteri della specificità e della completezza, anche quello della riferibilità alla decisione stessa (Cass. 25 settembre 2009, n. 20652; Cass. 6 giugno 2006, n. 13259).

8. – L’ottavo motivo denuncia la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. e l’omesso esame dell’appello incidentale non condizionato sulla liquidazione delle spese. Viene dedotto che l’odierna ricorrente aveva depositato avanti al Tribunale una nota spese in cui era stato richiesto il pagamento di una somma, poi ridotta senza fornire alcuna motivazione al riguardo.

Per tale motivo valgono le considerazioni appena svolte trattando del precedente mezzo di censura. Anche sul punto si impone, quindi, una statuizione di inammissibilità.

9. – Il rigetto del ricorso principale determina l’assorbimento del ricorso incidentale condizionato, con cui la banca ha censurato la sentenza impugnata sul punto della ritenuta sussistenza della violazione degli obblighi informativi di cui all’art. 28, comma 2 reg. Consob n. 11522/1998: doglianza fondata sul rilievo per cui, a norma della disposizione da ultimo richiamata, le informazioni dell’intermediario devono essere finalizzate a consentire all’investitore consapevoli scelte di investimento, e andrebbero quindi “modellate alla luce della particolarità del rapporto con l’investitore, in modo da soddisfare le specifiche esigenze proprie di quel singolo rapporto”.

10. – In conclusione, il ricorso principale è respinto, mentre quello incidentale condizionato rimane assorbito.

11. – Per le spese del giudizio va fatta applicazione del principio di soccombenza.

PQM

LA CORTE rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 28 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 maggio 2020

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