Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.9424 del 22/05/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – rel. Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 21967/12 R.G., proposto da:

GRUPPO EMMECIAUTO S.P.A., in persona del legale rapp.te p.t., rappresentato e difeso dall’avv.to Pilade Frattini e dall’avv.to Fabrizio Dionisio, elettivamente domiciliato presso l’avv.to Dionisio, in Roma viale Mazzini n. 6, giusta mandato in atti;

– ricorrente –

contro

AGENZIADELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 124/64/12 della Commissione tributaria regionale della Lombardia, depositata in data 18.09.2012, non notificata;

Udita la relazione svolta dal Consigliere Rosita D’Angiolella nella camera di consiglio del 17 dicembre 2019.

RILEVATO

che:

Il Gruppo Emmeciauto s.p.a., impugnava innanzi alla Commissione provinciale di Bergamo l’avviso di accertamento, anno d’imposta 2004, ai fini Irap ed Iva con cui l’Agenzia delle entrate aveva contestato l’acquisto di alcune autovetture effettuato da Contiauto s.p.a., incorporata nel Gruppo Emmeciauto s.p.a., con fornitori italiani, coinvolti in frodi Iva in ambito comunitario, eccependone l’illegittimità per insussistenza e comunque difetto di prova delle operazioni fraudolente contestate.

La Commissione tributaria provinciale, con sentenza n. 83 del 2010, respingeva il ricorso.

Il Gruppo Emmeciauto s.p.a. proponeva appello innanzi alla Commissione tributaria regionale della Lombardia sostenendo l’erroneità della sentenza dei giudici di primo grado che non avevano tenuto contodella buona fede della carenza di consapevolezza dell’interposizione fittizia e, quindi, dell’estraneità del Gruppo alle frodi contestate. La Commissione regionale adita respingeva l’appello con la sentenza di cui in epigrafe.

Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione il Gruppo Emmeciauto s.p.a., affidandosi a tre motivi.

L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo di ricorso la società ricorrente censura la sentenza impugnata deduce l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo e controverso per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riguardante l’interposizione soggettiva contestata alla società contribuente relativamente agli acquisti di autovetture avvenuti tra Contiauto s.p.a. – incorporante il Gruppo Emmeciauto e venditori esteri, per essere le società fornitrici delle autovetture nient’altro che soggetti interposti (società cartiere).

2. Col secondo motivo di ricorso, la ricorrente censura la sentenza di appello per la violazione e falsa applicazione di norme di diritto, in particolare della sesta Dir. del Consiglio 17 maggio 1977, n. 77/388/CEE, art. 17, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli stati membri relative alle imposte sulla cifra d’affari e dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

3. Con il terzo motivo, proposto in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la ricorrente lamenta l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione sul fatto decisivo e controverso riguardante la consapevolezza della frode IVA contestata dall’amministrazione finanziaria.

4. Il ricorso è infondato per le ragioni di seguito esposte.

5. Va premesso che, come risulta dalla sentenza impugnata e come è pacifico tra le parti, l’ipotesi in esame si inquadra nell’ambito delle operazioni cd. soggettivamente inesistenti.

6. In materia di operazioni soggettivamente inesistenti questa Corte, con sequenza giurisprudenziale univoca (da Cass., 18/06/2014 n. 13800; Cass., 18/06/2014 n. 13803, Rv. 63155301; Cass., 17/12/2014 n. 26461; Cass. 09/09/2016 n. 17818, sino alle più recenti Cass.,22/05/2018 n. 16469 e06/07/2018 n. 17788, conf. da Cass. 30/10/2018 n. 27566, Rv. 651269-02; consolidata dalle Sezioni Unite di questa Corte con riferimento al similare regime del margine, cfr. Sez. U. 12/09/2017 n. 21105) ha affermato che “qualora sia contestata l’inesistenza soggettiva dell’operazione, grava sull’Amministrazione finanziaria l’onere di provare, anche in via presuntiva, ex art. 2727 c.c., la interposizione fittizia del cedente ovvero la frode fiscale realizzata a monte dell’operazione, eventualmente da altri soggetti, nonchè la conoscenza o conoscibilità da parte del cessionario della frode commessa; spetta, invece, al contribuente che intende esercitare il diritto alla detrazione o al rimborso, provare la corrispondenza anche soggettiva della operazione di cui alla fattura con quella in concreto realizzata ovvero l’incolpevole affidamento sulla regolarità fiscale, ingenerato dalla condotta del cedente.” (così, Sez. 5, Sentenza n. 13803 del 18/06/2014, Rv. 631553-01) 6.1. E’ stato altresì soggiunto, che mentre nelle ipotesi più complesse (come la c.d. “frode carosello”, caratterizzata da una catena di passaggi, con fatturazioni per operazioni sia oggettivamente che soggettivamente inesistenti, nonchè interposizioni strumentali di società c.d. “filtro”) l’Amministrazione finanziaria deve dimostrare gli elementi di fatto caratterizzanti la frode e la consapevolezza di essi da parte del contribuente, in quelle più semplici (operazioni soggettivamente inesistente di tipo triangolare, come quella ricorrente nel caso in esame), detto onere può esaurirsi nella prova che il soggetto interposto è privo di dotazione personale e strumentale adeguata all’esecuzione della prestazione, trattandosi di elemento sintomatico dell’assenza di “buona fede” del contribuente, stante l’immediatezza dei rapporti (cfr., Cass. n. 24426 e n. 6229 del 2013 richiamate da Cass. n. 25778 de1 05/12/2014); ovvero che il contribuente, al momento in cui acquistò il bene od il servizio, sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’uso dell’ordinaria diligenza, dell’evasione o frode posta in essere dal cedente, in quanto disponeva di elementi tali da porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto.

6.2. Non si è mancato di evidenziare che la peculiarità di tale riparto dell’onere probatorio discende dalla particolare valenza della fattura nel sistema tributario rispetto al sistema civilistico, e ciò in quanto mentre civilmente la fattura rappresenta un documento di formazione unilaterale ex art. 2709 c.c., inidonea in linea generale (salvo l’eccezione di cui all’art. 2710 c.c.), a costituire di per sè prova del rapporto controverso a favore dell’emittente, nel rapporto con il fisco la fattura rappresenta a tutti gli effetti un costo dell’impresa, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21. Tale diversità di regime spiega anche perchè l’Amministrazione finanziaria possa avvalersi di presunzioni – che rientrano a pieno titolo nel novero delle prove utilizzabili in giudizio (art. 2697 c.c. e ss.), – al fine di dimostrare che l’operazione commerciale oggetto della fattura non è stata posta in essere, ovvero è stata posta in essere tra soggetti diversi (cfr. Cass. n. 25578 del 2014).

7. Ciò posto, la Commissione regionale non è incorsa in alcuno dei vizi denunciati, nè sotto il profilo dell’insufficiente motivazione, nè sotto il profilo della violazione di legge.

8. Risulta, infatti, del tutto inconferente il primo motivo di ricorso in quanto i giudici di appello hanno sufficientemente motivato sugli elementi caratterizzanti l’ipotesi dell’interposizione fittizia, nonchè sulla conoscenza della frode carosello da parte della ricorrente quale concessionaria FIAT. Dalla lettura della motivazione della sentenza è evidente che la Commissione regionale ha ritenuto la sussistenza dell’attività d’interposizione fittizia delle società filtro venditrici sulla base dei seguenti elementi circostanziali: “assenza di depositi auto di autosalone, l’omesso versamento dell’IVA dovuta, l’omessa presentazione delle dichiarazioni IVA e dei redditi, il ricorrente cambiamento della sede sociale dell’attività senza comunicazione agli uffici finanziari, la cessazione dell’attività dopo pochi anni e la vendita delle autovetture in contanti in violazione delle norme antiriciclaggio”; in base a tali elementi circostanziali ha desunto, poi, la conoscenza (conoscibilità) da parte della società Gruppo Emmeciauto del meccanismo fraudolento rilevando che il quadro probatorio fosse”(…) più che idoneo a dimostrare la simulata attività interposta delle società “Filtro” venditrici”, che, quindi, “non poteva non essere ragionevolmente riconosciuta dall’odierna appellante, quale concessionaria FIAT”.

9. Anche il secondo motivo di ricorso risulta infondato considerato che, alla luce dei principi innanzi esposti, la prova che il soggetto interposto è privo di dotazione personale e strumentale adeguata all’esecuzione della prestazione (prova che, come risulta dalla motivazione della sentenza su riportata è stata ampiamente data dall’amministrazione finanziaria) è elemento sintomatico dell’assenza di “buona fede” del contribuente, stante l’immediatezza dei rapporti (cfr., Cass. n. 24426 e n. 6229 del 2013 richiamate da Cass. n. 25778de1 05/12/2014), senza doversi fare carico all’amministrazione di un onere più gravoso.

9.1. Sull’onere della prova e sulla consapevolezza del destinatario dell’operazione, è stato evidenziato che: “In tema di IVA, l’Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, nè la regolarità della contabilità e dei pagamenti, nè la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi”(cfr. Cass. n. 27566 del 30/10/2018, Rv. 651269-01).

9.2. Nè, d’altro canto, rileva lo stato soggettivo del venditore estero, essendo soggetto estraneo al rapporto fiscale tra l’Agenzia delle Entrate ed il cessionario italiano.

9.3. Non v’è motivo di dubitare, dunque, che la gravata sentenza abbia fatto corretto utilizzo del metodo inferenziale, attribuendo valore indiziario degli elementi addotti dall’ufficio in mancanza di prove contrarie da parte del contribuente.

10. Con il terzo motivo di ricorso, pur evocando il vizio di motivazione, fondato sull’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, previgente formulazione, la società ricorrente richiede, in buona sostanza, la rivalutazione degli elementi fattuali da essa allegati nel giudizio di merito per contestare l’accertamento dell’ufficio in punto di consapevolezza della frode. Da tanto ne deriva l’inammissibilità delle relative censure in quanto implicanti “una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito” (così, Cass. Sez. 63, Ordinanza n. 8758 del 04/04/2017, Rv. 643690 – 01).

11. In conclusione, il ricorso va integralmente rigettato.

12. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

13. Sussistono i presupposti, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.

PQM

Rigetta del ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio in favore dell’Agenzia delle entrate, liquidate in complessivi Euro 5.600,00 oltre spese prenotate a debito.

Il ricorrente è tenuto al versamento, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 17 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2020

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